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Alla Conferenza di Ginevra prendono parte
delegazioni di Usa, Urss, Cina, Francia, Repubblica Democratica del Vietnam,
governo "legittimo" del Vietnam (il regime-fantoccio di Bao Dai),
Regno di Cambogia e Regno del Laos.
Ci sono anche le delegazioni delle altre
guerriglie della regione, Pathēt Lao e Khmer Issarak ("Liberi
Khmer") cambogiani, ma non vengono accettate al tavolo dei negoziati. Il
delegato del governo reale laotiano, Phuy Xananikôn, dichiara nel suo
intervento alla Conferenza:
«Il principe Sūphanuvong non ha nessun
mandato. Sarebbe ridicolo riconoscergli una qualsiasi rappresentanza. Il Laos è
già indipendente, la prosecuzione di scontri armati sul nostro territorio è
unicamente dovuta alla presenza di truppe Vietminh. La cosiddetta
"resistenza" laotiana è da capo a piedi una creatura dei vietnamiti.»
Sarà il Vietminh a trattare per Pathēt
Lao e Khmer Issarak, dato che le tre guerre di liberazione sono strettamente
connesse.
Solo il segretario di stato americano John
Foster Dulles prende posto in albergo per fermarsi una settimana. Tutti gli
altri delegati affittano case, come se dovessero fermarsi per anni.
I cinesi, al debutto sul palcoscenico della grande
diplomazia, sistemano Zhou Enlai al Grand Mont-Fleuri, lussuosa residenza, e la
decorano di oggetti antichi e tappeti portati dalla Cina.
Il premier britannico Eden sta in un
castello del Settecento, Reposoir.
Il francese Georges Bidault sta a Joli-Port,
villa più modesta a fianco di quella di Pham Van Dong, viceministro della
Repubblica Democratica del Vietnam.
Pham Van Dong ha quarantasei anni. E' uno
dei fondatori del Partito Comunista Indocinese e del Vietminh. Da giovane, dopo
aver organizzato le grandi manifestazioni studentesche del 1925, è stato a
lungo prigioniero dei francesi nel carcere di Poulo Condore (isola dell'Oceano
Indiano), dove ha tenuto alto il morale dei compagni promuovendo lo studio e
l'insegnamento delle lingue e delle scienze. Ha addirittura messo in scena una
commedia di Molière, con rudimentali costumi e parrucche fatte dai prigionieri.
E' stato anche esule in Cina, conosce i cinesi e qualcosa gli dice che vincere
a Ginevra non sarà "facile" come vincere a Dien Bien Phu.
Dien Bien Phu è appena caduta. Prima
dell'inizio ufficiale dei lavori, rappresentanti del Ministero della Difesa
francese s'incontrano con Tai Quang Bou, sottosegretario alla difesa della
Repubblica Democratica del Vietnam, e gli chiedono cure mediche per i
prigionieri feriti e il ritorno in patria di quelli più gravi. In seguito a
questa richiesta, il generale Giap permette a elicotteri francesi di atterrare
a Dien Bien Phu e raccogliere i feriti.
La conferenza durerà settantaquattro giorni,
in un'atmosfera di sfiducia e tensione.
I delegati del Vietminh evitano i
rappresentanti di Bao Dai e ignorano cambogiani e laotiani. Boicottano anche i
francesi. I russi hanno rapporti tesi coi cinesi, che calano su Ginevra con
l'intento di scavalcare il "paese-guida" del socialismo. Gli
americani hanno l'ordine di ignorare del tutto i cinesi, è stato detto loro che
anche un semplice sorriso può essere scambiato per un gesto di riconoscimento.
Dulles non stringe la mano a Zhou Enlai:
«L'unica possibilità che noi due ci
incontriamo è che le nostre auto si scontrino tra loro.»
I francesi serbano rancore agli americani
per il mancato intervento a Dien Bien Phu. Gli americani non si fidano dei
francesi, più avanti li accuseranno (a ragione) di trattare sottobanco coi cinesi
e di contemplare un accordo che prevede il riconoscimento del Vietminh.
L'inglese Eden, con notevoli sforzi, cerca
di tenere tutti insieme.
Forte della vittoria a Dien Bien Phu e della
minaccia militare rappresentata dall'esercito di Giap, Pham Van Dong ci va giù
duro: chiede il ritiro dei francesi da tutta l'Indocina, senza contropartite, e
che i vietnamiti siano liberi di risolvere le loro questioni senza intralci. La
richiesta getta nel panico Bao Dai: se i colonialisti se ne vanno, per lui è
finita.
Pham Van Dong chiede che Pathēt Lao e
Khmer Issarak vengano riconosciuti formalmente e possano controllare i
territori conquistati nei loro paesi.
I francesi fanno muro, Pham Van Dong s'impunta.
Situazione di stallo.
Fino a metà giugno nessuna novità, poi la
Francia cambia primo ministro, l'indipendente Pierre Mendès France sostituisce
Joseph Laniel. Zhou Enlai approfitta dello smottamento e si fa avanti per
guidare i negoziati a nome di tutti i comunisti. Inizia una trattativa segreta
tra Francia e Cina.
Zhou Enlai ha 56 anni ed è un incrocio tra
mandarino cinese, quadro comunista e intellettuale francese, avendo trascorso a
Parigi gli anni della sua gioventù. Dopo le gravi perdite subite in Corea (un
milione di morti, anche a causa della strategia dell'"onda umana"),
il suo scopo è arrivare a un compromesso coi francesi sui possedimenti
coloniali e togliere agli americani ogni pretesto per intervenire in Indocina.
In poche parole: Zhou ha in mente di scavalcare i compagni indocinesi, dividere
il Vietnam in due e congelare la situazione in Laos e Cambogia. In tal modo, la
Cina proietterà un'immagine "moderata" verso India, Indonesia e gli
altri paesi non-allineati del continente asiatico. Inoltre, un'Indocina
frammentata fa gioco a una Cina che, benché rossa, intende proseguire le
antiche tradizioni imperiali di ingerenza nel sud-est asiatico. Già all'inizio
della conferenza, un collaboratore di Zhou Enlai aveva detto a un delegato francese:
«Siamo qui per ristabilire la pace, non per
sostenere il Vietnam.»
In due occasioni, Zhou Enlai confessa a Eden
e a Bidault di essere contrario agli sconfinamenti del Vietminh e ai suoi
tentativi di controllare Laos e Cambogia. Si dice anche che abbia minacciato Ho
Chi Minh: se i suoi delegati a Ginevra non si ammorbidiranno, la Cina non darà
più aiuti economici alla Repubblica Democratica del Vietnam.
Mendès France non è mai stato favorevole
alla guerra in Indocina, e ora s'accinge a porvi fine. Il 17 giugno, nel suo
discorso d'insediamento, pone l'accento sul pericolo di una guerra
internazionale che divampi dall'Indocina, poi fissa una scadenza: se entro metà
luglio non avrà trovato una soluzione accettabile, si dimetterà da primo
ministro.
Ma Pham Van Dong non cede. Di contro, Bao
Dai nomina capo del governo di Saigon un elemento dei più intransigenti, Ngo
Dinh Diem, cattolico al limite dell'integralismo.
Il 23 giugno, Zhou Enlai e Mendès France
s'incontrano segretamente nell'ambasciata francese a Berna. Per la prima volta,
Zhou si presenta con un completo grigio all'occidentale, al posto della solita
austera tenuta. Dice a Mendès France di essere propenso al cessate-il-fuoco e
all'accordo politico, contro la linea di Pham Van Dong. Chiederà al Vietminh di
interrompere le incursioni in Laos e in Cambogia, di rinunciare alle
rivendicazioni territoriali a nome di Pathēt Lao e Khmer Issarak e di
rispettare la sovranità dei due paesi. Infine, propone la separazione del
Vietnam in due parti.
Dopo giorni di pressioni da parte di Cina e
URSS (rappresentata dal vecchio Molotov), Pham Van Dong si rassegna all'idea di
tagliare il paese in due. Ma il viceministro vietnamita propone che la
frontiera sia al 13° parallelo, e che quindi la Repubblica Democratica del
Vietnam si estenda a due terzi del paese, escludendo solo l'estremo sud. Mendès
France suggerisce il 18° parallelo, a metà della provincia di Haø Tónh. Alla
fine, su proposta di Molotov, ci si accorderà per il 17° parallelo, sul fiume
Ben Hai, con una no man's land tra i due stati.
Alla spartizione dovranno seguire libere
elezioni, e i cittadini decideranno sotto quale governo si riunificherà il
paese. Pham Van Dong propone che si svolgano sei mesi dopo la firma del
trattato. Per i francesi, è una scadenza troppo ravvicinata, il Vietminh
vincerebbe a mani basse. Intanto, stanno per scadere le quattro settimane che
Mendès France si è concesso.
Nel pomeriggio del 12 luglio, Molotov invita
Mendès France, Eden, Pham Van Dong e Zhou Enlai nella sua villa di Le Bocage.
Zhou e Molotov scavalcano ancora il Vietminh, stabilendo che le elezioni in
Vietnam si terranno dopo due anni. Mendès France l'ha spuntata. Di lì a poco
dichiarerà:
«La pace e la ragione hanno vinto. Dopo
giorni e notti di duri negoziati, di ansia e di speranza, è stato firmato il
cessate-il-fuoco. Nel profondo della mia anima e della mia coscienza, sono
sicuro che, data la situazione, non avremmo potuto ottenere condizioni
migliori.»
«Zhou Enlai ci ha imbrogliati» dice Pham Van
Dong al suo segretario, allontanandosi da Le Bocage.
Due sere dopo, il viceministro vietnamita
subisce l'umiliazione finale: entra alla cena di commiato organizzata da Zhou
Enlai e si ritrova di fronte Ngo Dinh Luyen, fratello del nuovo premier di
Saigon Ngo Dinh Diem.
«Che razza di compagno è Zhou Enlai se
invita questo burattino degli imperialisti?!»
Ma il peggio deve ancora venire: nel corso
della serata, Zhou non nasconde di essere favorevole a una separazione
permanente del Vietnam. Dulcis in fundo, Zhou annuncia che la Cina terrà
rapporti anche con il Vietnam del Sud:
«E' vero, il Vietminh è più vicino a noi
ideologicamente, ma questo non esclude una nostra rappresentanza
diplomatica a Saigon. Dopo tutto, non siete entrambi vietnamiti? E non siamo
forse tutti asiatici?»
Dalle orecchie di Pham Van Dong escono
fiamme e lapilli.
Alle 15.45 del 20 luglio 1954 vengono
siglati i due accordi sul cessate-il-fuoco in Vietnam e in Laos. Per la
Repubblica Democratica firma Tai Quang Bou, in rappresentanza di Giap e del
comandante-in-capo del Pathēt Lao. Per la Francia firma il generale
Delteil. Nella mattinata del giorno dopo, viene firmato anche l'accordo per il
cessate-il-fuoco in Cambogia.
La delegazione Usa non sottoscrive i tredici
punti della "Dichiarazione finale delle nazioni partecipanti alla
Conferenza per il ristabilimento della pace in Indocina". Gli americani
vogliono avere le mani libere.
Per quanto riguarda il Laos, gli accordi di
Ginevra confermano la sovranità del governo reale, ma concedono al Pathēt
Lao il controllo temporaneo di due province nord-orientali, Huaphan e Phongsālī,
per radunare i suoi effettivi in attesa delle elezioni del 1955, dopo le quali
dovrà smobilitare. Tutte le truppe straniere devono ritirarsi dal paese, fatta
eccezione per una missione francese non superiore ai 1500 uomini, che si
occuperà di addestrare l'esercito governativo, e una guarnigione che manterrà
due basi francesi, non superiore ai 3500 uomini.
Sul rispetto degli accordi, del
cessate-il-fuoco in tutta l'Indocina e della neutralità del Laos vigilerà una
commissione di controllo internazionale, presieduta dall'India e composta anche
da funzionari polacchi e canadesi. L'introduzione nel paese di armamenti e
munizioni è proibita dall'art.8 della Dichiarazione, fatta eccezione per
"categorie giudicate necessarie per la difesa del Laos".
Gli accordi di Ginevra sono duramente
contestati dagli elementi oltranzisti del regime di Bao Dai (innanzitutto dallo
stesso Ngo Dinh Diem) e del governo reale laotiano.
In realtà il Pathēt Lao, tramite la
delegazione vietnamita, ha ottenuto un contentino, non un riconoscimento
formale. Quanto ai Khmer Issarak, se ne tornano a casa con una mano davanti e
una dietro.
In ogni caso, la pace di Ginevra è solo una
tregua, in attesa di una soluzione politica che non ci sarà. Tra non molto,
tutta l'area ripiomberà nella guerra.
A casa, lo zio Ho attende Pham Van Dong per
fargli una (poco convinta) lavata di capo. Cresce il risentimento nei confronti
della Cina. Negli anni seguenti i contrasti si acuiranno, soprattutto dopo la
rottura tra Cina e Unione Sovietica (1960-64), passando per l'invasione
vietnamita della Cambogia e la cacciata di Pol Pot (1978), fino alla
guerra Vietnam-Cina del 1979.
Alla fine dell'estate, il Vietminh entra a
Hanoi e ne fa la capitale della Repubblica Democratica del Vietnam. I cittadini
francesi se ne tornano in Europa, portando con sé tutto ciò che riescono a
trasportare, comprese le ceneri o le salme dei morti. Lo stesso succede al Sud.
Sembra quasi che il Vietminh debba calare su Saigon da un momento all'altro.
Nel 1955, Pham Van Dong diventerà primo
ministro della Repubblica, la prima persona a svolgere tale funzione dopo la
separazione da quella di presidente, che rimarrà a Ho Chi Minh fino alla sua
morte nel ‘69.
Nel '73, a Parigi, Pham tratterà il
cessate-il-fuoco con gli americani. Due anni dopo, con la presa di Saigon,
diverrà premier del Vietnam riunificato, carica che ricoprirà fino all'86.
Morirà il 29 aprile 2000, a novantaquattro
anni, proprio alla vigilia del venticinquennale della presa di Saigon.
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