Prologo 2
Colui che rimane sveglio quando tutti dormono
Quanti nomi ha
avuto? E quante vite?
Nasce Nguyen Sinh Cung, nella provincia di Nghe
Tinh, Vietnam centrale, Indocina francese. E' l'anno 1890.
La sua è una terra arida, povera e
sovrappopolata, in balìa di tempeste e tifoni. Sui suoi abitanti circola una
storiella, quella del "pesce di legno": quando
un uomo dello Nghe Tinh si mette in viaggio per cercare lavoro, porta con sé un
pesce finto. Nelle locande può permettersi appena una ciotola di riso e una
scodella di salsa nuoc-mam, e per non sembrare troppo povero infila il
pesce nel condimento. Inoltre, il legno si impregna di
salamoia, e durante la marcia lo si può succhiare per placare la fame.
Il padre di Cung, Nguyen Sinh Huy, è una
strana figura di scapigliato indocinese: fa innumerevoli mestieri, dal
guardiano di bufali al garzone di fattoria, finché non supera un concorso e diventa
maestro di scuola. Nel 1905 diventa segretario al ministero dei riti, al
palazzo imperiale di Hué. Più tardi viene promosso a
sottoprefetto di Binh Khe, ma odia entrambi gli incarichi. E' frequente
sentirlo inveire contro i Mandarini. Ostenta un tale disprezzo per la classe
dei notabili che i francesi decidono di destituirlo.
Trascorrerà il resto della vita vagabondando
per l'Indocina, tornerà a fare il supplente, ma s'improvviserà anche medico e scrivano pubblico. Un uomo libero e rispettato. In tarda
età, gli amici più giovani lo chiameranno "Zio". Morirà nel 1930, in una pagoda della
Cocincina occidentale.
Ci sono cose che passano di padre in figlio
come per un magico travaso. L'uomo dai mille nomi eredita il carisma, la propensione
alla vita errabonda, l'odio per colonialisti e collaborazionisti e, non ultimo,
un soprannome.
Al compimento del decimo anno, Huy
ribattezza il proprio figlio "Nguyen Tat Thanh". E' un'usanza comune,
in Vietnam.
Thanh compie gli studi in un clima di
rancore e tensione: sono gli anni delle corvées obbligatorie, gli uomini
vengono prelevati a forza dai villaggi per lavorare alla strada Hué-Vinh. Molti
disertano, la sua famiglia ne nasconde parecchi. Sono anche anni di rivolte
nazionaliste represse nel sangue.
A ventun anni Thanh è a Saigon, dove
s'imbarca come fuochista e cuciniere su una nave da carico francese, la Latouche Tréville.
Dice di chiamarsi "Van Ba". Nei due anni di servizio, fa scalo a
Orano, Dakar, Diego Suarez, Porto Said, Alessandria… In tutte queste città, i
colonialisti si comportano come in Indocina. Per la prima volta, Ba percepisce
i limiti del nazionalismo e la "dimensione globale" (si direbbe oggi)
del problema.
Nel 1913 fa scalo a San Francisco, poi a
Boston. A Brooklyn si ferma per quasi un anno. Constata che agli immigrati
cinesi di Harlem, con cui discute in cantonese, sono garantiti gli stessi
diritti degli altri cittadini americani. Fino alla morte, proverà un sentimento
ambivalente nei confronti degli States, paese di grandi tradizioni democratiche
eppure potenza militarista e imperialista.
Alla vigilia della prima guerra mondiale è a
Le Havre, dove abbandona per sempre la vita marittima. Perde un po' di tempo
bighellonando e facendo il giardiniere, poi attraversa la Manica e si stabilisce a
Londra.
Nella nebbiosa metropoli in cui fu esule
Marx, Thanh frequenta socialisti e nazionalisti irlandesi. Aderisce al Lao
Dong Hoi Ngai ("lavoratori d'oltremare"), un'organizzazione
clandestina di radicali asiatici. Fa lo spalaneve, poi lo sguattero, infine
l'aiuto-cuoco all'Hotel Carlton. Lo chef, il grande Georges Auguste
Escoffier, lo promuove al rango di pasticcere.
Presto si accorge che se rimane a Londra non
può far niente per il proprio paese. Deve entrare nel ventre della bestia, dove
vivono più di centomila immigrati vietnamiti.
Nel 1917, pochi giorni prima della
Rivoluzione d'Ottobre, il figlio dell'ex-guardiano di bufali arriva a Parigi
col nome di Nguyen Ai Quoc ("Nguyen il patriota").
La sua vita sta per cambiare per sempre.
Lavorando come ritoccatore di fotografie campa a stento, ma che importa? Si
trova nella Parigi dei dadaisti, capitale culturale dell'occidente, dove va
scoprendo le tradizioni umaniste, socialiste e rivoluzionarie del popolo che
credeva suo nemico. Dunque i francesi non sono tutti capetti e gendarmi! Legge
i libri di Hugo e Zola, frequenta socialisti e radicali, diventa amico del
futuro premier Léon Blum.
Nel 1920 nasce il Partito Comunista
Francese: Quoc vi aderisce. Ha intuìto che dall'Unione Sovietica va partendo
un'onda sismica, quella che in poco più di quarant'anni travolgerà gli imperi
coloniali.
Su L'Humanité del 28 dicembre 1920,
compare la fotografia di un orientale glabro e spettinato, costretto in un
abito scuro, garrotato dal nodo della cravatta su un colletto troppo inamidato.
E' una scena del congresso di Tours, dove si è consumata la scissione tra
socialisti e comunisti. Quoc è l'unico in piedi. Intorno a lui tutti, ma
proprio tutti, hanno barba e baffi. Come per schernire l'uomo dai molti nomi,
il giornale lo chiama "Nguyen Ai Quai"! Il resoconto stenografico del
congresso lo indica semplicemente come "il delegato dall'Indocina".
Nei sei anni che trascorre a Parigi, Quoc
diventa un formidabile libellista e propagandista. Scrive per L'Humanité
(quotidiano del PCF) e con altri comunisti d'origine asiatica e africana
pubblica il mensile Le Paria - Tribune du prolétariat colonial.
I suoi aforismi e paradossi fulminano il
lettore: «La figura della giustizia ha avuto un viaggio tanto difficile dalla
Francia all'Indocina che ha perso tutto ad eccezione della spada.»
Ovviamente, Le Paria attira
l'attenzione della polizia, più precisamente dell'ispettore Louis Arnoux,
dell'appena istituito servizio di vigilanza degli immigrati indocinesi. Quando
i due si incontrano in un piccolo caffè vicino all'Opéra, Nguyen Ai Quoc
è già una figura semi-mitologica, sfuggente: il suo nome è sulle labbra di
tutti gli immigrati dalle colonie. Arnoux, che nutre una profonda ammirazione
per quel trentenne magro dai modi gentili, chiede al ministro delle colonie
Albert Sarraut di concedergli un'udienza. Sarraut si rifiuta e si dice convinto
che Nguyen Ai Quoc non esista.
«Negli anni 1926, 1927, le imprese di
Nguyen Ai Quoc, che passavano da bocca a orecchio, costituivano per la nostra
avida giovinezza i più bei soggetti di esaltazione […] Alcuni amici parlavano
con un entusiasmo senza limiti del nostro eroe che stampava a Parigi il
giornale ‘Le Paria' e viveva una vita disseminata di tranelli in qualche
altro paese straniero. »
Questo scriverà il generale Vo Nguyen Giap,
comandante-in-capo delle forze rivoluzionarie vietnamite. Negli anni a cui si
riferisce, il suo eroe si trova tra Cina e Unione Sovietica. Arriva a Mosca
alla fine del 1923. Sono le ultime settimane di vita di Lenin. Qui incontra
Stalin, Trotzkij, Bukharin, Radek, Zinoviev, Dimitrov, Thälmann... A tutti
rimprovera scarsa sensibilità per i problemi delle colonie, e in particolare
del sud-est asiatico. Si fa chiamare Linh, l'ennesimo pseudonimo.
Linh ha il suo momento di gloria
partecipando al quinto congresso dell'Internazionale Comunista (giugno-luglio
1924). E' forse l'ultima volta in cui il "Komintern" ha piena libertà
di opinione. Lo stalinismo è dietro l'angolo, ma i delegati non possono saperlo
e discutono del futuro con passione.
Nei suoi due interventi, Linh è molto
polemico col suo stesso partito, il PCF, che "non fa assolutamente niente
in campo coloniale" e il cui organo ufficiale presta maggiore attenzione
alle imprese sportive che a denunciare le condizioni dei contadini nelle
colonie. Dopo alcune stoccate sarcastiche, cifre alla mano, lancia accuse
contro l'espropriazione dei contadini e la complicità dei missionari cattolici
con gli imperialisti. Conclude dando per "imminente" la sollevazione
delle masse rurali nelle colonie, a cui "mancano solo l'organizzazione e i
dirigenti". E' compito dell'Internazionale Comunista fornire loro l'una e
gli altri.
Un discorso di impressionante lungimiranza:
manca ancora un quarto di secolo alla vittoria di Mao Zedong in Cina, e sono
lontanissimi i discorsi sulle "campagne del mondo" che devono
"accerchiare le città". Forse proprio grazie a questo intervento,
alla fine dell'anno lo mandano in Cina come interprete e segretario personale
di Mikhail Borodin, consigliere sovietico del leader nazionalista Chiang Kai
Shek, il cui Guomindang ("Partito Nazionale") è ancora alleato dei
comunisti nella guerra contro i signori feudali.
Nel gennaio 1925 Linh arriva a Canton col
nuovo nome di "Ly Thui". Fa anche il corrispondente per un'agenzia di
stampa sovietica. I suoi dispacci sono firmati "Lou Rosta".
A Canton vivono molti esuli politici
vietnamiti, alcuni molto giovani e affascinati da metodi terroristici. Pochi
mesi prima dell'arrivo di Ly Thui, un giovane rivoluzionario ha attentato alla
vita del governatore generale dell'Indocina, in visita diplomatica a Canton,
scagliando una bomba contro la sua auto. L'uomo dai mille nomi contatta questi
cospiratori, tiene loro corsi di marxismo e inizia a pubblicare il giornale Thanh
Nien ("Gioventù rivoluzionaria").
E' forse il primo, vero passo verso la
fondazione del Partito Comunista Indocinese.
Ma la gamba che lo ha compiuto inciampa nel tradimento:
è la primavera del 1927 quando Chiang Kai Shek rompe l'alleanza coi comunisti e
soffoca nel sangue lo sciopero generale di Shanghai.
Ly Thui si precipita a Mosca, ma il
Komintern non ha grossi incarichi da affidargli. Trascorre un anno girando per
l'Europa, lo avvistano a Berlino, in Svizzera, addirittura in Italia. Rimette
anche piede a Parigi col nome di "Duong".
Alla fine del 1928, l'uomo dai mille nomi
si trova a Bangkok. Ha la testa rasata e veste la tunica gialla dei monaci
buddisti. Fa proselitismo tra i bonzi con una sintesi di buddismo e
nazionalismo pan-asiatico. Nei templi diffonde una visione del mondo
dialettica, una totalità armoniosa che rigetta un solo corpo estraneo: il
potere colonialista. Forse risale a questa spinta l'effetto-valanga
dell'opposizione buddista ai governi-fantoccio dell'area, che avrà il suo più
alto momento simbolico nel 1963, coi roghi di monaci a Saigon.
Qualche mese più tardi, nelle province
nordorientali del Siam, si sente parlare di un certo "padre Chin", un
comunista vietnamita che si spaccia per monaco proveniente dalla Cina. Padre
Chin contatta la comunità degli espatriati vietnamiti e riprende i fili della
cospirazione.
A partire dal 1929 il Vietnam è scosso da
scioperi operai, insurrezioni, repressione. L'aviazione francese arriva a
bombardare interi villaggi. L'uomo dai mille nomi capisce che è tempo di
fondare un partito comunista unitario, riconciliando i diversi gruppi marxisti
clandestini. Il Partito Comunista Indocinese viene fondato sugli spalti
di uno stadio di calcio a Hong Kong, durante una partita. E' il febbraio 1930. L'uomo dai mille nomi
resta nella colonia britannica col nome di "Tong Van So".
Nel 1932 la polizia di Hong Kong arresta
"il noto agitatore Nguyen Ai Quoc". A segnalarne la presenza in città
sono stati i servizi segreti francesi nella persona di Louis Arnoux, l'uomo che
da anni ne segue le tracce e un giorno si sentì dire che aveva parlato a un
fantasma.
Un avvocato locale ottiene il rilascio su
cauzione. Quoc fugge in Cina e fa diffondere la notizia della propria morte per
tubercolosi. L'annuncio viene dato dalla stampa sovietica e ripreso dai
giornali francesi. Le autorità francesi chiudono la pratica per decesso del
sorvegliato. A Mosca gli studenti indocinesi tengono una veglia funebre.
Per buona parte degli anni Trenta l'uomo che
danno per morto vaga tra URSS e Cina, usando tutti i mezzi di locomozione
immaginabili. Si dice che abbia relazioni con donne russe e cinesi, ma il suo
chiodo fisso rimane l'indipendenza del Vietnam.
I viaggi di questi anni intaccano la sua
salute: i polmoni perforati dalla tisi, l'intestino squassato da una
dissenteria amebica, il corpo tremante a causa della malaria.
Nel 1939 la repressione decapita il Partito
Comunista Indocinese. I dirigenti, tra cui Vo Nguyen Giap e Pham Van Dong,
devono riparare in Cina, dove la pressione popolare ha costretto Chiang Kai
Shek a una nuova alleanza coi comunisti.
Scrive Giap: «Si era in giugno, il mese
della piena estate a Kunming. [Un compagno] mi invitò a una passeggiata verso
il lago di Thun Ho […] Noi camminavamo a passi lenti lungo la riva, quando un
uomo d'età matura, vestito all'europea, con un cappello di feltro grigio si
avvicinò a noi. [Il compagno] fece le presentazioni: "Il compagno Vuong.".
Era lui, Nguyen Ai Quoc. Confrontandolo con la famosa fotografia di vent'anni
prima, mi sembrò più vivace, più all'erta, benché sempre così magro. S'era
lasciato crescere la barba […] Un dettaglio mi colpì, e non l'ho mai
dimenticato: parlava con l'accento del Vietnam centrale. Non avrei mai creduto
che potesse conservare tale accento dopo una così lunga assenza. »
Nel 1940 i tedeschi occupano la Francia. I loro alleati
giapponesi fanno lo stesso con l'Indocina. Non solo: spazzano via gli inglesi
dalla Malesia e gli olandesi dall'Indonesia. Annientano le forze statunitensi
nelle Filippine. Una potenza asiatica travolge i colonialisti occidentali.
L'uomo che danno per morto evita l'errore
ideologico di molti nazionalisti dell'area, e si guarda bene dall'appoggiare i
giapponesi, che sono sì asiatici ma pur sempre fascisti: guarda invece con
attenzione agli Alleati, che nell'estate del 1941 sottoscrivono la Carta Atlantica,
con l'impegno di "ristabilire i diritti sovrani e l'autogoverno dei popoli
che ne sono stati privati con la forza".
E' ovvio che Churchill e Roosevelt si
riferiscono solo ai popoli bianchi d'Europa, ma è comunque una pezza
d'appoggio.
Nel frattempo, spacciandosi per il
giornalista cinese Ho Quang, l'uomo che danno per morto rientra in Vietnam dopo
trent'anni di assenza. Chissà se pensa a quel giorno del 1911, il porto di
Saigon che s'allontana, e il cuoco della Latouche Tréville che lo mette
a pelare patate.
Si ferma a Pac Bo, nella regione Nung, a
ridosso della frontiera con la
Cina, dove i comunisti hanno deciso di fare base. Ci sono
anche Giap e Pham Van Dong. Tutti vivono in capanne e caverne. L'ex-pasticcere
del Carlton ne sceglie una scavata in una montagna di roccia calcarea. Proprio
di fronte, scorre un ruscello. Ribattezza la montagna "Karl Marx" e
il ruscello "Lenin".
Per un anno indosserà l'abito azzurro dei
montanari Nung, lavorando senza sosta alla propaganda anti-giapponese e
anti-colonialista.
Su queste montagne nasce la Lega per l'Indipendenza del
Vietnam, con lo scopo di riunire "patrioti di tutte le età e di tutte le
classi: contadini, operai, commercianti e soldati."
Il nome originale è: "Viet Nam Doc Lap
Dong Minh".
Passerà alla storia col nome abbreviato di
Vietminh.
Nel luglio del 1942 l'uomo che danno per morto
decide di tornare in Cina, per ottenere l'appoggio di Chiang Kai Shek contro
gli invasori giapponesi, e per riallacciare i legami col partito comunista
cinese e, attraverso di esso, con Mosca.
Appena varca la frontiera, lo arrestano
insieme alla sua guida. Seguono tredici mesi di durissima prigionia, con marce
forzate da un carcere all'altro, quaranta-cinquanta chilometri al giorno con le
catene ai piedi, tormentato dalla scabbia, nello stomaco solo una manciata di
riso. Nelle pause scrive un diario in versi, in tutto un centinaio di poemetti
nel mandarino classico dell'epoca Tang (VI-IX sec. d.C.): «Le guardie mi
trascinavano / portando in spalla un maiale. / Il maiale si porta, / l'uomo si
tira al guinzaglio. »
Nel frattempo i compagni lo credono morto.
Una morte dentro l'altra.
Giap: «Qualche mese dopo, ricevemmo un
giornale spedito dalla Cina. Sulla fascia, i caratteri d'una scrittura che
conoscevamo bene: "Ai miei cari amici. Buona salute e coraggio nel lavoro.
Sono in buona salute." Seguivano questi pochi versi:
"Le nubi abbracciano i monti, / i monti
stringono le nubi. / Come uno specchio / che nulla offusca, / il fiume scorre
con acqua limpida. / Sulla cresta dei monti / vento dell'ovest. / Io vado solo
/ col cuore che palpita. / Scrutando il cielo lontano / penso ai miei
compagni."
Eravamo ebbri di gioia, ma non per questo
meno sbalorditi. Ci guardavamo in volto, ci chiedevamo l'un l'altro: "Che
vuol dire? Com'è possibile?" e assillavamo di domande il compagno Cap, che
ci aveva portato la triste notizia. "Non ci capisco niente nemmeno
io", ci rispose lui. "Il governatore cinese mi aveva detto
testualmente che era morto." "Cerca di ricordare esattamente quel che
ti ha detto."
Cap ripeté le parole precise del
governatore e tutto ci divenne chiaro. Il nostro compagno aveva confuso gli
accenti tonici e aveva scambiato le parole "Chu leu, chu leu" (bene,
bene) per "su leu, su leu" (già morto, già morto).
Alla fine del 1943, uscito di galera, l'uomo
scampato all'inferno adotta un nome cinese.
E' l'ultimo nome della sua vita. Quello con
cui lo conosceranno in tutto il mondo.
Significa "portatore di luce".
Quando, nel 1945, un ufficiale del servizio
informazioni di Cao Bang
telegraferà a Parigi che il "portatore di luce" altri non è che il
famigerato Nguyen Ai Quoc, un funzionario di rue Oudinot s'affretterà a
rispondere: «Chi è quel pazzo che ci manda una simile informazione? Lo sanno
tutti che Nguyen Ai Quoc è morto a Hong Kong tra il 1931 e il 1935!»
Uno spettro.
Ho Chi Minh.
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