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(storia disinvolta delle guerre
d'Indocina. Laos)
Anno cruciale, il 1958, iniziato con grandi
speranze di pace, segnato dalle ingerenze americane per rovesciare il governo
di coalizione e sovvertire la neutralità del paese, terminato con l'ascesa di
una dittatura di destra.
I due ministri del Pathēt Lao, Sūphanuvong
e Phūmī Vongvichit, lavorano bene, soprattutto rispetto alla
sciatteria e corruzione di molti colleghi d'esecutivo. A gennaio l'esercito
reale rioccupa Huaphan e Phongsālī senza colpo ferire, tutto si
svolge con ordine e i funzionari del Pathēt Lao vengono integrati
nell'amministrazione governativa.
Diverso l'atteggiamento delle forze armate,
i cui vertici non desiderano l'integrazione degli ufficiali della guerriglia.
Si temporeggia: due battaglioni dell'esercito popolare vengono confermati, uno
a sud di Luang Prabang, l'altro nella Piana delle Giare, ma non integrati nella
struttura di comando dell'esercito reale.
Anche il Pathēt Lao prende tempo:
consegna al governo 5000 armi da fuoco, ma alcune tra le compagnie più
importanti e meglio equipaggiate si ritirano in Vietnam, guidate dal solito
Kaisôn Phomvihan. Non si sa mai.
Oltre al clima di sospetto reciproco, c'è da
sconfiggere lo scetticismo dell'amministrazione usa. Suvanna va in visita a Washington, dove spiega che
"il Laos non può schierarsi coi nemici dei cinesi, per una mera questione
geografica". Per tranquillizzare Eisenhower, afferma che il marxismo non
potrà mettere radice in un paese buddista come il Laos, dove non esiste
proletariato industriale né c'è urgenza di una riforma agraria.
Non risulta persuasivo. Sono altre le
assicurazioni di cui ha bisogno Washington. Perché continuare a spendere decine
di milioni di dollari all'anno in un paese che non si schiera con noi nella
guerra fredda? Chiamate i ragionieri!
Negli anni dal 1955 al 1958 gli Stati Uniti
hanno dato al Laos più di 120 milioni di dollari. Questa pioggia di denaro ha
creato un'artificiale atmosfera di prosperità tra le élites delle città: case
di lusso, automobili americane, feste e ricevimenti, i figli che studiano nei
collegi più prestigiosi d'Europa e Nord-America… Ben trenta milioni all'anno
vengono assorbiti dall'esercito reale.
Solo una percentuale irrisoria degli
"aiuti" americani è andata a migliorare le infrastrutture,
l'industria rimane quasi inesistente, l'inflazione galoppa e il salario pro
capite è di 4 dollari al mese. "Pro capite" significa che la
media tiene conto dei ceti parassitari urbani. La maggior parte della
popolazione guadagna molto meno.
Arrivano le elezioni supplementari del 4
maggio. Per la prima volta votano anche le donne. Il Pathēt Lao vince nove
seggi su ventuno, più quattro che vanno ai suoi alleati pacifisti-neutralisti.
Sūphanuvong è il candidato più votato in assoluto, e diviene presidente
del parlamento. C'è forse qualcosa di cui il principe rosso non sia stato
presidente?
Mentre i partiti di destra sono litigiose
accozzaglie di arrivisti e parassiti, i cui programmi parlano solo alle classi
benestanti che gozzovigliano coi soldi americani, il Pathēt Lao è forte
nei villaggi rurali, ed è l'unico ad aver candidato donne ed esponenti di
minoranze etniche. Inoltre ha il sostegno dei monaci buddisti. Votano per il
Pathēt Lao persino molti soldati dell'esercito reale, senza stipendio da
mesi perché i fondi vengono dirottati nelle tasche dei loro ufficiali.
Questa vittoria allarma gli Stati Uniti. E'
ora di riorganizzare le forze anticomuniste: il 10 giugno nasce il Comitato per
la Difesa degli interessi nazionali, sovvenzionato da Washington e appoggiato
dal principe erede al trono Savāngvatthanā.
Negli stessi giorni gli Stati Uniti
sospendono gli aiuti finanziari al Laos e la vendita di dollari alle banche
laotiane. La crisi che ne consegue costringe alle dimissioni Suvanna
Phūmā.
L'esperimento del governo di coalizione è
durato appena otto mesi.
Il 18 agosto si forma il nuovo governo di
destra, guidato da Phuy Xananikôn. La priorità, afferma esplicitamente il nuovo
premier, è "combattere il comunismo". Addio neutralità: il Laos
"può coesistere solo col Mondo Libero". Si stabiliscono relazioni
diplomatiche col Vietnam del Sud e con Taiwan, ma non con l'Unione Sovietica,
la Cina e la Repubblica Democratica del Vietnam. Tra i dipendenti statali, si
licenzia in tronco chiunque sia sospettato di appoggiare il Pathēt Lao o
esserne simpatizzante. Per condurre la caccia alle streghe nasce una nuova
agenzia di intelligence, il Centro Nazionale di Documentazione.
Il 15 dicembre 1958 una pattuglia
dell'esercito reale laotiano sconfina in Vietnam, nella zona smilitarizzata sul
16° parallelo. Forse è finita lì cercando di aggirare sul fianco una squadra di
scorta ai convogli vietnamiti diretti a Sud. La squadra di Vitaliano?
La Repubblica Democratica del Vietnam
protesta contro l'intrusione e manda un battaglione a presidiare la frontiera.
Vitaliano: «Sappiamo che nella zona sono nascosti molti reparti del Vietminh,
piazzati da Hanoi a controllare la frontiera, ma è difficile incontrarli.»
Phuy strumentalizza e gonfia l'episodio,
parla di un concentramento di truppe comuniste lungo il confine, dichiara lo
stato d'emergenza e imbavaglia ogni opposizione. In tutto il paese, ma
soprattutto nel Phongsālī, numerosi militanti del Pathēt Lao
vengono arrestati o uccisi. Centinaia di dirigenti si rifugiano nel Vietnam del
Nord. Sūphanuvong resta a Vientiane, spera ancora di riuscire a
organizzare l'opposizione, e vuole ritardare il più possibile una nuova entrata
in clandestinità da parte del movimento.
Nel febbraio 1959 Phuy dichiara di aver
assolto a tutti gli impegni previsti dagli Accordi di Ginevra, nessuno può più
impedirgli di accettare aiuti militari stranieri, cioè statunitensi. Cina, URSS
e Vietnam del Nord protestano e chiedono l'intervento della commissione
internazionale di controllo. A marzo la polizia chiude il giornale del
Pathēt Lao, Lao Hak Xāt. Sūphanuvong e altri tre
dirigenti vengono messi agli arresti domiciliari. Nel frattempo il governo
decide di "purgare" il clero buddista dai simpatizzanti della
sinistra: tutta la corrispondenza interna al sangha (ordine monastico)
dev'essere vagliata dal governo prima di essere inoltrata.
Il ministro della difesa Phūmī
Nôsavan, "uomo forte" molto apprezzato dagli americani, decide di
integrare e poi sciogliere i due battaglioni del Pathēt Lao di stanza nel Luang
Prabang e nella Piana delle Giare. Ciascun battaglione conta circa 750 uomini.
I soldati rifiutano l'integrazione. Phūmī dichiara che li circonderà
e disarmerà con la forza. Il primo battaglione si arrende. Il secondo riesce a
evitare l'accerchiamento e darsi alla macchia.
Riprende la guerra civile.
E Sūphanuvong?
Viene incarcerato il 17 luglio, assieme ad
altri quattordici dirigenti del movimento. La leadership delle forze
rivoluzionarie resta nelle mani di Kaisôn Phomvihan, la cui fuga in Vietnam in
tempi non sospetti si è dimostrata un gesto di grande lungimiranza. Fidarsi è
bene ma…
A ottobre il principe rosso è in prigione
quando lo informano della morte del vecchio fratello Phetxarat.
Muore anche il vecchio re, e viene
incoronato suo figlio Savāngvatthanā.
Il 24 dicembre, dopo aver diffuso la falsa
notizia di un imminente attacco comunista a Vientiane, Phūmī Nôsavan
fa occupare la capitale dall'esercito. In realtà è una sorta di "Marcia su
Roma" laotiana: l'esercito circonda le residenze del re e del primo
ministro. Il messaggio è chiaro: Phūmī vuole il potere per sé e per i
suoi uomini. Una giunta militare. Il premier Phuy Xananikôn dà le dimissioni,
re Savāngvatthanā sta per nominare Phūmī…
… quando giungono proteste da parte dei
governi di quasi tutti i paesi occidentali: un governo militare non sarà
tollerato. Phūmī fa dietro-front, il re tira un sospiro di sollievo,
ringrazia l'esercito e indice nuove elezioni, a cui potrà presentarsi anche ciò
che rimane del Pathēt Lao.
Tatticamente, il movimento accetta di
partecipare alla consultazione, ma intanto Kaison prosegue l'organizzazione
della lotta armata. Anche se "a macchia di leopardo", le sue forze
controllano già il 20% del paese.
Il 24 aprile 1960 la coalizione di destra
vince le elezioni, ricorrendo a brogli, sabotaggi, intimidazioni. La regia è
inconfondibilmente americana.
Phūmī Nôsavan rimane al ministero
della difesa ma è di fatto il vero premier. Del primo ministro
"ufficiale" pochi ricordano il nome.
"Processare pubblicamente
Sūphanuvong e isuoi compagni", questa l'intenzione dichiarata del
nuovo governo. Ma mentre i politicanti si spartiscono le poltrone, il principe
rosso e altri quindici dirigenti, grazie alla complicità delle guardie
convertite alla causa, evadono e fuggono nella giungla. Svaniti.
Quattro mesi e 500 chilometri dopo,
ricompaiono a Xam Neua, quartier generale del Pathēt Lao. La loro marcia è
uno degli episodi più incredibili della rivoluzione laotiana.
La mattina dell'8 agosto 1960 tutti i
ministri del nuovo governo si recano a Luang Prabang per essere ricevuti dal
re. Mentre sono assenti, truppe del Secondo Battaglione Paracadutisti occupano
Vientiane. Le comanda un capitano di 26 anni. Si chiama Kônglae.
Dopo il colpo di stato, Kônglae tiene un
discorso in cui chiede la fine della "guerra fratricida", la
destituzione di chi "è salito camminando sulle schiene del popolo",
il ritorno del paese a una vera neutralità («Se siamo seduti su una
barca, dobbiamo stare seduti al centro») e la cessazione di ogni interferenza
straniera. Un passaggio interessante del comizio è: «[…] aprire inchieste su
comandanti e ufficiali dell'esercito le cui proprietà siano sproporzionate
rispetto al salario».
Il 13 agosto, in un parlamento circondato
dai parà e da una folla rumoreggiante, 49 deputati (su 51 presenti) tolgono la
fiducia al governo e chiedono al re di dare l'incarico a Suvanna
Phūmā.
Phūmī Nôsavan schiuma di rabbia:
il dissenso gli è cresciuto sotto il culo senza che se ne accorgesse. Le truppe
rimastegli fedeli occupano la città di Savannakhēt, nel sud del paese,
decretano la legge marziale e insediano il quartier generale contro-golpista.
Intanto si forma il terzo governo presieduto
da Suvanna Phūmā. Thailandia e Vietnam del Sud dichiarano l'embargo
economico contro Vientiane. Da questi due paesi, aerei americani trasportano
armi e munizioni verso Savannakhēt.
E il Pathēt Lao?
Sūphanuvong è ancora in marcia nella
giungla, ma le vesciche ai piedi non gli impediscono di seguire ciò che accade
a Vientiane. Il 24 agosto, la stazione radio del Pathēt Lao annuncia
l'appoggio del movimento al governo di Suvanna Phouma. In cambio si chiede il
cessate-il-fuoco, il rilascio dei prigionieri politici, la destituzione dei
ministri compromessi con la destra e una chiara linea neutralista nelle
relazioni internazionali. Suvanna invita una delegazione a Vientiane, per
avviare i negoziati. In un'altra trasmissione, il Pathēt Lao comunica che
non aggredirà le truppe neutraliste. Viene sancita un'alleanza di fatto
contro la destra.
Nel frattempo gli Stati Uniti cercano di
strangolare il governo, sospendendo di nuovo i finanziamenti. Tra gli eventi
che li fanno uscire dai gangheri c'è l'entusiastica accoglienza riservata dai
cittadini di Vientiane al nuovo (e primo) ambasciatore sovietico. Nonostante le
pressioni americane, Suvanna si rifiuta di rompere le trattative col
Pathēt Lao e avviarle con Phūmī e i fascisti di
Savannakhēt.
A dicembre, le truppe fedeli a
Phūmī muovono verso Vientiane. La loro superiorità militare è
schiacciante. Il parlamento vota la sfiducia a Suvanna.
Il 9 dicembre Suvanna fugge in Cambogia coi
suoi ministri e forma un governo in esilio. E' il secondo della sua vita.
Quattro giorni dopo comincia la battaglia. Anche se i parà di Kônglae sono
peggio armati e in inferiorità numerica, passano tre giorni prima che
Phūmī riesca a espugnare la capitale. Ciò che rimane dell'esercito
neutralista si ritira verso nord per unirsi alle forze del Pathēt Lao.
Nel gennaio del 1961 le truppe di Kaisôn e
Kônglae occupano la Piana delle Giare, il miglior punto in cui ricevere
rifornimenti cinesi e sovietici, per via aerea o attraverso il Vietnam del
Nord. Per il momento si passa dalla guerra di guerriglia a strategie più
tradizionali, con linee del fronte, retrovie e posizioni da mantenere.
Nei mesi che seguono la cia organizza e addestra il cosiddetto
"esercito segreto", forza di guerriglia interamente composta da
Hmong, comandato dal generale Vang Pao. La "guerra segreta" tra
"Meo" e comunisti infurierà per tredici anni. Nemmeno con la
proclamazione della Repubblica Democratica dei Popoli Lao (1975) gli scontri
cesseranno del tutto.
D'ora in avanti la guerra civile in Laos si
fonderà con la guerra in Vietnam. L'ex-Indocina francese sarà un unico teatro
bellico.
Altri colpi di scena da qui fino alla presa
di Vientiane da parte del Pathēt Lao: una mini-conferenza di Ginevra sul
Laos, un secondo governo di coalizione, l'ennesima crisi politica, nuovi
tentativi di colpo di stato, innumerevoli bombardamenti, l'occupazione della
Piana delle Giare da parte del "Secret Army" di Vang Pao, un terzo
governo di coalizione, l'insurrezione delle forze di sinistra dopo la caduta di
Saigon, l'abdicazione del re Savāngvatthanā.
1975: Sūphanuvong presidente, Kaisôn
primo ministro.
Suvanna Phūmā, benché ritiratosi
dalla vita politica, resterà consigliere di stato nella Repubblica Democratica
dei Popoli Lao. Passeggerà per le vie di Vientiane, completo bianco di lino,
panama, bastone da passeggio e un fiore all'occhiello. Morirà nel 1984 all'età
di 83 anni.
Sūphanuvong, il "compagno
principe", l'irrequieto organizzatore, il presidente di tutto quanto e
tutti quanti, l'uomo-simbolo della nazione… morirà nel gennaio 1995 all'età di
86 anni.
Da Il Manifesto di
domenica 4 giugno 2000:
Le forze armate del Vietnam
stanno intervenendo in Laos, per aiutare il governo laotiano a venire a capo
della guerriglia della minoranza Hmong. La notizia viene dall'agenzia France
Presse che l'ha raccolta da diplomatici ocidentali [sic] a
Vientiane, capitale del Laos. Alcuni testimoniano di aver visto veicoli
militari con truppa e armi ai bordi della capitale. Ufficialmente il governo
vietnamita afferma che tutto è calmo nel vicino (e alleato) Laos. Il sistegno [sic]
militare vietnamita negli anni '70 e '80 aveva aiutato a eliminare i resti
della guerriglia antyi-comunista [sic] reclutata dalla Cia tra l'etnia
Hmong durante la guerra del Vietnam. Ora però l'Arrivo di armi di contrabbando
attraverso la frontiera thailandese, finanziate dalla diaspora Hmong che aveva
ottenuto asilo negli Stati Uniti, ha portato a una nuova escalation della
ribellione. Le dimensioni della guerriglia sono difficili da stimare, dato lo
stretto controllo sull'informazione imposto dal governo del Laos. Ma dopo
l'esplosione di una bomba in un mercato di Vientiane domenica scorsa, anche le
autorità hanno dovuto ammettere un problema di sicurezza interna.
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