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Vitaliano Ravagli -Wu Ming Asce di guerra IntraText CT - Lettura del testo |
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34Sentieri dell'odio(Teo)
Rampolli Orlando, detto "Teo". Al bar Nicola ne avevo sentito parlare centinaia di volte: tutti quelli che pretendevano di essere stati a Ca' di Guzzo finivano sempre per nominarlo, perché era lui l'eroe indiscusso di quella battaglia. Diventò leggendario, per me, già molto prima di conoscerlo, anche perché sapevo che era dovuto scappare in Cecoslovacchia, e per quanto nessuno volesse raccontarmi il motivo, si capiva che doveva aver abbassato le armi per ultimo. Quando tornò, intorno al '53, cominciò subito a frequentare il Cremlino. Abitava a Sesto ma era quasi sempre a Imola, e non c'era manifestazione o sciopero in cui non stesse davanti, in prima linea, a menarsi coi celerini. Fu in quelle occasioni che ci conoscemmo davvero. Dopo due o tre bastonature, si accorse che ero sempre lì, che non mi tiravo indietro, anche se ero molto giovane. Lui aveva almeno otto anni più di me. La prima volta che mi rivolse la parola disse: «Dio boia, babì, hai del coraggio! Se avevamo più ragazzi col tuo fegato, su in montagna, a quest'ora avevamo fatto la rivoluzione.» Quella frase mi inorgoglì moltissimo, anche perché da allora Teo mi prestò sempre più attenzione. Volle conoscere la mia storia, sapere della mia famiglia, dei fratelli tisici, del lavoro. Nacque una grande amicizia, un legame che non avevo mai avuto nemmeno in famiglia. Cominciò anche lui ad aprirsi con me, a raccontarmi cose che nessuno sapeva, anche se c'era sempre un limite oltre il quale non andava. Era scappato dall'Italia nel ‘46, accusato dell'omicidio di un tale che durante l'occupazione tedesca aveva fatto la spia per conto dei fascisti. Sebbene non fosse iscritto al partito, la federazione lo aiutò a raggiungere prima la Jugoslavia, via terra, attraverso il Carso, e in seguito la Cecoslovacchia. Il processo in contumacia si era poi concluso con l'assoluzione per insufficienza di prove, ma lui era rimasto all'estero ancora qualche anno. A fare cosa, non lo disse mai. Mi rivelò soltanto che non era stato assegnato all'organizzazione del PCI a Praga. Si capiva dallo sguardo che la permanenza lassù non era stata rose e fiori. Negli anni seguenti, ogni volta che il discorso cadeva sulla Cecoslovacchia, l'espressione gli si irrigidiva e ti trasmetteva un senso di delusione profonda. Come di chi è stato raggirato o costretto a fare cose che non condivideva. Tornato in Italia, era rimasto nascosto in attesa dei documenti che gli avrebbero permesso di restare. Quando i carabinieri lo interrogarono, per sapere dove fosse stato tutto quel tempo, rispose di non ricordarsi più nulla, di aver perso la memoria e di essersi aggregato a una carovana di zingari girovaghi. Mi accorsi presto che Teo era molto diverso dai compagni del Bar Nicola. Partigiani lo erano stati quasi tutti, con più o meno coraggio, e in un modo o nell'altro ognuno aveva un'impresa da raccontare: se non era Ca' di Guzzo era Ca' di Malanca, o Monte Battaglia o il Falterona. Ma Teo non si cullava nei ricordi, non si credeva un grande compagno solo perché era stato in montagna tra i primi o aveva tenuto a bada i tedeschi dalla cima di quel tetto. Lui continuava a combattere, sempre, in ogni modo possibile. Tutte le volte che qualcosa non gli tornava, lo faceva notare senza mezzi termini e se pensava che tu fossi diverso da come dovevi essere, allora facevi bene a stargli lontano. Per quello nessuna cooperativa si fece avanti per assumerlo, era facile immaginare il casino che avrebbe combinato là dentro. Rimase povero ed emarginato, ma con grande dignità. Era un lupo solitario che non si era messo l'animo in pace e non sarebbe mai sceso a patti con l'ingiustizia. Però se ti era amico era una persona molto generosa. L'esperienza partigiana gli aveva lasciato il senso della fratellanza nella lotta, quella che ti porta anche a farti ammazzare per aiutare un compagno in difficoltà. Per me, diventò un grande amico, a metà tra un fratello maggiore e un secondo padre, mise da parte il carattere ombroso e mi accolse sotto la sua ala. Così diventammo una coppia temibile. Non eravamo inquadrati nel partito e non prendevamo ordini da nessuno, ma tra il suo passato nella Resistenza e le mie infinite disgrazie, nessuno poteva dirci niente. Anche perché se ci avesse provato, se ne sarebbe pentito amaramente.
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