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Storia di Soviet (1950-99)
La situazione alla Mezzogiorno di fuoco,
con la sfida rusticana nella piazza di Castelfiorino, fece sì che decine di
testimoni parlassero di "legittima difesa". In fin dei conti, era
stato Garau a estrarre il coltello, l'avevano visto tutti. E poi, mio nonno
s'era volontariamente consegnato all'Arma. L'avvocato Guerrini di Bologna,
assunto dal Partito per difendere gli imputati nei due processi (quello per
l'uccisione di Garau e quello per l'attentato in canonica), chiamò a deporre
l'ex-tenente Rizzi, nel frattempo congedato e tornato a vivere a Polesella,
provincia di Rovigo.
Fu come scoperchiare il vaso di Pandora.
L'esempio di Rizzi persuase a testimoniare molti altri che negli anni
precedenti s'erano trovati tra le grinfie di Garau. Si parlò di torture,
sevizie, pestaggi e innumerevoli irregolarità procedurali ad opera del fu
maresciallo. La stampa locale ci mise del bello e del buono per soffocare lo
scandalo. Un editorialista del Giornale dell'Emilia chiese addirittura
che tutti i testimoni e l'avvocato difensore rispondessero del reato di
"vilipendio delle Forze Armate dello Stato". In Procura nessuno gli
diede ascolto.
Certo, i giudici non potevano mandare
assolto un comunista che aveva ammazzato un pubblico ufficiale, ma se lo
avessero condannato per omicidio volontario, o se non avessero tenuto conto
delle testimonianze sulla mala condotta della vittima, ci sarebbe stata una
specie di insurrezione, magari uno sciopero generale nelle campagne, e chi mai
voleva assumersi la responsabilità di aver riacceso la miccia dei tumulti? Così
Soviet fu condannato al minimo della pena previsto per l'omicidio preterintenzionale:
dieci anni ridotti a sette anni e otto mesi, tenuto conto delle attenuanti di
cui agli artt. 62, comma 2 e 62bis.
Quanto al processo per la bomba in canonica,
i giudici non vollero ascoltare Rizzi, ma l'avvocato Guerrini spuntò
un'assoluzione per insufficienza di prove. All'inizio del '51, Checo e Jerry
erano fuori. Con la libertà condizionale, Soviet tornò a casa nel settembre del
'55.
Guido s'era preso cura di mia nonna e dei
suoi due figli. Quando Soviet uscì di prigione, Antonio (mio padre) e Adriano
facevano rispettivamente la seconda e la quarta elementare. Nonna continuò a
lavorare alla trattoria, con Guido, e Soviet tornò nel sindacato. Nel ‘58
divenne capolega di Castelfiorino. Nel '61, vice-presidente dell'ANPI. Diventò
suocero nel ‘68, quando Antonio sposò Giovanna, figlia di un gappista,
anche lui Medaglia d'Argento, morto di tubercolosi nel '49. Soviet stravedeva
per sua nuora, che lo rese nonno l'anno successivo, quando nacqui io.
Il progressivo allontanamento del PCI
dall'URSS gli parve cosa buona e giusta. Nel '56 era stato favorevole
all'invasione dell'Ungheria, perché secondo L'Unità Imre Nagy era un
reazionario e un anticomunista. Ma nel '68 sua nuora, mia madre, l'aveva
convinto che la
Cecoslovacchia era stata non solo un errore, ma una vera
infamia.
Siccome mio nonno non era un cretino, era
andato all'Istituto Gramsci a rileggersi i giornali di dodici anni prima, e
aveva concluso che anche l'Ungheria era stata "una gran brutta roba",
che i paesi socialisti non dovrebbero invadersi tra loro né guardarsi in
cagnesco come facevano urss e
Cina, sennò si fa il gioco della reazione, e se c'era arrivato il capolega di
Castelfiorino com'è che non c'era arrivato il segretario del pcus? C'erano due possibilità: o i
dirigenti del Partito sovietico erano dei ritardati, oppure erano dei
manigoldi. E se alla testa del Partito-guida del blocco socialista c'erano dei
ritardati o dei manigoldi, voleva dire che quello là non era socialismo. No,
mio nonno non era per niente un cretino. Al bar tutti i suoi amici gli
dicevano: «Ma cosa vuoi che ne sappia, quella ragazzina lì! Va là che i
compagni russi lo sanno, quello che fanno, e se hanno mandato i carri armati
una ragione ci sarà.
Però nessuno lo offendeva o dava in
escandescenze, primo perché Soviet era uno che menava, secondo perché il bar
era di Guido (il suo migliore amico) e lo mandava avanti Caterina (sua moglie),
e siccome al bar della parrocchia non voleva andarci nessuno, conveniva non
inimicarsi né l'uno né l'altra.
Il "compromesso storico" non lo
convinse per niente. Anche sul '77 e sul terrorismo, ebbe opinioni poco
ortodosse, che nel pci gli
attirarono molte critiche. Diceva che era anche colpa del Partito se "quei
ragazzi" avevano perso la bussola e s'erano messi a bastonare, incendiare,
sparare: la dirigenza s'era imbolsita, era affetta da "cretinismo
parlamentare", dopo il '68 non aveva più saputo comunicare coi movimenti.
Perché fingere che in Italia, dopo trent'anni di regime dc, non ci fossero buoni motivi per agitare le piazze,
occupare le scuole, scontrarsi con la celere e coi carabinieri? Lo sapevano
benissimo, i compagni dirigenti, che la celere si comportava ancora come ai
tempi di Scelba, e che molti carabinieri erano ancora come quel Garau. Sì, da
sindacalista gli dispiaceva che gli autonomi se la fossero presa con Lama e
l'avessero cacciato dall'Università di Roma, ma insomma, se fossero stati gli
studenti a entrare in una fabbrica occupata per intimare agli operai di tornare
al lavoro, non sarebbero stati presi a pedate nel culo? Perché proprio il
segretario della cgil era andato
a chiedere agli studenti di smobilitare? Quella lì era competenza del questore
o del prefetto. Lavoro da sbirri, mica da compagni.
Il segretario della sezione, nel sentire
quelle eresie, non aveva mai il coraggio di dirgli niente, perché lui era
Soviet, uno che aveva combattuto contro i fascisti e i tedeschi, aveva
accoppato un aguzzino a mani nude e si era fatto pure la galera. Nel Partito e
alla Camera del Lavoro si dava la colpa alla senilità e a Giovanna, sua nuora,
"gruppettara" e "femminista", e poi, possibile che uno che
si fa chiamare "Soviet" faccia critiche del genere al Partito e ai
compagni russi?
Alla fine, almeno sul ruolo dell'URSS, il
Partito dovette dargli ragione. A Castelfiorino un bel po' di iscritti andarono
a Canossa, dalla famiglia Zani. "Queste sì che sono soddisfazioni",
fu il commento di mio nonno, e un pomeriggio al bar offrì da bere a tutti,
anche a quelli che a Canossa non c'erano venuti.
Il 4 febbraio del '98 ha avuto un brutto attacco
di cuore. Ma aveva una tempra incredibile, e si è ripreso quasi subito. Dopo
nemmeno un mese, camminava di nuovo senza bastone. Ma non è durato a lungo: un
secondo infarto lo ha stroncato l'anno scorso.
Nonna Caterina lo ha seguito pochi mesi
dopo. Nei giorni successivi, Guido, affaticato dagli anni ma sempre lucido, mi
ha raccontato tutta la storia, nei dettagli. Dovevo sapere.
Mi ha lasciato a bocca aperta.
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