VI
Siamo così giunti colle nostre
ricerche assai presso ai tempi di Dante, e abbiamo visto gran parte delle
immagini accumulate da una lunga serie di generazioni circa il soggetto stesso
della Divina Commedia. Questo argomento, che, come rivelazione dei
segreti della vita futura, è il più alto termine a cui si affisi la fede del
credente, e come oggetto della poetica facoltà è la regione nella quale più
liberamente spazia la fantasia, dopo aver servito a ufficj spirituali, politici
e satirici, era già divenuto anche passatempo del volgo. Chè se nelle Rappresentazioni,
le quali facevansi nelle chiese, o innanzi ai loro portici, la visione riteneva
tuttavia la sua prisca natura religiosa, e' si può dire però che, fuor del
tempio, servisse già a fini di gradevole sollazzo, se nel 1303 il faceto
pittore Buffalmacco invitava il popolo fiorentino a vedere quella diavoleria
ch'egli, insieme con Gello dal Borgo S. Friano, a rinnovazione delle feste del
buon tempo passato135, con uomini contraffatti, e anime ignude, e
grida, e strida e tempeste, ordinava su barche e navicelle in Arno
presso al ponte alla Carraja, miseramente precipitato sotto il peso della gran
gente accorsa136. Argomento di leggenda nei devoti racconti: tema
letterario ai poeti: spettacolo nei popolari ritrovi: canto giullaresco nelle
piazze e nei trivi: dipinto in sulle mura delle chiese e dei
cimiteri137, la Divina Commedia era già, dunque, in embrione e
in abbozzo, prima che la mano di Dante le desse forma immortale nel suo poema.
È noto ad ognuno come avesse
origine la Commedia dantesca. Poco dopo la morte di Beatrice, il poeta,
disposto da natura alla astrazione dai sensi, la quale, nell'ardor dell'affetto
o nello spasimo del dolore, quasi assumeva in lui forma di estatico rapimento138,
ebbe una mirabile visione, nella quale vide cose che gli fecero proporre di
non dir più di quella benedetta in fino a tanto che non potesse più degnamente
trattare di lei. Ma la sua mente non era ancora da tanto, che a parole
potesse ritrarre tutto quello che contemplò in quell'istante di estasi.
Chiudendo la Vita Nuova, ei prometteva perciò a sè stesso, e a lei che
sapeva l'intimo del cuor suo, di prepararsi all'opera con tutte le forze, sicchè
se piacere sarà di colui per cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri
per alquanti anni, spero di dire di lei quello che mai non fu detto d'alcuna.
Mai giuramento d'uomo fu meglio attenuto! Ma quello ch'ei vide, quasi come
sognando139, dovrà esser ritratto coll'indocile strumento
dell'umana parola: ed ecco cominciare per Dante un lungo periodo di
meditazione, di studio, di fatiche, di vigilie che lo faranno per più anni
macro, dacchè non si tratta più di racchiudere nel breve quadro del sonetto
o della canzone, la espressione dell'amore o del dolore, ma di innalzare a
Beatrice un monumento imperituro, al quale concorreranno tutte le cognizioni
dell'intelletto, - la fisica, la filosofia, la teologia -: tutti gli elementi
della vita universale - la storia, la politica, la religione -: tutte le forme
dell'arte - la lirica, l'Epopea, il Dramma -: tutti i generi della
versificazione - l'inno, la satira, la tragedia, la commedia; e a perfezionarlo
coopereranno l'architettura coll'ordine, la scultura col rilievo, col colore la
pittura, col suono la poesia. Quando poi, finita la lunga preparazione e
accumulata tutta la sparsa materia, Dante avrà da cercare la forma appropriata
a descrivere, con sì svariata suppellettile, fondo a tutto l'universo,
la forma della Visione, già così propria del suo intelletto, gli si offrirà
dinnanzi spontaneamente, colla efficacia degli esempj anteriori. Dappoichè,
come abbiamo visto, eransene giovato i contemplanti a confermare dogmi
religiosi e morali dottrine; i politici, a stabilire nelle coscienze il
predominio di opinioni ed interessi mondani; i poeti a mostrare tutti i
capricci della loro fantasia, e dare sfogo alla naturale arguzia e alla vena
satirica; e per tal modo era, di generazione in generazione, diventata forma
capacissima di concetti, significati, intenti fra loro diversi. Nè basta: nel
poema di Virgilio egli trovava una descrizione del Tartaro, come nel Sogno
di Scipione del grand'oratore di Roma quella della dimora assegnata ai
giusti140: e il suo stesso maestro, Brunetto Latini, col proprio
esempio141 gli insegnava, quanto giovasse, nudrito del cibo della
morale filosofia, contemplare dall'alto l'ajuola che ci fa tanto feroci.
Dante ben vide tutto il partito
ch'ei poteva trarre dall'uso della Visione; ma, oltre la eccellenza dell'ingegno,
gli errori stessi dei poeti, che lo avevano preceduto, lo ammonivano a non
rifare un poema di meri simboli, come il Roman de la Rose e il Tesoretto, o di mera scienza, come l'Acerba di quel Cecco
d'Ascoli, che all'Alighieri scioccamente rimproverava l'uso delle favole142.
Dante, con quella stessa felice intuizione del genio, che dopo un primo
esperimento, gli fece lasciare la lingua latina per il volgare, scelse al suo
vasto poema una forma veramente, per uso e per notizia, universale. Ma tutte le
diverse ispirazioni che sopra abbiamo accennato, si univano per intima armonia,
senza confondersi, nella mente del poeta; e tutti i fini particolari de' suoi
predecessori si raccoglievano e ordinavano nell'unità del concetto e del
magistero poetico. Indi la parte equamente data nel poema alla contemplazione e
alla politica, alla religione e alla satira, all'uman genere e all'individuo,
all'eterno e al caduco. Che se i monaci visionarj avevano scritto sotto la
dettatura della fede, spesso superstiziosa, ma profondamente sentita, nè anche
Dante aveane difetto: ma la sua fede era più robusta insieme e più illuminata.
E anch'egli dà nell'opera sua gran luogo alla storia contemporanea ed alla
politica, e giudica vivi e morti: ma per sè stesso null'altro bene dimanda se
non il ritorno al bell'ovile, col capo cinto dell'amata e meritata
fronda; e, fattasi parte da sè stesso, suo precipuo intendimento è instaurare
la pace universale e l'ottimo ordinamento della umana compagnia, colla
separazione del poter sacerdotale dal civile. E se anch'egli è satirico, non
però è mai scurrile e plebeo: nè la poesia, che ha appreso studiando sui
modelli dell'antichità, trascina nel fango delle plateali improvvisazioni
giullaresche. L'angusto concetto che del male avevano i monaci, pei quali è
soltanto violazione del dogma o della pratica devota, egli lo amplia anche alla
vita civile; onde Bocca degli Abati, traditore della patria, è confitto nella
ghiaccia infernale: e Cassio e Bruto, uccisori di Cesare, sono maciullati da
Lucifero, al pari di Giuda, che vendè Cristo. Nè meno gli si allarga nella
mente e nell'animo il concetto della virtù e del premio: sicchè l'operosità
nella vita civile gli par meritoria quanto la quieta perfezione della
spirituale; e se già la pia credenza assicurava che ai preghi di s. Gregorio,
Traiano era stato salvato, Dante, di suo, sottrae Saladino, il conquistatore
del sepolcro, dalle fiamme infernali: e Catone, suicida per la libertà, pone
all'ingresso del purgatorio, e a salvare Stazio e Rifeo gli basta che l'uno
fosse studioso di Virgilio, e l'altro nell'Eneide sia menzionato coll'epiteto
di buono. Ricordisi ancora come nel Paradiso gli spiriti eletti
non si dispongano soltanto a forma, di croce, ma più oltre si collochino in
guisa da figurare il sacrosanto segno dell'aquila che fè i romani al
mondo reverendi: e come alle discettazioni religiose, secondo le più
ortodosse dottrine, si alternino; in bocca di Giustiniano le lodi dell'impero,
in bocca di san Pietro le invettive contro i pontefici. De' quali, con libero
giudicio, riempie l'inferno, e ne trova fra gli eresiarchi, e fra' simoniaci; e
nel cerchio degli avari quasi tutti sono chierci e papi e cardinali: ben
diverso da quei pii monaci che per lo più serbavano ai sacerdoti il paradiso,
l'inferno ai laici. Nè meno da quelli si scosta nell'immaginare il soggiorno
dei beati: il quale, nelle descrizioni monastiche, seguendo le forme orientali
dei profeti e dell'Apocalisse143, e indulgendo alla rozzezza delle
menti, è cosparso di oro e di pietre preziose, edificato di mirabili palagi,
inaffiato di limpide acque, allietato da suoni di organi e canti di uccelli,
fragrante di inusati odori144, quasi perfezione suprema delle bellezze
e dei diletti del senso145. E anche a' tempi del poeta seguitavasi a
dipingere per tal modo l'eterea regione; onde il semplice fraticello autore
della Visione dei gaudi de' santi146, entrando lassù è
incontrato da mille baroni tutti a cavallo, e il paradiso è per lui una città
tutta cristallo e gemme, con grandi torri che parea toccassero propriamente
il cielo: come se il paradiso fosse altrove che in cielo. E fra Giacomino,
il sacro giullare di Verona, sembra quasi prender l'idea del paradiso da quel
palagio, con maraviglia descritto dagli storici147, che gli Scaligeri
edificarono nella sua città: e i santi vi sono rappresentati come cavalieri,
che Maria, raccoglie sotto il suo gonfalone rimeritandoli con ghirlande di
fiori, e doni di staffe, di freni, di destrieri148. E se anche questi
poveri monaci e giullari, dalla impotenza della loro fantasia e del loro
linguaggio, e dalla paura dell'errore ereticale, sono costretti a dichiarare
che tutto ciò va inteso in significato mistico e simbolico149, è pur da
dubitare che il popolo sapesse penetrare oltre la lettera, e non accogliesse
invece coteste descrizioni nella lor propria significazione, e secondo il
poetico colorito150. Ma in Dante, invece, il paradiso è pura luce:
Luce intellettual piena d'amore,
Amor di vero ben pien di
letizia,
Letizia che trascende ogni
dolzore.
|