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Vitaliano Ravagli -Wu Ming Asce di guerra IntraText CT - Lettura del testo |
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12 Castelfiorino (Bo), 24 gennaio 2000
«E questo poveretto l'hanno rimpatriato così, senza che potesse nemmeno contattare te o i suoi?» «Sì, e la moglie e il figlio piccolo sono nella merda. A malapena sono riuscito a sistemarli in un centro di accoglienza per donne extra-comunitarie.» «Questa gente non ha diritti, la descrivono come una marmaglia di spacciatori e papponi, la ammassano in quelle specie di gulag senza che nessuno protesti, mi viene un magone…» «Qualcuno protesta, ma'... » «Va bene, qualcuno protesta, ma dovrebbe farlo molta più gente, come in Francia per i sanpapié! ‘Sto famoso "popolo della sinistra" dov'è? Te lo dico io, dov'è: in rianimazione! Tra il coma profondo e la morte clinica. E intanto altroché "centrosinistra", abbiamo un vero e proprio governo di destra, che lecca i piedi al papa, pretende che io con le mie tasse sovvenzioni le scuole private cattoliche, fa la guerra insieme agli americani, e vedrai che tra un po' ci tolgono anche l'aborto!» Comincia una delle tirate di mia madre, la "Giovanna di Rifondazione", che a Castelfiorino conta la bellezza di sedici militanti, o per i più vecchi "la nuora di Soviet". Nessuno la definirebbe mai "l'ex-moglie di Antonio Zani", che poi in paese era più noto come "il figlio più grande di Soviet" o addirittura "quello dell'Anagrafe", perché lavorava in Comune. Diciamo che in famiglia non era lui a portare i pantaloni. Quando si separarono nell'85, lui andò a vivere a Modena con una tipina taciturna e remissiva. Anche lì ha sempre lavorato al municipio. Nel '90 è andato in pensione anticipata, e da allora si dedica al modellismo, il suo hobby di sempre. Mia madre invece è rimasta coi suoceri, coi quali s'era sempre trovata bene, e ha continuato a fare l'insegnante di lettere alle medie. Ora che i nonni sono morti, vive da sola nella loro casa. A 52 anni, si è recentemente fidanzata con uno poco più vecchio di me, un coltivatore diretto che si chiama Ares Malatrasi, ma tutti lo chiamano "Travolta" perché somiglia vagamente all'attore. Travolta siede proprio di fronte a me, non dice niente, pare gli interessino solo i tortelloni che ha nel piatto e le notizie del telegiornale a cui lancia un'occhiata ogni tanto. Non è che io e lui si sia mai legato molto. Mia madre è a capotavola. Quando parte con le sue sfuriate contro "il governo & i padroni" tendo a lasciar cadere il discorso. «Ieri con Guido abbiamo parlato di nuovo di Soviet, sai? Mi ha raccontato una cosa strana, che non immaginavo… Che il nonno insisteva a dire che bisognava fare le brigate internazionali per le guerre di liberazione del sud-est asiatico, intendo già negli anni Cinquanta. Ne sai qualcosa? Ti ha mai detto niente?» «Non mi meraviglia, Soviet era un vero internazionalista. Che qualcosa accadesse sotto casa sua o dall'altra parte del mondo non faceva mica differenza. Divorava le cronache estere dei giornali, in un paesino così piccolo era il suo modo di sentirsi partecipe delle sorti del mondo. Non mi meraviglia per niente, ma con me non ha mai accennato di brigate internazionali. Ma io l'ho conosciuto molto più tardi, a fine anni Sessanta. Guido cosa ti ha detto?» Travolta è già passato all'insalata. Non ha ancora aperto bocca, se non per mangiare. Io ho ancora il piatto mezzo pieno. «Niente di particolare in realtà. Solo un accenno a degli italiani che sarebbero andati da quelle parti a combattere. Ma per il nonno si doveva fare molto di più… in maniera più organizzata, voleva che il partito si impegnasse apertamente. No, è che mi incuriosiva il suo interesse per vicende così lontane, quando il mondo era molto più grande di adesso. In quegli anni l'Indocina avrebbe potuto essere Marte.» «Ascolta, Daniele, i comunisti di quella generazione erano stronzi, maschilisti, stalinisti, poi c'erano anche quelli aperti, in gamba, come tuo nonno… pochi a dire la verità. Ma una cosa ce l'avevano tutti. Il loro orizzonte era il mondo. Per Soviet questo era del tutto naturale. Per lui le guerre di liberazione coloniali erano il proseguimento diretto di quella che aveva combattuto. Ti ricordi per il Nicaragua? Non era mica più un giovanotto, ma ancora se la prendeva a cuore. E poi per la guerra del Golfo? L'avevo visto poche volte così incazzato. Mi faceva quasi paura. E anche per il Kossovo, se non avesse già avuto il primo infarto, sono convinta che sarebbe stato sempre in strada a farsi sentire. » Abbassa lo sguardo. «Mi manca, sai? E anche Caterina. Sembrava tanto modesta, ma sotto sotto era di ferro. Ha tirato su due figli con il marito in galera, senza perdere un grammo di dignità. Mi mancano… E ancora di più quando guardo quelli della mia generazione. Bolsi, arroganti, disposti a ogni compromesso. Senza dignità. Mi fanno incazzare, perché a rimpiangere i vecchi ci si sente vecchi. Lo sai che ho sempre disprezzato l'elogio dei "bei tempi", che in realtà non ci sono mai stati. Ma questa mollezza che ci circonda, proprio non la sopporto.» Eccola qua, Giovanna, mia madre, da poco passati i cinquant'anni. Poche certezze, qualche nostalgia, ma non si arrende alla mediocrità. Penso a tutti i pezzi di merda che ha visto crescere davanti ai suoi occhi. Tutta la feccia che occupa redazioni e segreterie di partito. I blazer blu che ci danno lezioni di economia liberale e bombardamenti chirurgici. I compagni. Gli ex. Mi fai tenerezza, Giovanna, ma non è compassione. Un misto di rispetto, ammirazione e stupore per l'apertura che ancora dimostri. E per i sedici iscritti della tua sezione. Tutto quello che non riesco a dirti. Trovo un pretesto per cambiare ancora discorso: «A proposito, ma', hai visto l'ennesimo articolo sull'emergenza immigrati del Resto del Carlino?» glielo appoggio sul tavolo. Finito il pranzo, mia madre rigoverna la cucina, e io mi siedo sul divano accanto ad Ares, a sorseggiare il caffè. All'improvviso, senza smettere di fissare lo schermo, Travolta proferisce verbo. «Il Resto del Carlino tra il '43 e il '45 è stato il giornale della Repubblica Sociale, lo sapevi? Il direttore aveva anche incarichi di governo. Quando ci fu la strage di Marzabotto, scrissero che era una calunnia messa in giro dai partigiani. Dopo la fine della guerra hanno cambiato nome per far finta di essere cambiati anche loro. Si chiamava "Il Giornale dell'Emilia". Solo otto-nove anni dopo hanno ripreso il nome di prima, ma era sempre lo stesso giornale. Il giornale più venduto a Bologna, anche quando era la città più rossa d'Italia. Questo secondo me spiega molte cose…» Resto senza parole. Pensavo che gli interessassero solo i tortelloni e la tv, invece… cazzo, Travolta!
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