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Vitaliano Ravagli -Wu Ming
Asce di guerra

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  • PRIMA PARTE
    • 37 Imola, 5 marzo 2000
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37

Imola, 5 marzo 2000

 

 

Mentre riaccendo il registratore, Sole cerca un punto da cui partire e attacca:

«Io credo che il trasferimento a Imola della Brigata Nera fu un'azione concordata coi "liberatori", tramite il commissario di Pubblica Sicurezza. Qualcosa che gli Alleati concessero al cln e ai partigiani, dopo che li avevano fatti tanto patire.

La Guerra Fredda è cominciata ben prima della fine del conflitto mondiale. Per gli americani il fronte italiano avrebbe dovuto essere solo un diversivo, per tenere impegnate quante più truppe tedesche era possibile. Lo sbarco sul continente era già previsto in Francia. Churchill invece aveva paura che i comunisti si accaparrassero tutta l'Europa orientale e balcanica e premeva per l'avanzata sul fronte meridionale, perché voleva arrivare a Trieste e a Vienna prima degli jugoslavi e dell'Armata Rossa. Questa differenza di vedute creò molti fraintendimenti, che si giocarono tutti sulla pelle dei partigiani e della popolazione. Nell'autunno del '44 gli Alleati fermano il fronte sull'Appennino e decidono di svernare e riprendere l'avanzata in primavera. E questo dopo che le organizzazioni partigiane in montagna e in pianura avevano speso energie, rischiato moltissimo, ed erano pronte a entrare in azione per liberare la regione. Si ritrovarono senza l'appoggio degli Alleati, ormai fermi, a dover superare un inverno di rappresaglie, delazioni, sequestri. [Conta sulle dita] Poi c'era il fatto che alle Brigate Garibaldi non vennero fatti lanci di armi e munizioni, perché erano brigate comuniste. La Trentaseiesima in particolare non era vista di buon occhio dagli anglo-americani e le armi che riuscì a recuperare dai lanci erano destinate ad altre brigate. Non a caso, nell'aprile del '45, il Comando alleato impedì a un reparto della Trentaseiesima di scendere a liberare Imola. Nei loro piani Imola doveva essere liberata dai polacchi, che avendo avuto il loro paese invaso per metà da Stalin, odiavano i comunisti. Erano scelte politiche che prefiguravano la Guerra Fredda. [sospira e indica le foto] Ma quando tirarono fuori i corpi di quei sedici antifascisti e videro in che condizioni erano ridotti, capirono che bisognava concedere qualcosa. La gente si vendicò di quello che aveva dovuto subire sotto i fascisti. Di sedici brigatisti neri se ne salvarono quattro, per l'intervento della scorta

«E quali sarebbero i punti oscuri

«[alza le spalle] Ci arrivi anche da solo se ci pensi. Perché le fotografie del pozzo di Becca furono appese sulla pubblica piazza? Perché quando il camion che trasportava la Brigata Nera arrivò in città non c'era polizia militare in giro? Dov'erano i polacchi? Dov'erano i carabinieri? E la polizia? E poi: era una pura coincidenza che su quel camion ci fossero proprio sedici brigatisti neri, tanti quanti gli antifascisti trucidati nel Pozzo di Becca? E il guasto al motore, che impedì al camion di arrivare a Imola di notte, come era previsto, per non creare scompiglio? [scuote la testa] Credo si fece in modo di farlo arrivare in città la mattina, e gli Alleati, che pure controllavano tutto, fecero finta di non sapere

«Mirco mi ha detto che i partigiani di scorta cercarono di tenere a bada la folla

«Certo. Non è mica detto che pensassero di scatenare un linciaggio. Forse volevano solo far sfilare gli assassini davanti alla popolazione che avevano vessato per anni. Ma la situazione gli è sfuggita di mano. Della scorta sembra facesse parte anche Bob e nemmeno la sua autorità bastò ad arginare la furia della gente che aveva avuto vittime. In quegli stessi giorni, si è poi saputo, alcuni familiari di quei brigatisti furono prelevati nel paese in cui s'erano rifugiati, in Veneto, e ritrovati morti in un campo. Insomma era un clima esasperato, di vendetta. Ravaioli e la sua squadra di sadici ne avevano fatte di brutte: torture, stupri, omicidi. Agli antifascisti, prima di gettarli nel Pozzo di Becca, avevano bruciato i testicoli, strappato le unghie…»

«E le vendette continuarono anche dopo la fine della guerra

«Eh, questa è una storia su cui è difficile sapere qualcosa di preciso. Nei giorni successivi alla Liberazione, ci furono vendette nell'Imolese, ma anche delitti comuni. Il comandante alleato della piazza di Imola dichiarò di essere a conoscenza di almeno 25 casi accertati, più altrettanti probabili. Il clima era quello: le armi non mancavano e nemmeno i conti da regolare. Ma non credere a tutte le polemiche che hanno fatto su queste cose. Chi ha compiuto quelle azioni lo ha fatto di sua iniziativa, non certo con l'appoggio del PCI, che fin da subito aveva adottato una linea del tutto diversa. Certo, ci sono stati casi isolati di piccole formazioni organizzate in questo senso, come la Volante Rossa a Milano, o come qui da noi, dove un gruppetto di ex-partigiani occupò Savigno, disarmando i carabinieri e svaligiando la banca del paese. Ci furono anche omicidi nella zona di Conselice. Ma non era certo in quel modo che il partito pensava di cambiare le cose

«Eppure l'amnistia di Togliatti deluse molta gente…»

«Ah certo. Quasi tutti i fascisti vennero fuori di galera

Circoscrivo l'argomento: «Probabilmente furono parecchi quelli che non riuscirono ad adattarsi al nuovo stato di coseSo che Teo e alcuni altri dovettero andare in Cecoslovacchia. Tu lo conoscevi

«[Annuisce] Solo di fama. Era "l'eroe di Ca' di Guzzo", una famosa battaglia partigiana. Resistettero in una cinquantina, assediati dentro la casa per due giorni, circondati da cinquecento tedeschi. E Teo dal tetto tenne a bada le ss con un mitragliatore. Poi organizzò la sortita che portò in salvo i pochi superstiti.»

«Quale ha detto che era il suo vero nome

«Orlando Rampolli. Ma nessuno l'ha mai chiamato così.»

Con un cenno mi invita a seguirlo in biblioteca. Spengo il registratore.

Fruga tra i volumi e alla fine trova quello che stava cercando: una raccolta di testimonianze dalla viva voce dei protagonisti della Resistenza bolognese.

C'è anche quella di Orlando Rampolli "Teo", concessa nel ‘66.

Racconta che dopo la fuga dall' "Albergo" di Cortecchio, incalzati dai fascisti, i partigiani si sparpagliarono e lui si rifugiò presso un contadino che lo ospitò e lo rifornì di munizioni. Poi, quando la neve si sciolse intraprese un'indagine privata:

«…così armato cominciai a girare per la zona di monte Faggiola, alla caccia della spia che aveva guidato i fascisti nel rastrellamento contro il nostro primo gruppo dell'Albergo

Quello che colpisce di più è il drastico giudizio sulla battaglia di Ca' di Guzzo, di cui fu il protagonista principale. Non si dilunga a raccontare i particolari dello scontro e non c'è traccia di autocelebrazione, anzi. Teo non ha parole edificanti per l'iniziativa di "Guerrino", il comandante della compagnia, che si assentò per andare a cercare rinforzi, privando così i partigiani del suo ascendente personale. «L'idea di Guerrino poteva essere giusta, ma l'esito non dipendeva dalla sua volontà». Alle forze partigiane circostanti dedica una chiosa sprezzante:

 

quelli della 62a Brigata, malgrado gli accordi, sui quali evidentemente Guerrino contava per un'azione dall'esterno, pensarono ai fatti loro e ci abbandonarono al nostro destino.

 

La conclusione di Teo sull'episodio che lo ha consacrato agli annali della Resistenza, è tutt'altro che conciliante:

 

La tragedia di Ca' di Guzzo per me non è solo negli indimenticabili atti di eroismo, nel coraggio e nello spirito di sacrificio di tanti giovani che hanno saputo dimostrare cosa sono i partigiani, ma anche negli errori compiuti che hanno fatto di Ca' di Guzzo un grande monumento del sacrificio, mentre avrebbe potuto essere uno dei più importanti campi di vittoria della Resistenza.

 

«E' una testimonianza abbastanza polemica» dico, dopo aver richiuso il volume e pigiato sui tasti play e rec:

«Teo era un tipo che non la mandava a dire, un irrequieto. Era insofferente verso la disciplina imposta dall'alto e consapevole di esserlo, tanto che non entrò nemmeno nel partito dopo la guerra. Rimase per i fatti suoi. Questo non toglie che sia stato un partigiano in gamba. E quello che ha fatto a Ca' di Guzzo lo dimostra. Anche Bob a modo suo era un tipo così. Uno che non riuscì a trovare il suo posto dopo la fine della guerra… e poi era già malato gravemente.»

«Teo e Bob erano amici

«Sì, anche se quello che è rimasto vicino a Bob fino alla fine è stato ‘e  Fatór', Orfeo Sabattani, che era molto amico anche di Teo. [Prende dagli scaffali un opuscolo e me lo porge] Questo è l'epitaffio che recitarono sulla tomba di Bob, quando è morto. Aveva appena trentaquattro anni, sì, era il 1954.»

Le foto del funerale: la bara portata giù dalle scale del palazzo comunale, i partigiani coi fazzoletti rossi o tricolori al collo e la gente dietro a seguire il feretro.

Tutti hanno lo sguardo contrito e basso. L'unico che guarda in macchina regge la cassa sulla spalla sinistra, in un doppiopetto grigio, stazzonato. Lo sguardo fisso, di ghiaccio.

«Chi è?»

«Questo è Teo.»

Avrei potuto scommetterci. Un bell'uomo, capelli neri pettinati all'indietro con la brillantina, la faccia lunga che non tradisce emozioni.

«E quello è e  Fatór.»

Un ragazzo basso, ma con la faccia da uomo, regge la bara da dietro.

«Teo invece quando è morto

«Nel '67 mi pare. Si sparò un colpo al cuore, perché aveva scoperto di avere un cancro. E siccome aveva visto la fine che aveva fatto il Moro, che era morto della stessa malattia tra mille dolori, preferì farla finita a modo suo. Tornò a casa dall'ospedale, e dopo aver scritto una lettera alla moglie si distese sul letto e si sparò.»

Un finale in tono col personaggio.

«Qualche anno fa gli hanno conferito anche un riconoscimento al valore militare per l'impresa di Ca' di Guzzo. [fruga dentro alcune cartelle colorate e scova una rivista] Questo è il settimanale di Imola, Sabato Sera. Mi ricordo che fecero un articolo[sfoglia un paio di numeri e alla fine lo trova] Eccolo!»

 

Croce al valor militare per il partigiano Rampolli

Decorato per la battaglia di Ca' di Guzzo

 

L'articolo informa che il 4 novembre 1997, presso la Caserma Mameli di Bologna, si è tenuta una cerimonia durante la quale è stata conferita la croce militare postuma a Teo.

«Beh, considerato che è passato alla storia come l'eroe di Ca' di Guzzo ce ne hanno messo di tempo per dargli questa medaglia

Sole alza le spalle con l'aria sconsolata. Forse lo pensiamo entrambi, che il motivo di tanto ritardo è legato ai guai del dopo-Liberazione e all'espatrio in Cecoslovacchia. Ma se l'idea che mi sono fatto è giusta, a Teo di una medaglia non gliene sarebbe importato granché: la testimonianza che ha lasciato sulla sua esperienza partigiana non è quella di chi fa sconti a se stesso o agli altri o di chi aspira agli encomi.

Una domanda a bruciapelo: «Bob e Teo hanno avuto figli

«No. Nessuno dei due. Teo però si era sposato.»

 

Mi chiedo se avrà mai trovato i traditori che cercava in quei mesi, da solo, sui monti.

Spero di sì.





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