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Vitaliano Ravagli -Wu Ming
Asce di guerra

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  • SECONDA PARTE
    • 73 Sentieri dell'odio (Oppio)
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73

Sentieri dell'odio

(Oppio)

 

 

Poco dopo l'alba, rumore di spari e un fumo d'incendio sul versante opposto della vallata.

Da alcuni giorni siamo sulle tracce di una banda di ladri e trafficanti, dediti a razzie nei villaggi, stupri e trasporto di oppio. Fino ad oggi, siamo sempre arrivati tardi sui luoghi dei saccheggi. A quanto pare, sono una quarantina, metà dei quali armati di tutto punto, l'altra metà addetti al facchinaggio. Non sappiamo se hanno un addestramento tale da metterci in difficoltà, ma siamo sicuri che ci temono. Abbiamo visto con i nostri occhi quello che hanno fatto e se li catturassimo non potrebbero sperare di impietosirci. In quel caso, non avrebbero scampo e per questo venderanno cara la pelle.

Abbandoniamo il gruppo in venti, per scendere la valle a rotta di collo, guadare un torrente e risalire la montagna di fronte, a mezza costa, guidati dal fumo.

Giunti alla capanna, troviamo una donna anziana, denutrita, in lacrime sul corpo del marito. I due hanno trattenuto i predoni con offerte di cibo e ristoro, giusto il tempo di nascondere i figli. Se li avessero trovati, i maschi adulti, sotto la minaccia delle armi, avrebbero dovuto seguire la banda come portatori, mentre le femmine sarebbero state violentate a turno da tutti. L'uomo ha cercato di impedire il sequestro delle provviste. Una raffica di mitra l'ha tolto di mezzo.

Dopo averlo medicato alla meglio, ci affrettiamo a seguire le tracce. Gli indigeni si tingono il volto con i colori di guerra, rosso e nero. Sono tutti abili cacciatori e basta un po' di terra smossa per metterli sulla pista giusta. Dove l'occhio inesperto vede solo un groviglio verde, per loro può esserci una strada.

 

 

Metà pomeriggio. Ci siamo: le guide hanno fiutato il nemico proprio davanti a noi. Una breve sosta, per controllare le armi e riprendere fiato, poi ci dividiamo in due file da dieci uomini, distanti cinquanta metri l'una dall'altra e con in mezzo il sentiero. Bisogna aggirarli, superarli dai due lati per poi attaccare dall'alto e costringerli a ripiegare in discesa, di corsa, senza il tempo di controllare il terreno.

Ci appostiamo poche decine di metri più avanti, nella loro direzione di marcia, le armi pronte. Il frastuono della foresta copre i piccoli rumori che non abbiamo potuto evitare.

Ancora pochi passi.

Apriamo il fuoco.

I portatori mollano tutto e si buttano a terra, mentre gli armati sparano a casaccio in ogni direzione.

Coperti dai tronchi degli alberi siamo irraggiungibili. Colpi precisi e brevi raffiche intermittenti: lasciamo sul campo il grosso dei nemici.

I pochi superstiti si lanciano giù per la discesa in una fuga disperata.

Li lasciamo andare.

Ben nascoste sulla pista, ho sistemato alcune bombe a mano innescate. Basteranno le vibrazioni della corsa per farle esplodere. Un attimo dopo, una serie di boati saluta il passaggio dei fuggitivi. L'eco rimbalza più volte lungo la valle, seguita subito da urla e lamenti. Brandelli di corpi volano verso i rami degli alberi e alcuni restano incagliati come macabri frutti.

Tutti morti, tranne tre, in fin di vita, che si irrigidiscono nel giro di pochi minuti. Ho il tempo di guardarli morire. Di vedere spegnersi i loro occhi.

Passato il pericolo, una lite furibonda scoppia tra i portatori: quelli costretti con le armi a seguire il convoglio si rifanno sui collaboratori dei predoni. Si scagliano sul capo con una violenza terribile. Non abbiamo mai visto niente di simile da parte di uomini miti e pacifici per natura. Qualcuno ci spiega che quel bastardo si univa spesso ai trafficanti negli stupri.

Lo pestano a sangue, calci, pugni, bastonate. Il miserabile si contorce e implora, ma i colpi gli impediscono di parlare. Urla disumane di chi sa di essere arrivato in fondo.

Lo spogliano, senza smettere di pestarlo, una lama rotea nella mischia, lo tengono in quattro, un quinto gli recide il pene di netto.

La carne insanguinata viene mostrata come un trofeo, a testimoniare la vendetta.

Lunghi brividi corrono sulla pelle. Tutto si è svolto in pochi attimi. Manca il respiro.

Quando riprendo il controllo ho la Simonov spianata.

Come la prima volta. Come quelle bambine. Come i soldati che imploravano pietà. La lama che dilania i corpi. La mia.

Ucciderli tutti.

 

 

Mi sono fermato in tempo.

Obblighiamo i portatori a tornare sui loro passi, per restituire il maltolto alle famiglie dei villaggi. Due di noi li accompagnano come scorta, per evitare che scoppino litigi tra loro e qualcuno cerchi di fare il furbo.

Poi distruggiamo l'oppio che trasportavano, perché nessuno cada in tentazione.

 





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