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Sentieri dell'odio
(Oppio)
Poco dopo l'alba, rumore di spari e un fumo
d'incendio sul versante opposto della vallata.
Da alcuni giorni siamo sulle tracce di una banda
di ladri e trafficanti, dediti a razzie nei villaggi, stupri e trasporto di
oppio. Fino ad oggi, siamo sempre arrivati tardi sui luoghi dei saccheggi. A
quanto pare, sono una quarantina, metà dei quali armati di tutto punto, l'altra
metà addetti al facchinaggio. Non sappiamo se hanno un addestramento tale da
metterci in difficoltà, ma siamo sicuri che ci temono. Abbiamo visto con i
nostri occhi quello che hanno fatto e se li catturassimo non potrebbero sperare
di impietosirci. In quel caso, non avrebbero scampo e per questo venderanno
cara la pelle.
Abbandoniamo il gruppo in venti, per
scendere la valle a rotta di collo, guadare un torrente e risalire la montagna
di fronte, a mezza costa, guidati dal fumo.
Giunti alla capanna, troviamo una donna
anziana, denutrita, in lacrime sul corpo del marito. I due hanno trattenuto i
predoni con offerte di cibo e ristoro, giusto il tempo di nascondere i figli.
Se li avessero trovati, i maschi adulti, sotto la minaccia delle armi,
avrebbero dovuto seguire la banda come portatori, mentre le femmine sarebbero
state violentate a turno da tutti. L'uomo ha cercato di impedire il sequestro
delle provviste. Una raffica di mitra l'ha tolto di mezzo.
Dopo averlo medicato alla meglio, ci
affrettiamo a seguire le tracce. Gli indigeni si tingono il volto con i colori
di guerra, rosso e nero. Sono tutti abili cacciatori e basta un po' di terra
smossa per metterli sulla pista giusta. Dove l'occhio inesperto vede solo un
groviglio verde, per loro può esserci una strada.
Metà pomeriggio. Ci siamo: le guide hanno
fiutato il nemico proprio davanti a noi. Una breve sosta, per
controllare le armi e riprendere fiato, poi ci dividiamo in due file da dieci
uomini, distanti cinquanta metri l'una dall'altra e con in mezzo il sentiero.
Bisogna aggirarli, superarli dai due lati per poi attaccare dall'alto e
costringerli a ripiegare in discesa, di corsa, senza il tempo di controllare il
terreno.
Ci appostiamo poche decine di metri più
avanti, nella loro direzione di marcia, le armi pronte. Il frastuono della
foresta copre i piccoli rumori che non abbiamo potuto evitare.
Ancora pochi passi.
Apriamo il fuoco.
I portatori mollano tutto e si buttano a
terra, mentre gli armati sparano a casaccio in ogni direzione.
Coperti dai tronchi degli alberi siamo
irraggiungibili. Colpi precisi e brevi raffiche intermittenti: lasciamo sul
campo il grosso dei nemici.
I pochi superstiti si lanciano giù per la
discesa in una fuga disperata.
Li lasciamo andare.
Ben nascoste sulla pista, ho sistemato
alcune bombe a mano innescate. Basteranno le vibrazioni della corsa per farle
esplodere. Un attimo dopo, una serie di boati saluta il passaggio dei
fuggitivi. L'eco rimbalza più volte lungo la valle, seguita subito da urla
e lamenti. Brandelli di corpi volano verso i rami degli alberi e alcuni
restano incagliati come macabri frutti.
Tutti morti, tranne tre, in fin di vita, che
si irrigidiscono nel giro di pochi minuti. Ho il tempo di guardarli morire. Di
vedere spegnersi i loro occhi.
Passato il pericolo, una lite furibonda
scoppia tra i portatori: quelli costretti con le armi a seguire il convoglio si
rifanno sui collaboratori dei predoni. Si scagliano sul capo con una
violenza terribile. Non abbiamo mai visto niente di simile da parte di uomini
miti e pacifici per natura. Qualcuno ci spiega che quel bastardo si univa
spesso ai trafficanti negli stupri.
Lo pestano a sangue, calci, pugni,
bastonate. Il miserabile si contorce e implora, ma i colpi gli impediscono di
parlare. Urla disumane di chi sa di essere arrivato in fondo.
Lo spogliano, senza smettere di pestarlo,
una lama rotea nella mischia, lo tengono in quattro, un quinto gli recide il
pene di netto.
La carne insanguinata viene mostrata come un
trofeo, a testimoniare la vendetta.
Lunghi brividi corrono sulla pelle. Tutto si
è svolto in pochi attimi. Manca il respiro.
Quando riprendo il controllo ho la Simonov
spianata.
Come la prima volta. Come quelle bambine.
Come i soldati che imploravano pietà. La lama che dilania i corpi. La mia.
Ucciderli tutti.
Mi sono fermato in tempo.
Obblighiamo i portatori a tornare sui loro
passi, per restituire il maltolto alle famiglie dei villaggi. Due di noi li
accompagnano come scorta, per evitare che scoppino litigi tra loro e qualcuno
cerchi di fare il furbo.
Poi distruggiamo l'oppio che trasportavano,
perché nessuno cada in tentazione.
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