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Vitaliano Ravagli -Wu Ming Asce di guerra IntraText CT - Lettura del testo |
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9 Castelfiorino (BO), 23 gennaio 2000
I pezzi sono già sulla scacchiera. «E' stata mia madre a dirti che venivo?» Gli occhi grigi di Guido sorridono: «Parla sempre di te, figurati se non me lo diceva. Mi ha detto che volevi chiedermi delle cose. A te il vantaggio.» indica i bianchi e muovo il primo senza pensarci troppo. «Vuoi qualcosa? Dico alla Sina di portarti un bicchiere di vino?» «No, ti ringrazio, sono a posto così.» «Allora muovi, che vediamo se sono troppo rimbambito per vincere ancora.» Guido non se la passa male. Per la sua età è ancora in gamba. Dice che sono gli scacchi a mantenergli allenata la mente. Quando torno al paese, sempre più di rado negli ultimi tempi, non posso sottrarmi all'immancabile sconfitta. Il bar ormai lo ha lasciato, ma vive sempre nell'appartamento al piano di sopra, insieme alla moglie Sina, lo stesso dove si rifugiò mio nonno quando tornò per farsi giustizia. «E' parecchio non ti fai vedere.» «Eh, il lavoro, Guido, il lavoro…» «Cos'è che volevi sapere?» «Volevo che mi parlassi del nonno.» «Be' perché, non ti ho già detto tutto dopo il funerale?» «Ad esempio non mi hai detto dove è stato l'anno che è sparito.» Guido sorride e alza le spalle, finge di concentrarsi sul gioco, poi muove il cavallo. «Non te l'ho detto perché non lo so. Non lo disse a nessuno, nemmeno a tua nonna.» «Ma un'idea te la sarai pur fatta. Era o no il tuo migliore amico?» Mi guarda con l'aria sorniona: «Avresti dovuto chiederlo a lui, finché era vivo.» «Lo so. Pensi che me l'avrebbe detto?» Sorride ancora, tossisce, sputa nel fazzoletto. «Mi sa che non te lo diceva. Però hai ragione, io credo di saperlo, dov'è stato.» «Dove?» «In Cecoslovacchia. Muovi, se no facciamo notte.» Sposto un pedone per liberare l'alfiere. «Come fai a dirlo?» «Perché ogni tanto gli scappava detta una parola, che poi io ho scoperto che era una parola cecoslovacca. Adesso non mi ricordo più quale. E poi sai, in quegli anni era lì che andavi, se avevi guai con la giustizia. Ci sono stati in tanti…» «Si è fatto cinque anni di galera. Ha mai avuto rimpianti?» Guido scuote la testa: «Tuo nonno non era uno che si guarda indietro. A quel delinquente di Garau bisognava farla pagare. Aveva fatto a Checo e Jerry roba da SS. Non avevamo fatto sconti ai tedeschi, perché doveva passarla liscia lui? Nessuno ha mai criticato Soviet per quello che ha fatto.» Mentre cerco di limitare i danni sulla scacchiera, penso alle domande che non ho rivolto a Soviet e che forse posso fare a Guido. «Da quello che mi hai raccontato, lui non era un tipo tanto tranquillo. Insomma, voglio dire, anche per il partito era solo uno spaccamaroni.» «No, solo no, era capo lega, molto stimato, però è vero, con gli anni era diventato sempre più scomodo.» «Con gli anni? Vuoi dire che sull'amnistia di Togliatti era d'accordo?» Sgrana gli occhi e tossisce ancora. «No, no. Era incazzato nero » prende fiato «Allora, se vuoi sapere le cose per bene ti devo fare un discorso generale. Adesso ormai sono passati tanti anni e il comunismo è caduto dappertutto. Nessuno ci pensa più. I vecchi come me non hanno più voce in capitolo. Però devi sapere che io e tuo nonno, senza andarlo a sbandierare, l'amnistia di Togliatti non l'abbiamo mica digerita. E non eravamo certo i soli. Poi col passare degli anni ci hanno raccontato quello che volevano e si è dimenticato tutto.» «E non avete protestato in Federazione, non avete detto niente?» «Allora non vuoi proprio giocare, ho capito» sospira e si stringe nel golfino, parla lentamente «Devi sapere che il marxismo, la teoria, per me e per tuo nonno è venuta dopo la guerra, alla scuola di partito. Eravamo comunisti certo, da sempre, ma mica per l'ideologia. Per odio contro gli agrari, contro i loro scagnozzi in camicia nera che picchiavano i braccianti. E anche quando siamo entrati in brigata lo abbiamo fatto per il senso dell'ingiustizia. Perché l'avevamo provata sulla nostra pelle e sentivamo di non poterla più sopportare. Avremmo anche rischiato di morire, ma piegare la testa e subire in silenzio, quello no. Capisci? Ma senza il Partito non saremmo stati niente, cani sciolti, ‘sgrazié. Il Partito ci dette un'istruzione, un modo di vedere il mondo. E un'organizzazione che senza quella, qua in campagna, combinavamo poco. Il Partito era tutto. Nel ‘46 Togliatti era ministro di Grazia e Giustizia e disse che ci voleva un'amnistia per chiudere con la guerra ed evitare il finimondo. Bisognava fare un compromesso, così ci dissero, che in quel modo lì si scontavano i crimini ai fascisti, ma anche le azioni di guerra dei partigiani. Pari e patta, tutti contenti. Invece no, tutti scontenti! Perché le porcherie dei fascisti erano durate vent'anni e la guerra partigiana era stata una guerra di liberazione. Mica potevi metterle sullo stesso piano! Ma Togliatti disse che era meglio così, altrimenti non ci avremmo più cavato i piedi, che il fascismo era stato sconfitto e c'era da fare l'Italia democratica.» L'avvocato del diavolo, con ironia: «Be', era vero. C'era il governo di unità nazionale, bisognava scegliere tra repubblica e monarchia, c'era la Costituente…» Guido, con l'aria di chi chiede indulgenza: «Ascolta, io non ti dico era meglio questo, era meglio quello. A guardarle adesso le cose, dopo tanti anni, sono buoni tutti a dire che è stato meglio così. Io ti dico cosa sentivo allora. Alla Costituente c'è andata gente che le armi non le aveva mai prese in mano, e questo fa la sua bella differenza, credimi. Gente che non si era mai trovata davanti né le SS né le Brigate Nere, che non aveva visto coi suoi occhi quello che avevano fatto. Così i fascisti si sono salvati e chi aveva combattuto per liberare l'Italia li hanno trattati da criminali. Alcuni son dovuti andare via, chiedere asilo politico ai paesi dell'Est per non finire in galera. E poi c'è anche un altro fatto» si aggiusta sulla poltrona, concentrato su ciò che sta per dire «Si è parlato tanto dei conti da regolare, delle vendette partigiane, degli omicidi del dopoguerra. Tutti a sbraitare sul Triangolo della morte, la Volante rossa e via dicendo, anche adesso. Han detto che erano gli irriducibili, quelli che non si volevano rassegnare, che volevano la rivoluzione a ogni costo. E' vero, di teste calde ce n'erano parecchie, ma bisogna anche dire che se i fascisti fossero finiti in galera forse il sangue non si sarebbe versato. Hai capito?» «Spiegati meglio.» «Quando vedevi che i gerarchi, che avevano spadroneggiato, picchiato e ammazzato, insieme ai loro scagnozzi, tornavano a circolare come se niente fosse, ti veniva una gran rabbia. In tanti avevamo avuto compagni e fratelli ammazzati dai fascisti. E ti sembrava di aver combattuto per niente, di aver rischiato la vita perché tutto tornasse com'era prima. Mi spiego? I conti non ti tornavano mica. Ma come? L'avevamo liberata l'Italia? Sì. L'avevamo ribaltato il regime di Mussolini? Sì. E proprio chi aveva rischiato più di tutti, veniva trattato da criminale! Roba da matti. E gli altri invece fuori, a piede libero. E poi la ciliegina è stata quando hanno reintegrato gli ex-repubblichini nell'esercito e nelle forze dell'ordine. Mi sembra che fosse il ‘54. E' stato il colmo. Non solo li grazi per le porcherie che hanno fatto, ma addirittura gli dài la possibilità di tornarle a fare? D'accordo la pacificazione, ma quello era troppo! Dopo tante che ne avevi passate ti trovavi in piazza a prendere le manganellate dagli stessi stronzi di sempre. E gente come Garau e compagnia bella che ti potevano torturare e farti dire quello che volevano loro. Allora, capisci, il problema non era tanto si fa o non si fa la rivoluzione. Sì, eravamo in tanti a sperarci, come no?, ma senza il via di Togliatti nessuno muoveva un dito. Chi ha ripreso le armi lo ha fatto soprattutto per vendetta. Per chiudere i conti che i tribunali non avevano saldato.» Ho capito dove vuole arrivare: «Insomma, secondo te, l'amnistia del '46 invece di sventare la guerra civile, ha rischiato di scatenarla?» «Di sicuro non ha aiutato. Tant'è che il Partito ha dovuto correre ai ripari. Quelli che volevano continuare a sparare li hanno mandati all'Est, insieme a molti altri che rischiavano la galera perché in tempo di guerra si erano "permessi" di fucilare dei fascisti. E' così che hanno rimediato all'errore del '46.» Di nuovo l'avvocato del diavolo: «Ma secondo te si poteva processare un intero regime? Mica tutti avevano le stesse responsabilità, tanti avevano indossato la camicia nera solo per convenienza, per seguire il branco, per non subire rappresaglie…» Si scalda: «Lo so bene! Proprio per questo bisognava fare i processi, altro che amnistia! L'amnistia invece ha fatto d'ogni erba un fascio: tutti fuori, tutti assolti, il fascistello e il torturatore, il soldatino precettato e il gerarca! Non c'è da meravigliarsi che a qualcuno gli è venuto il prurito alle mani». Si ferma, l'indice puntato sul tavolino a chiarire il concetto «Sia chiaro che io politicamente non sono mai stato d'accordo. La guerra era finita, era stata terribile, continuare ad uccidere non serviva a niente. Mica potevi fare la rivoluzione con le esecuzioni, decidendo tu chi meritava di morire. Però, anche se il Partito era contrario, noialtri della base certi giustizieri li stimavamo pure. Cosa credi? Se tuo nonno lo aspettava di notte, quel porco di Garau, e gli piantava una pallottola in fronte invece di farlo fuori a mani nude, avremmo applaudito lo stesso. In silenzio, ma avremmo applaudito, perché era quello che meritava.» «E Soviet la pensava come te, immagino.» «Certo. E poi, sai, lui era stato fuori dall'Italia e aveva una visione delle cose più ampia, come dire… mondiale.» «Una visione mondiale?» Cerca le parole, l'indice pronto a impennarsi: «Sì, diceva che la rivoluzione in Italia non si poteva fare perché avremmo fatto la fine della Grecia. Saremmo stati invasi dagli anglo-americani e buona notte ai suonatori. Però, diceva, il mondo non finisce a Castelfiorino, e neanche a Roma. C'erano paesi più arretrati dove succedevano grandi cose, come ad esempio la Cina. Mi pare di sentirlo…» Una pausa. Gli occhi sono umidi, ricordare lo commuove ancora, anzi, lo commuove soprattutto adesso che Soviet non c'è più. Tossisce e continua: «Diceva che la rivoluzione sarebbe partita dai paesi più arretrati, come in Russia, che era il paese più povero d'Europa all'inizio del secolo. Mi ricordo ad esempio che nel '54, con Dien Bien Phu, parlava sempre dell'Indocina e di Ho Chi Minh che aveva mandato a casa i francesi. Litigò anche con Barbieri, della Federazione, mi ricordo, discussero tutta una notte, perché Soviet voleva convincerlo che bisognava "internazionalizzare l'azione del Partito", come si era fatto negli anni Trenta, quando i comunisti italiani erano andati a combattere in Spagna. In quegli anni uno dei suoi cavalli di battaglia al bar era che il Partito avrebbe dovuto fare le Brigate Internazionali per il Vietnam.» «Le Brigate Internazionali?» sorrido. «Sì, adesso ti fa ridere, ma con me una volta disse che alcuni italiani erano già partiti per aiutare il Vietminh, l'esercito di liberazione.» « Questa non l'ho mai sentita. Il PCI che organizza brigate internazionali in Indocina… Sei sicuro?» Mi guarda con l'aria vagamente offesa: «Sono vecchio, ma non sono ancora così rimbambito. Mi ricordo bene che tuo nonno mi disse che alcuni italiani erano andati là.» «E da chi l'aveva saputo?» Guido agita la mano indicando un luogo lontano: «Non lo so. Secondo me glielo aveva detto qualcuno mentre era via.» «In Cecoslovacchia?» Un gesto di assenso. «E tu, non ne hai mai saputo niente?» «Guarda, io non è che ero molto dentro le faccende del Partito. Se ti interessa c'è uno che ne sa qualcosa di sicuro, a Casalecchio. Vedrai che se lo chiedi a lui te lo sa dire, perché anche lui è stato nei paesi dell'Est, per molto tempo. Mirco, si chiama. E' il suo nome di battaglia. E' stato partigiano sopra Imola, e nel Partito c'era più dentro di me e tuo nonno messi assieme. Se gli dici che ti mando io, vedrai che ha piacere di parlarti.» «Conosce anche la storia del nonno?» «Certo.» «E come lo rintraccio?» «Te vai all'Anpi di Casalecchio e chiedi di "Mirco", che poi è il presidente. Però non gli dire dei discorsi che ti ho fatto sul farsi giustizia da soli, che magari lui la pensa in un'altra maniera. Comunque è un gran bravo compagno, proprio in gamba.» Si allunga sulla scacchiera e deposita la regina a un passo dal mio re. Dalla faccia che fa, il matto è questione di poche mosse.
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