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(Cobra)
Sono trascorsi due giorni dall'ultimo
sparo, la tensione si è un po' allentata e stiamo riprendendo fiato. L'ordine
di fermarsi ci viene dato in una zona di vegetazione fitta, estesa per chilometri.
Tutta la colonna ha urgente bisogno di riposo e pulizia. C'è un corso d'acqua,
il luogo è ideale. Li dispone una cerchia di controllo per un diametro di dieci
chilometri, inviando gli indigeni amici in appostamento.
Riesco a dormire filato per tutta la notte.
Terzo giorno. Di nuovo in marcia.
Proseguiamo senza ostacoli fino a metà mattina, poi, improvviso, il ronzio degli
elicotteri che si avvicinano. Ci buttiamo giù e rimaniamo immobili, non
possiamo vederli, la vegetazione è troppo folta. Se ci hanno visti è finita. Le
viscere si contorcono, penso allo strazio di morire bruciato dal napalm.
Sono sopra di noi.
Passano oltre.
Si riparte.
Due ore dopo. Primo contatto col nemico.
Ci sono addosso, brevi raffiche di armi
automatiche, rapide scorribande sui lati della nostra colonna. Gettarsi a
terra, rialzarsi, di nuovo giù, correre avanti.
Ancora il rumore degli elicotteri: hanno
segnalato la nostra presenza.
Ci volteggiano sulla testa, cercano di
individuarci, ma finché i loro gruppi sono in zona non bombarderanno.
Li ordina di rialzarsi e correre dietro i
nemici che si stanno ritirando. Dobbiamo restargli attaccati, se lasciamo che
si sgancino è la fine, gli elicotteri ci sommergeranno col napalm.
Inseguirli, a capofitto, sparare, e ancora
correre con i rami che ti graffiano la faccia, gli animali che scappano da ogni
parte, correre ancora, sparare subito, ricaricare, guardarli negli occhi, i
loro volti allucinati, il loro fiato caldo, le urla, correre, non lasciare che
ci distanzino.
Correre o morire.
Il tramonto. Buttato contro una roccia,
stremato. Il mio sudore mescolato all'odore acre delle esplosioni e del napalm,
fetore di carne bruciata e decomposizione. I cadaveri sono gonfi come otri,
quasi dovessero scoppiare. Non vedo più niente, gli occhi impregnati del sudore
che scende a rivoli.
Il tramonto. Gli elicotteri non possono più
vederci.
Abbiamo sostenuto cinque attacchi in sei
ore. Corpo a corpo. Non muovo un muscolo.
Se ci assalgono adesso non avrò nemmeno la
forza di difendermi.
Lasciatemi qui.
Capovolgo la carabina. La canna poggiata
sotto il mento, cerco di allungare la mano sul grilletto. Ho provato e
riprovato i movimenti nei giorni scorsi, ma adesso mi sembra di non riuscirci
più. Il braccio trema per la tensione, rischierei di sparare storto e
massacrarmi la faccia senza morire. Ma se attaccano di nuovo non c'è
alternativa.
Non mi faccio catturare vivo dai Meo. Quello
che fanno ai prigionieri farebbe rabbrividire le Brigate Nere.
Buttato contro una roccia. Aspetto di vivere
o morire.
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