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Sentieri dell'odio
(Fuga)
Camminiamo veloci nel letto del torrente,
per non lasciare tracce e senza usare i machete: sarebbe come indicare la
strada ai nemici. E' improbabile che ci stiano inseguendo, ma è meglio
non rischiare. Il corso d'acqua scende in una valle stretta che risaliamo in
direzione del confine vietnamita. Non può distare più di sessanta chilometri.
Il comandante Li arranca nell'acqua, ansima
e tossisce. Un morto che cammina. Quanto pensa di andare avanti?
Pomeriggio. Raggiunto un piccolo promontorio
con i muscoli a pezzi, ci fermiamo per riprendere fiato. Boccheggiando, mi
volto a guardare la strada percorsa. Stormi di uccelli si alzano in volo a meno
di un chilometro sotto di noi: ci sono dietro.
Raccogliere le ultime forze, pochi minuti
per disporsi a difesa. Uno degli indigeni al mio fianco abbandona la tuta
mimetica e si dipinge strisce rosse e nere sul petto e sulla faccia, intonando
una lugubre litania. Il canto di morte della sua gente. Vuole andarle incontro
con coraggio. Si alza ritto sul costone e sfida i primi colpi.
Spiàno la carabina.
Combattere ancora.
Vivere o morire.
Avanzano a piccoli balzi, mentre dalla
vegetazione parte il fuoco di copertura.
Sparo con la forza della disperazione, senza
tregua.
La luce sta calando. Circondato dai bossoli,
rintronato, nelle orecchie il rumore dei colpi sempre più radi.
Non ho contato i compagni caduti. Non vedo
quasi più niente.
Alba. Ho dormito? Troppo stanco per
distinguere il sonno dalla veglia.
Gli uccelli volano tra i rami degli alberi:
se ne sono andati.
La marcia verso il confine può riprendere.
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