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Vitaliano Ravagli -Wu Ming
Asce di guerra

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  • SECONDA PARTE
    • 63 Sentieri dell'odio (A sud)
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63

Sentieri dell'odio

(A sud)

 

 

Dopo i combattimenti a nord-est del fiume Muan, ripiegammo ancora più a est, verso la frontiera col Vietnam, per poi puntare a sud. Dovevamo tenerci a ridosso del confine, sperando che i governativi non si spingessero fino .

La pista era faticosa, stretta tra montagne, dominate a nord dallo Xailaileng, alto duemilasettecento metri. Avanzammo per un'ottantina di chilometri nella provincia di Bolikhamxay, cavandocela con sporadici scontri a fuoco, che non intralciarono il cammino della spedizione.

Le valli erano immerse nella vegetazione tropicale e attraversate da moltissimi fiumi e immensi acquitrini. Non c'erano strade, era una marcia lenta, sul terreno molliccio, sotto il peso dell'equipaggiamento.

La regione era meravigliosa quanto disabitata, per cui non potevamo contare sulle popolazioni indigene, come nelle regioni più a nord. I villaggi contadini erano sempre stati fondamentali: ci potevamo lasciare i feriti che avevano bisogno di soccorso e sapevamo che qualcuno si sarebbe preso cura di loro finché non fossero stati in grado di tornare a combattere. Ma da quel momento entravamo in una zona del tutto estranea. Protetti dalla vegetazione ci addentrammo in una valle incassata tra i dirupi.

Fu che all'alba del secondo giorno ci attaccarono.

Ci sparavano addosso da entrambi i versanti. In pochi istanti la colonna si disperse e ognuno dovette difendersi come poteva. Ci rifugiammo in ogni buco, come topi, e limitammo le perdite. Ma eravamo bloccati in quella gola. Avremmo dovuto aspettare rintanati l'oscurità per tentare di filarcela. Per fortuna vennero in nostro aiuto altri gruppi, che ci seguivano distanziati. Lasciati pochi uomini a difesa dei portatori, si inerpicarono sui due lati della valle e impegnarono i governativi per consentirci di passare. Li costrinsero a ripiegare solo dopo alcune ore di combattimento.

Così passammo oltre, ma l'imboscata aveva fiaccato il morale della truppa e sapevamo di andare incontro al peggio. Solo poche settimane prima un nostro gruppo operante ai confini con la Cambogia, di cui facevano parte anche sei amici italiani, era stato sterminato da un bombardamento: la colonna dei rifornimenti che scortavano aveva riportato grosse perdite.

Più scendevamo a sud più ci spingevamo nell'area battuta dagli elicotteri provenienti dalle basi thailandesi. Un bombardamento col napalm non avrebbe lasciato scampo a nessuno: l'area trattata restava impraticabile per molte ore e l'atmosfera si surriscaldava fino a raggiungere centinaia di gradi di calore, bruciando tutto l'ossigeno. Questo significava che anche se ti fossi trovato a cento metri dal punto colpito, saresti morto per soffocamento.

Sapevamo inoltre che nella parte meridionale della provincia, a sud del fiume Nhuong, c'erano piste abbastanza larghe da permettere il transito dei cingolati e delle autoblindo, armate di tre mitragliatrici calibro 7.7 e di un cannoncino da 35 millimetri, capace di colpire a più di un chilometro di distanza.

Era la zona del Napaē Pass, punto strategico di transito tra il Vietnam e il Laos, presidiato in forze dai governativi. La strada che dal passo scendeva verso ovest, tagliando la regione, era l'ostacolo da superare. Forse il più difficile. Dal momento che quel passo montano era il luogo ideale per il passaggio dei rifornimenti comunisti, la strada era pattugliata da autocolonne cingolate e percorsa nei due sensi a ranghi frazionati.

Non era facile scegliere il momento migliore per passare e un attacco ai convogli rischiava di finire male, perché non sapevamo come sarebbero stati frazionati e quando sarebbe giunto il successivo. Di solito un'autoblindo faceva da battistrada. Dietro, ogni cento metri, seguiva un cingolato munito di una mitragliatrice per lato e molti soldati protetti dalle lamiere rinforzate.

Dopo l'imboscata subita pochi giorni prima, i portatori erano terrorizzati all'idea di dover attraversare quella strada.

Proprio per questo Li decise di attaccare. Per risollevare il morale della spedizione e dimostrare che i nemici erano vulnerabili anche quando guidavano le autoblindo.





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