Per compier l'esame di quel
mondo fantastico che, in diverse forme atteggiato, era presente alla
immaginazione del poeta, quando, per compiere un giuramento affettuoso, poneva
mano alla Commedia, giova adesso conoscere la categoria di Visioni che
dicemmo politiche.
Allato alle visioni
contemplative, nate da allucinazione sincera, o dettate da zelo di spirituale
perfezionamento, altre ne sorgono ben presto, che, sotto l'involucro religioso,
celano fini ben differenti. Queste, non più di monaci devoti, ma sono opere principalmente
di ecclesiastici involti negli umani negozj, i quali se ne fanno strumento
tanto più terribile e poderoso, quanto maggiormente il secolo è proclive a
ciecamente credere ciò che in esse è narrato. Così all'estatico rapimento del
devoto, succede il sogno premeditato del politico, e la visione diventa
acconcissima non solo a punire i persecutori della religione96, ma anco
a santificare il possesso dei beni terreni, a magnificare e premiare i dotatori
dei monasteri, a minacciare i renitenti e i ribelli; e spaventarli con
terribili esempj. La visione di questa forma non invita tanto al pentimento del
peccato, quanto al pagamento delle decime, e più che la religione tutela le
immunità degli ecclesiastici. Seguendo le vicissitudini della Chiesa, dal
momento che essa divenne un potere umano, e alla direzione delle anime volle
unire il governo della civile società, la visione diviene arma dei vescovi
contro i principi, e via via dei monaci contro i vescovi97, e degli
ordini religiosi l'un contro l'altro98. Allora gli abissi si popolano
di coloro che peccarono anzichè contro Dio, contro il pontefice o il presule; e
nel paradiso abbondano, più che i confessori ed i martiri, coloro che
arricchirono il clero, e ne furono devoti e mansueti servitori.
Uno dei più antichi esempj di
queste visioni, nelle quali vediamo menzionati per nome, ad ammonimento o pena,
i potenti della terra, si è quel passo del Dialogo di s. Gregorio in che
si narra che un monaco dell'isola di Lipari, il giorno in che Teodorico moriva
in Ravenna, vide volar per l'aria tre anime. Legato e scalzo, il signore
d'Italia era trascinato da Giovanni papa e da Simmaco patrizio, da lui già
perseguitati e fatti uccidere, e gettato entro la bocca del vulcano. Or non si
direbbe che questa leggenda sia quasi la postuma vendetta dell'uomo romano e
del cristiano ortodosso, contro il re barbaro e l'eretico seguace di
Ario99?
Ma il tempo nel quale questa
specie di visioni si fa più frequente ed ha maggiore efficacia, è quello tenebrosissimo
del feudalismo carolingio: tempo nel quale fu portato al massimo fastigio la
preponderanza del clero sull'autorità laica. E un primo notevole caso è quello
narrato da Incmaro, arcivescovo di Reims100, il quale in una lettera al
clero e ai fedeli della sua diocesi, riferisce una visione avuta dal suo
vassallo Bernoldo. Questi, durante uno svenimento, era stato trasportato in
luogo fetido ed oscuro, ove il defunto re Carlo il Calvo giaceva nel fango e
nella putredine. Già i vermi gli avevano divorato le carni, e non restavangli
intatti se non i nervi e le ossa. Dopo aver chiesta a quel vassallo del suo
vassallo che, per pietà, gli ponesse a guisa di capezzale una pietra sotto la
testa, Carlo soggiungeva: - Va a dire al vescovo Incmaro ch'io sono qui per non
aver seguito i suoi consigli: ch'ei preghi per me, ed io sarò liberato. - A
Bernoldo pareva di andar al vescovo e recargli l'ambasciata, e poi tornar a
Carlo, e vederlo non più scheletro spolpato, ma re vestito del reale ammanto.
Flodoardo, cronista del tempo, ci fa sapere che l'arcivescovo fece giungere la
sua lettera ove era più necessario che fosse nota; ed infatti, essa conteneva
una lezione politica rivolta non tanto al defunto re, quanto invece al suo
successore101.
Di un altro Carlo, il Grosso,
parla un'altra visione, riferita dagli storici del IX secolo, come avvenuta al
re stesso. Secondo questa narrazione, il re tornando dalle preci mattutine,
vede apparirgli dinanzi una forma bianca, la quale gli pone fra mani un filo raggiante,
che lo guidi, come il filo di Arianna, attraverso il laberinto
infernale102. Carlo scorge puniti i vescovi malvagi che perfidamente
consigliarono suo padre: poi i tristi compagni e cortigiani che lo spinsero
nella via della perdizione. Indi giunge ad una valle, da una parte della quale
è un giardino fiorito, e dall'altra come un forno ardente. Qui erano parecchi
dei suoi antenati in preda ai maggiori tormenti: e, dentro un bacino di acqua
bollente, Lodovico il germanico, il padre stesso di Carlo. L'intercessione dei
santi apostoli Pietro e Dionigi aveva alquanto alleviato la punizione, che
potrà diminuire ancora se con messe e offerte, tu - egli dice - ed il tuo clero
mi aiuterete. Ma tu però fa penitenza dei tuoi peccati, altrimenti per te è preparato
il bacino che mi sta presso -. Salendo poi al paradiso, Carlo vi trova lo zio
Lotario assiso sopra un gran topazio, e quel beato spirito lo fa sicuro della
liberazione del padre; - ma, gli soggiunge, la nostra razza è perduta, e tu
stesso fra poco cesserai di regnare -. A questo punto, come nel Machbet dello
Shakspeare, apparisce il fantasma del futuro successore del re, la cui anima
ritorna in terra. Che Carlo stesso avesse, e poi raccontasse la visione, non
sembra probabile; ed è piuttosto da riconoscere in essa una abile impostura di
quella parte politica che mirava a spossessar Carlo, e affidar le redini del
potere al nipote di lui, il principe Luigi figlio di Bosone103.
Altre leggende consimili provano
la stretta connessione che ebbero tra loro in cotesta età, la visione e gli
interessi mondani. Ne ricorderò alcune che mirano evidentemente ad eccitar lo
zelo dei ricchi, e più specialmente dei principi, alla fondazione di chiese e
dotazione di abbazie. In una, infatti, troviamo il re Dagoberto spinto dai
diavoli all'inferno; ma, in buon punto, a toglierlo dalle male branche, ecco
sopravvenire s. Maurizio e s. Martino e portarne l'anima al cielo, in rimerito
delle ricchezze donate alle loro chiese, quoniam idem rex, cum et alias
longe lateque ecclesias ditasset, tum praecipue horum copiosissime
locupletavit104. Un'altra visione ci mostra Carlomagno, il gran re
dei franchi, l'imperatore d'Occidente, il sostegno dei pontefici di Roma, il
protettore del monachismo, tradotto in giudizio innanzi al trono di Dio. I
demoni gettano nella bilancia il forte peso dei suoi peccati: ma s. Iacopo di
Galizia e s. Dionigi gettano nell'altro piatto i santuarj ch'egli ha costruito,
le abbazie ch'egli ha beneficato; e quello trabocca105, e l'imperatore
è salvo dalle fiamme infernali106. Egual sorte toccherà poi per
intercessione di s. Dionigi al re Filippo Augusto107: ma l'anima di
Carlo Martello, secondo una visione di s. Eucherio vescovo di Orleans, riferita
in una lettera di parecchi vescovi franchi a Luigi il Germanico, è torturata
nel profondo inferno, per aver egli usurpato i possessi della
Chiesa108. Animata dallo stesso spirito è pur la leggenda di Ugo
marchese di Toscana, narrataci dal Villani e dal Malispini. Piacendosi egli
assai nella caccia, giunge un giorno, dilungatosi dai suoi seguaci, a un luogo
ove vede uomini neri e sformati, che con pesanti martelli tormentano anime su
dure incudini, e apprende di esser serbato allo stesso martirio, se presto non
ritorni a buona vita. Di che spaventato, fa vendere tutti i suoi possessi in
Allemagna, e fonda sette badie nella marca di Toscana, tutte riccamente
dotandole109.
Se queste insegnano l'utile
sommo che anche ai maggiori peccatori viene dal beneficare la Chiesa, altre visioni dichiarano le pene serbate a coloro che ne usurparono i
beni110: e di tal fatta è quella primamente indicata da Francesco
Villemain, che trovolla in una predica fatta da Ildebrando, ancor monaco, in
una chiesa di Arezzo. Vi si racconta come un dieci anni innanzi, nelle parti di
Germania, era morto un conte ricco, ma, al tempo stesso, dabbene: cosa che si
direbbe prodigiosa in cotal razza d'uomini. Dopo qualche tempo, un santo
monaco, essendo in visione trasportato al mondo di là, vide il detto conte sui
gradini superiori di una scala di fuoco che scendeva giù nell'abisso. Questa
era occupata tutta dagli ascendenti del conte, e via via che uno di loro
moriva, veniva ad occuparne il sommo, respingendo l'altro un gradino più basso,
e mandandolo a maggior tormento: era, come dice il Villemain, un noviziato
progressivo delle pene infernali. Il sant'uomo chiese spiegazione di ciò, e
specialmente del perchè il conte, ch'egli aveva conosciuto buono e divoto,
fosse condannato all'inferno; ed una voce gli rispose: - Ciò proviene da un
possesso della chiesa di Metz che uno dei vecchi di questa famiglia, del quale
il conte è erede in decimo grado, ha tolto al beato Stefano: e poichè non fu
mai restituito, tutti costoro sono accolti nel medesimo supplizio, come
l'avarizia li raccolse tutti nel medesimo peccato111. - Questa pena;
che rammenta quella inflitta da Dante ai pontefici simoniaci, dei quali
l'ultimo venuto respinge l'antecessore più basso nella buca
infiammata112, immaginate quale impressione dovesse in cotesta
età113 produrre, detta in chiesa, coll'energia e la convinzione del
fiero monaco, sugli animi di coloro che avessero usurpato, o soltanto ereditato
dai loro maggiori, beni appartenuti un giorno agli ecclesiastici!
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