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Vitaliano Ravagli -Wu Ming
Asce di guerra

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  • PRIMA PARTE
    • 41 Tre fratelli, lo zio Ho e lo zio Sam (storia disinvolta delle guerre d'Indocina)
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Tre fratelli, lo zio Ho e lo zio Sam

(storia disinvolta delle guerre d'Indocina)

 

 

Alla Conferenza di Ginevra prendono parte delegazioni di Usa, Urss, Cina, Francia, Repubblica Democratica del Vietnam, governo "legittimo" del Vietnam (il regime-fantoccio di Bao Dai), Regno di Cambogia e Regno del Laos.

Ci sono anche le delegazioni delle altre guerriglie della regione, Pathēt Lao e Khmer Issarak ("Liberi Khmer") cambogiani, ma non vengono accettate al tavolo dei negoziati. Il delegato del governo reale laotiano, Phuy Xananikôn, dichiara nel suo intervento alla Conferenza:

«Il principe Sūphanuvong non ha nessun mandato. Sarebbe ridicolo riconoscergli una qualsiasi rappresentanza. Il Laos è già indipendente, la prosecuzione di scontri armati sul nostro territorio è unicamente dovuta alla presenza di truppe Vietminh. La cosiddetta "resistenza" laotiana è da capo a piedi una creatura dei vietnamiti

Sarà il Vietminh a trattare per Pathēt Lao e Khmer Issarak, dato che le tre guerre di liberazione sono strettamente connesse.

Solo il segretario di stato americano John Foster Dulles prende posto in albergo per fermarsi una settimana. Tutti gli altri delegati affittano case, come se dovessero fermarsi per anni.

I cinesi, al debutto sul palcoscenico della grande diplomazia, sistemano Zhou Enlai al Grand Mont-Fleuri, lussuosa residenza, e la decorano di oggetti antichi e tappeti portati dalla Cina.

Il premier britannico Eden sta in un castello del Settecento, Reposoir.

Il francese Georges Bidault sta a Joli-Port, villa più modesta a fianco di quella di Pham Van Dong, viceministro della Repubblica Democratica del Vietnam.

 

Pham Van Dong ha quarantasei anni. E' uno dei fondatori del Partito Comunista Indocinese e del Vietminh. Da giovane, dopo aver organizzato le grandi manifestazioni studentesche del 1925, è stato a lungo prigioniero dei francesi nel carcere di Poulo Condore (isola dell'Oceano Indiano), dove ha tenuto alto il morale dei compagni promuovendo lo studio e l'insegnamento delle lingue e delle scienze. Ha addirittura messo in scena una commedia di Molière, con rudimentali costumi e parrucche fatte dai prigionieri. E' stato anche esule in Cina, conosce i cinesi e qualcosa gli dice che vincere a Ginevra non sarà "facile" come vincere a Dien Bien Phu.

Dien Bien Phu è appena caduta. Prima dell'inizio ufficiale dei lavori, rappresentanti del Ministero della Difesa francese s'incontrano con Tai Quang Bou, sottosegretario alla difesa della Repubblica Democratica del Vietnam, e gli chiedono cure mediche per i prigionieri feriti e il ritorno in patria di quelli più gravi. In seguito a questa richiesta, il generale Giap permette a elicotteri francesi di atterrare a Dien Bien Phu e raccogliere i feriti.

 

La conferenza durerà settantaquattro giorni, in un'atmosfera di sfiducia e tensione.

I delegati del Vietminh evitano i rappresentanti di Bao Dai e ignorano cambogiani e laotiani. Boicottano anche i francesi. I russi hanno rapporti tesi coi cinesi, che calano su Ginevra con l'intento di scavalcare il "paese-guida" del socialismo. Gli americani hanno l'ordine di ignorare del tutto i cinesi, è stato detto loro che anche un semplice sorriso può essere scambiato per un gesto di riconoscimento. Dulles non stringe la mano a Zhou Enlai:

«L'unica possibilità che noi due ci incontriamo è che le nostre auto si scontrino tra loro.»

I francesi serbano rancore agli americani per il mancato intervento a Dien Bien Phu. Gli americani non si fidano dei francesi, più avanti li accuseranno (a ragione) di trattare sottobanco coi cinesi e di contemplare un accordo che prevede il riconoscimento del Vietminh.

L'inglese Eden, con notevoli sforzi, cerca di tenere tutti insieme.

Forte della vittoria a Dien Bien Phu e della minaccia militare rappresentata dall'esercito di Giap, Pham Van Dong ci va giù duro: chiede il ritiro dei francesi da tutta l'Indocina, senza contropartite, e che i vietnamiti siano liberi di risolvere le loro questioni senza intralci. La richiesta getta nel panico Bao Dai: se i colonialisti se ne vanno, per lui è finita.

Pham Van Dong chiede che Pathēt Lao e Khmer Issarak vengano riconosciuti formalmente e possano controllare i territori conquistati nei loro paesi.

I francesi fanno muro, Pham Van Dong s'impunta. Situazione di stallo.

 

Fino a metà giugno nessuna novità, poi la Francia cambia primo ministro, l'indipendente Pierre Mendès France sostituisce Joseph Laniel. Zhou Enlai approfitta dello smottamento e si fa avanti per guidare i negoziati a nome di tutti i comunisti. Inizia una trattativa segreta tra Francia e Cina.

Zhou Enlai ha 56 anni ed è un incrocio tra mandarino cinese, quadro comunista e intellettuale francese, avendo trascorso a Parigi gli anni della sua gioventù. Dopo le gravi perdite subite in Corea (un milione di morti, anche a causa della strategia dell'"onda umana"), il suo scopo è arrivare a un compromesso coi francesi sui possedimenti coloniali e togliere agli americani ogni pretesto per intervenire in Indocina. In poche parole: Zhou ha in mente di scavalcare i compagni indocinesi, dividere il Vietnam in due e congelare la situazione in Laos e Cambogia. In tal modo, la Cina proietterà un'immagine "moderata" verso India, Indonesia e gli altri paesi non-allineati del continente asiatico. Inoltre, un'Indocina frammentata fa gioco a una Cina che, benché rossa, intende proseguire le antiche tradizioni imperiali di ingerenza nel sud-est asiatico. Già all'inizio della conferenza, un collaboratore di Zhou Enlai aveva detto a un delegato francese:

«Siamo qui per ristabilire la pace, non per sostenere il Vietnam

In due occasioni, Zhou Enlai confessa a Eden e a Bidault di essere contrario agli sconfinamenti del Vietminh e ai suoi tentativi di controllare Laos e Cambogia. Si dice anche che abbia minacciato Ho Chi Minh: se i suoi delegati a Ginevra non si ammorbidiranno, la Cina non darà più aiuti economici alla Repubblica Democratica del Vietnam.

Mendès France non è mai stato favorevole alla guerra in Indocina, e ora s'accinge a porvi fine. Il 17 giugno, nel suo discorso d'insediamento, pone l'accento sul pericolo di una guerra internazionale che divampi dall'Indocina, poi fissa una scadenza: se entro metà luglio non avrà trovato una soluzione accettabile, si dimetterà da primo ministro.

Ma Pham Van Dong non cede. Di contro, Bao Dai nomina capo del governo di Saigon un elemento dei più intransigenti, Ngo Dinh Diem, cattolico al limite dell'integralismo.

Il 23 giugno, Zhou Enlai e Mendès France s'incontrano segretamente nell'ambasciata francese a Berna. Per la prima volta, Zhou si presenta con un completo grigio all'occidentale, al posto della solita austera tenuta. Dice a Mendès France di essere propenso al cessate-il-fuoco e all'accordo politico, contro la linea di Pham Van Dong. Chiederà al Vietminh di interrompere le incursioni in Laos e in Cambogia, di rinunciare alle rivendicazioni territoriali a nome di Pathēt Lao e Khmer Issarak e di rispettare la sovranità dei due paesi. Infine, propone la separazione del Vietnam in due parti.

Dopo giorni di pressioni da parte di Cina e URSS (rappresentata dal vecchio Molotov), Pham Van Dong si rassegna all'idea di tagliare il paese in due. Ma il viceministro vietnamita propone che la frontiera sia al 13° parallelo, e che quindi la Repubblica Democratica del Vietnam si estenda a due terzi del paese, escludendo solo l'estremo sud. Mendès France suggerisce il 18° parallelo, a metà della provincia di Haø Tónh. Alla fine, su proposta di Molotov, ci si accorderà per il 17° parallelo, sul fiume Ben Hai, con una no man's land tra i due stati.

Alla spartizione dovranno seguire libere elezioni, e i cittadini decideranno sotto quale governo si riunificherà il paese. Pham Van Dong propone che si svolgano sei mesi dopo la firma del trattato. Per i francesi, è una scadenza troppo ravvicinata, il Vietminh vincerebbe a mani basse. Intanto, stanno per scadere le quattro settimane che Mendès France si è concesso.

 

Nel pomeriggio del 12 luglio, Molotov invita Mendès France, Eden, Pham Van Dong e Zhou Enlai nella sua villa di Le Bocage. Zhou e Molotov scavalcano ancora il Vietminh, stabilendo che le elezioni in Vietnam si terranno dopo due anni. Mendès France l'ha spuntata. Di a poco dichiarerà:

«La pace e la ragione hanno vinto. Dopo giorni e notti di duri negoziati, di ansia e di speranza, è stato firmato il cessate-il-fuoco. Nel profondo della mia anima e della mia coscienza, sono sicuro che, data la situazione, non avremmo potuto ottenere condizioni migliori

«Zhou Enlai ci ha imbrogliati» dice Pham Van Dong al suo segretario, allontanandosi da Le Bocage.

Due sere dopo, il viceministro vietnamita subisce l'umiliazione finale: entra alla cena di commiato organizzata da Zhou Enlai e si ritrova di fronte Ngo Dinh Luyen, fratello del nuovo premier di Saigon Ngo Dinh Diem.

«Che razza di compagno è Zhou Enlai se invita questo burattino degli imperialisti?!»

Ma il peggio deve ancora venire: nel corso della serata, Zhou non nasconde di essere favorevole a una separazione permanente del Vietnam. Dulcis in fundo, Zhou annuncia che la Cina terrà rapporti anche con il Vietnam del Sud:

«E' vero, il Vietminh è più vicino a noi ideologicamente, ma questo non esclude una nostra rappresentanza  diplomatica a Saigon. Dopo tutto, non siete entrambi vietnamiti? E non siamo forse tutti asiatici

Dalle orecchie di Pham Van Dong escono fiamme e lapilli.

 

Alle 15.45 del 20 luglio 1954 vengono siglati i due accordi sul cessate-il-fuoco in Vietnam e in Laos. Per la Repubblica Democratica firma Tai Quang Bou, in rappresentanza di Giap e del comandante-in-capo del Pathēt Lao. Per la Francia firma il generale Delteil. Nella mattinata del giorno dopo, viene firmato anche l'accordo per il cessate-il-fuoco in Cambogia.

La delegazione Usa non sottoscrive i tredici punti della "Dichiarazione finale delle nazioni partecipanti alla Conferenza per il ristabilimento della pace in Indocina". Gli americani vogliono avere le mani libere.

Per quanto riguarda il Laos, gli accordi di Ginevra confermano la sovranità del governo reale, ma concedono al Pathēt Lao il controllo temporaneo di due province nord-orientali, Huaphan e Phongsālī, per radunare i suoi effettivi in attesa delle elezioni del 1955, dopo le quali dovrà smobilitare. Tutte le truppe straniere devono ritirarsi dal paese, fatta eccezione per una missione francese non superiore ai 1500 uomini, che si occuperà di addestrare l'esercito governativo, e una guarnigione che manterrà due basi francesi, non superiore ai 3500 uomini.

Sul rispetto degli accordi, del cessate-il-fuoco in tutta l'Indocina e della neutralità del Laos vigilerà una commissione di controllo internazionale, presieduta dall'India e composta anche da funzionari polacchi e canadesi. L'introduzione nel paese di armamenti e munizioni è proibita dall'art.8 della Dichiarazione, fatta eccezione per "categorie giudicate necessarie per la difesa del Laos".

Gli accordi di Ginevra sono duramente contestati dagli elementi oltranzisti del regime di Bao Dai (innanzitutto dallo stesso Ngo Dinh Diem) e del governo reale laotiano.

In realtà il Pathēt Lao, tramite la delegazione vietnamita, ha ottenuto un contentino, non un riconoscimento formale. Quanto ai Khmer Issarak, se ne tornano a casa con una mano davanti e una dietro.

In ogni caso, la pace di Ginevra è solo una tregua, in attesa di una soluzione politica che non ci sarà. Tra non molto, tutta l'area ripiomberà nella guerra.

 

A casa, lo zio Ho attende Pham Van Dong per fargli una (poco convinta) lavata di capo. Cresce il risentimento nei confronti della Cina. Negli anni seguenti i contrasti si acuiranno, soprattutto dopo la rottura tra Cina e Unione Sovietica (1960-64), passando per l'invasione vietnamita della Cambogia e la cacciata di Pol Pot (1978), fino alla guerra  Vietnam-Cina del 1979.

Alla fine dell'estate, il Vietminh entra a Hanoi e ne fa la capitale della Repubblica Democratica del Vietnam. I cittadini francesi se ne tornano in Europa, portando con sé tutto ciò che riescono a trasportare, comprese le ceneri o le salme dei morti. Lo stesso succede al Sud. Sembra quasi che il Vietminh debba calare su Saigon da un momento all'altro.

Nel 1955, Pham Van Dong diventerà primo ministro della Repubblica, la prima persona a svolgere tale funzione dopo la separazione da quella di presidente, che rimarrà a Ho Chi Minh fino alla sua morte nel ‘69.

Nel '73, a Parigi, Pham tratterà il cessate-il-fuoco con gli americani. Due anni dopo, con la presa di Saigon, diverrà premier del Vietnam riunificato, carica che ricoprirà fino all'86.

Morirà il 29 aprile 2000, a novantaquattro anni, proprio alla vigilia del venticinquennale della presa di Saigon.





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