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Vitaliano Ravagli -Wu Ming Asce di guerra IntraText CT - Lettura del testo |
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Rimasi in Laos altri quattro mesi. Ed ebbi modo di vedere cose che non voglio e non posso raccontare. Buona parte di quello che ho visto e fatto l'ho cancellata dalla mente negli anni seguenti. Altre cose invece le ho bene impresse e ancora adesso non mi lasciano in pace. Sono passati più di quarant'anni e la notte ancora non dormo, ci credi? Faccio degli incubi terrificanti. Sarà per questo che i film dell'orrore non mi fanno impressione? Non lo so…
…In uno dei pochi momenti di lucidità, tra un combattimento e l'altro, mi resi conto che la pazzia ci aveva contagiati tutti. La preoccupazione di sopravvivere non lasciava tempo per pensare. Eravamo macchine da guerra, sconvolti da quella vita e concentrati su una cosa sola: uccidere per non essere uccisi.
…Ricordo che quando ci lanciavamo all'assalto gridavamo il nome della nostra arma a squarciagola. Serviva a ricacciare giù la paura e a spaventare il nemico: trenta uomini che gridano insieme sembrano cento. E nella giungla non è che ti metti a contare. Io, dato che il nome del mio mitragliatore era troppo lungo, Automatiskaja Simonova Oratez 36, gridavo: «Simonovadioboia!!!» E partivo con la baionetta in canna per sbullonargli il culo!
…La baionetta cinese che avevamo in dotazione era conica, non piatta, per rendere le ferite difficilmente rimarginabili. Hai idea di cosa significa infilzare un uomo con un arnese del genere? Te lo vedi lì, a poche decine di centimetri, che ti urla in faccia e sputa sangue… Non sono cose che ti escono dalla testa tanto facilmente.
…Non puoi andare avanti così per troppo tempo, non ce la fai, prima o poi il cervello ti va a puttane.
…Stavamo andando tutti nei matti. Eravamo drogati di adrenalina, sempre in overdose. Una volta, durante una sparatoria, vedo uno dei compagni che mentre riempie i caricatori, si spara una pugnetta! La tensione era talmente alta che doveva allentarla in qualche maniera, per non esplodere. Capisci di cosa sto parlando?
…In certe sparatorie che duravano per ore, coi timpani che ti sanguinavano e i compagni che ti morivano al fianco, ti sembrava di impazzire, pensavi che non ce l'avresti fatta a resistere un minuto di più e avresti dato qualsiasi cosa per un attimo di silenzio. E qualcuno perdeva il controllo, perdeva anche l'istinto di sopravvivenza e si buttava fuori allo sbaraglio. Ho bene impressa l'immagine di un compagno che esce allo scoperto e si mette a ballare davanti ai nemici! Ti giuro: a ballare! Non gliene fregava più niente di vivere, si era talmente assuefatto all'adrenalina, che aveva bisogno di aumentare la dose, di rischiare sempre di più. O di farla finita.
…Non ricordo il momento preciso in cui ho preso la decisione di andarmene. Devo averla maturata nel corso di quegli ultimi mesi. Alla fine ero disgustato da tutto, anche da me stesso. Ero stanco di ammazzare, ne avevo ammazzati troppi. Le tacche non erano più impresse sul calcio dell'arma, ma nella mente. Ed erano tante.
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