Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Vitaliano Ravagli -Wu Ming
Asce di guerra

IntraText CT - Lettura del testo

  • SECONDA PARTE
    • 49 Sentieri dell'odio (Cambio di strategia)
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

49

Sentieri dell'odio

(Cambio di strategia)

 

 

Dopo quei primi scontri, con perdite di uomini e materiali, e visto l'approssimarsi della stagione secca, i reparti governativi decisero di cambiare strategia.

Niente più rastrellamenti, che li esponevano alle nostre imboscate. Crearono gruppi di incursori per azioni di guerriglia, unità di combattimento "snelle", composte per la maggior parte da indigeni Meo, agli ordini di ufficiali laotiani e mercenari della Legione Straniera.

Alcuni degli indigeni combattevano ancora con arco e frecce. Questo non li svantaggiava affatto. In una guerra ravvicinata come è quella nella giungla, la precisione letale delle frecce avvelenate non aveva niente da invidiare alle armi automatiche. Gli bastava ferirti anche solo di striscio per metterti fuori combattimento: il veleno paralizzava l'arto colpito e causava una morte lenta e orribile.

Quel cambio di strategia mise in crisi il nostro comando. Con attacchi rapidi e mirati, potevano colpirci e scappare senza darci tempo di reagire. Sarebbe stato uno stillicidio lento e inarrestabile. Era necessario riorganizzare i reparti e adattarsi al nuovo tipo di guerra.

La tattica adottata fu la stessa del generale Giap contro giapponesi e francesi: piccole unità mobili disseminate nella foresta e staffette con perfetta conoscenza del terreno.

Ognuno dei nostri gruppi fu diviso in tre sottosquadre di venti uomini ciascuna, con eguale volume di fuoco, in grado di dividersi e ricongiungersi in qualsiasi momento. Oltre alle armi in dotazione e alle munizioni, dovevamo portare un maggior carico di bombe a mano, che fino a quel momento non avevamo usato molto, dato che eravamo quasi sempre noi ad attaccare a una distanza superiore a quella del lancio a mano. Le bombe non erano molto sofisticate: un tubo di diciotto centimetri, diametro di sei, imbottito di tritolo, con delle scanalature a quadretti sulla superficie. Al momento dell'esplosione ogni quadretto diventava un proiettile scagliato in un raggio di cento metri. Insomma, erano pericolose anche per chi le tirava.

Dovevamo abituarci a trasportare più munizioni, perché avremmo passato molti giorni lontani dai campi base. Questo implicava anche che non potevamo portarci dietro feriti. O eri in grado di camminare da solo o restavi lì e all'ultimo della fila sarebbe toccato finirti.

La mia arma, la versione cinese del mitragliatore Bren, pesava dieci chili e trecento grammi; i dodici caricatori quattrocentotrenta grammi ciascuno. Nello zaino portavo munizioni e bombe a mano per altri dieci e più chili e sempre poco cibo. Dopo dieci chilometri di corsa, il mitragliatore non pesava più dieci, ma quindici chili, dopo quindici chilometri ne pesava venticinque, più tutto il resto dell'equipaggiamento: canna di riserva, pistola e pugnale, armi e munizioni tolte al nemico.

 

Avevamo il compito di colpire e ripiegare veloci, pronti ad attaccare di nuovo e a trovare rifugio in luoghi inaccessibili, sottraendoci alla rappresaglia con marce forzate, sempre di corsa, per sfuggire ai Cobra.

La guerra di Corea, finita da poco, aveva reso disponibili grandi quantità di aerei e di elicotteri da combattimento. Tutto quell'arsenale era stato parcheggiato in Giappone, Thailandia, Vietnam del Sud, Filippine, Birmania, in attesa di essere riutilizzato. Allo stesso modo, molti veterani della Corea si trovavano ora in Laos e in Vietnam come istruttori delle truppe governative. Dalle basi della Thailandia, oltre il Mekong, partivano i raid sul Laos e questo rendeva gli spostamenti allo scoperto estremamente rischiosi. Il rifornimento non poteva più essere garantito solo con marce diurne, perché i portatori di giorno potevano muoversi solo nei tratti di vegetazione più fitta.

I percorsi possibili verso sud, per i rifornimenti, erano sostanzialmente due. I sentieri a mezza costa, sul versante occidentale della catena Annamitica, molto facili da individuare e da battere per l'aviazione nemica; oppure le piste a fondovalle, immerse nella vegetazione e praticamente "invisibili" dall'alto. Erano però terreni insidiosi, fitti di acquitrini fetidi e pieni di pericoli naturali. Quando scendevi là dentro, dovevi raccomandarti l'anima a Tho Cong, la divinità che protegge da belve e serpenti.

Il lavoro dei portatori riprendeva all'imbrunire e durava tutta la notte. Il pattugliamento nemico del territorio dove operavamo era affidato agli elicotteri da combattimento Cobra e ai caccia biposto a elica, i T28, già usati dagli americani in Corea e concessi al governo di Vientiane. Se notavano movimenti al di sotto della vegetazione, in pochi minuti l'area veniva mitragliata e "trattata" con il napalm.

Dovevamo imparare ad abbattere gli elicotteri con pochi tiri ben mirati, usando le pallottole traccianti ed esplosive. Ma se da un lato le pallottole traccianti aiutavano a mirare meglio e incendiavano facilmente gli elicotteri, dall'altro rendevano più facile per i mitraglieri dei Cobra scoprire da dove gli stavamo sparando.

Dopo i primi Cobra abbattuti, stimarono più prudente scorrazzare molto più alti e questo migliorò parecchio il nostro morale. Era più che mai attuale il concetto espresso da Li alcune settimane prima: «Tu colpire, loro cadere.»

 

Il percorso nella giungla non aveva niente a che spartire con quello che avevo visto nei film di Tarzan. I sentieri, quando c'erano e non eravamo costretti ad aprirli noi stessi coi machete, erano poco più che spiragli in un muro di vegetazione compatto, alto trenta cinquanta metri. Là sotto, in quelle "gallerie" verdi, non c'era luce. Di notte la temperatura poteva avvicinarsi allo zero. Era freddo e buio. Un buio fitto, in cui procedevamo con una visibilità di pochi metri e dal quale potevano saltare fuori pericoli di ogni tipo: dalle centoventi specie di serpenti velenosi, alle tigri, ai nemici in agguato. Quando il sole riusciva ad aprire uno squarcio nel tetto di rami era abbagliante e causava un enorme sbalzo termico. Per sopportare lo sforzo e la paura mi insegnarono a masticare le foglie di una pianta particolare. Tenendone in bocca una pallina non sentivo più la fame, i sensi si risvegliavano e la fatica era più sopportabile.

 

Gli scontri ravvicinati nella giungla erano i più terrificanti, ma per fortuna anche i più brevi. Attaccavano in pochi, in un punto qualsiasi della colonna, a volte in più punti nello stesso momento. Sceglievano le loro vittime, colpivano solo quelle, poi scappavano nel groviglio della foresta. A noi non rimaneva altro da fare che scaricare tutta la potenza di fuoco di cui disponevamo sui due lati del sentiero e sperare di colpirne qualcuno. Poi, riprendere inesorabilmente la marcia.

Ai nemici feriti potevi sperare di estorcere informazioni sugli spostamenti dei loro gruppi e sui loro punti di ricongiunzione. Quando le ottenevamo, ci spostavamo per intercettarli a nostra volta e rendergli il servizio. Le controimboscate lasciavano campo libero all'odio e alla vendetta più sanguinaria. Non avevamo pietà per nessuno di loro.

Il comandante Li non voleva che torturassimo i prigionieri. Dovevamo distinguerci dai nemici, e in certi casi risparmiavamo i prigionieri che accettavano di collaborare e li integravamo nelle nostre squadre dopo una rapida "rieducazione". Il trattamento consisteva nell'esposizione paziente dei fatti storici che avevano trascinato il popolo Lao alla guerra fratricida: il colonialismo e il dominio occidentale sulla penisola che proseguiva anche dopo l'indipendenza. I francesi erano arrivati quando i loro nonni erano giovani, settant'anni prima, si erano impossessati di tutto, avevano devastato i santuari, offeso le tradizioni. Avevano ucciso gli uomini più coraggiosi che li avevano contrastati. Avevano violentato madri e sorelle e ingannato le più fragili, trascinandole nei bordelli di lusso, per i signori d'Occidente e per i ruffiani locali. Avevano sconvolto il loro mondo.

Spesso questi discorsi facevano aprire loro gli occhi, spazzando via la propaganda governativa filo-occidentale che ci dipingeva come mostri sanguinari. Quando capivano di aver combattuto e ucciso dei fratelli che lottavano per il loro paese, la reazione era disperata e straziante. Ma da quel momento sapevamo che ci sarebbero rimasti fedeli per riacquistare l'onore perduto.

Con i giovani Meo non funzionava quasi mai. Preferivano la morte, piuttosto che tradire i loro signori e niente poteva convincerli. Quando uno di loro cadeva nostro prigioniero sapevamo di non  potergli cavare nulla.

 





Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License