VII.
Arrivati al termine di queste
storiche investigazioni, Voi potreste dimandarmi se, oltre una relazione
generale, le Visioni dell'età media abbiano più stretta attinenza colla Divina
Commedia, come modello colla copia, anche se riuscita maggiore e
migliore: e se ciò diminuirebbe in nulla il merito del poeta.
Ardua cosa sarebbe l'affermare,
come già abbiamo notato, che la tal o tal altra leggenda sia stata l'esempio
tenuto innanzi da Dante, e quasi il germe onde poi si svolse il gran poema.
Certo è che coteste scritture erano forma di concetti generalmente sparsi nelle
plebi cristiane: tanto che si potrebbe anche sostenere che più che ad esse,
Dante abbia direttamente attinto alla coscienza popolare, la quale, meditando
sull'argomento, aveva finito collo stabilire le penitenze che a certi peccati
si convenivano, in virtù di quella legge che l'Alighieri disse del contrappasso;
cioè della corrispondenza fra la pena e il misfatto. L'identità del soggetto
ha, dunque, sua ragione nelle opinioni del tempo: quella dei particolari può
essere o fortuita, o derivata dalla natura stessa dell'argomento, ovvero anche
dalla tradizione151. Tuttavia, che Dante il quale alla ispirazione
accoppiava la dottrina, e che d'ogni cosa, si mostra studioso e conoscitore,
dovesse interamente ignorare queste scritture, così simili nella materia al suo
poema, non oseremmo asserire152; nè alcuno di buon senno potrebbe
negare che esse non sieno quasi necessaria introduzione al poema. Anche il
Creatore per trarne il mondo, ebbe bisogno del caos; e le leggende dei
visionarj sono appunto la materia onde fu composto il poema.
Se non che, prima di Dante,
l'argomento era veramente res nullius: era cosa di tutti e di nessuno:
ma egli, appropriandoselo, vi pose quel che i suoi antecessori non avean potuto
nè saputo recarvi, e ch'ei solo possedeva. Alle puerili concezioni dei monaci,
alle cupide imposture dei politici, alle invenzioni grottesche dei giullari,
egli sostituisce la schietta e vigorosa creazione della poetica fantasia,
portando l'unità, l'ordine, l'euritmia, il magistero dell'arte, dove era
soltanto scomposta congerie di fatti paurosi, o goffa enumerazione di
maraviglie. Molti, lo abbiamo veduto, si erano già provati a ridire le pene
dell'inferno e le gioie del paradiso; nè ci voleva ormai molta immaginazione ad
accumulare nella descrizione del primo, tormenti e spasimi, e fuoco e ghiaccio
e pece e zolfo e serpi e mostri e dèmoni: e in quella dell'altro, delizie e
gaudi, e luce ed effluvj e canti e suoni: ma niuno aveva pensato di prender
quel tema già vecchio e cincischiato, per rappresentar con esso la vita umana
in tutte le sue forme e vicende, guardandola dall'abisso del male e dal culmine
della felicità: e niuno, neanche, avea considerato che la narrazione di tante
miserie e di tante allegrezze, finiva collo stancare il lettore e lasciarlo più
stordito che soddisfatto, e a ravvivar la materia occorreva intromettervi
l'uomo: non l'uomo in generale o l'anima senza persona, ma l'uomo col suo nome,
i suoi costumi, le sue vicissitudini nel mondo e nella storia.
Dante, trattando con tali
avvertenze il logoro argomento, vi imprime il proprio suggello indelebile: e
dopo di lui il ciclo delle Visioni si chiude. Le antecedenti cadono nell'oblio,
d'onde le trae fuori soltanto la critica moderna, che faticosamente investiga
la prima origine dei capolavori dell'arte: ma, volere o non volere, nella
fantasia umana i tre regni della pena, della purgazione, del premio rimangono
architettati, e per sempre, come Dante li rappresenta, e come l'arte
replicatamente li ha riprodotti dietro la sua scorta153. Dopo di lui
non vi è altro da dire: ond'è che gli ultimi visionarj inconsapevolmente
diventeranno plagiari di Dante154, e il giudice Armannino, parafrasando
l'Eneide, alle immagini virgiliane, nella descrizione del Tartaro e dell'Eliso;
mescerà le dantesche155. La Divina Commedia diventerà egualmente libro del volgo e libro dei teologi; e se le donne di Ravenna veggendo passare
il poeta, muto e in sè raccolto, paurose lo additeranno ai figliuoletti come
colui ch'è tornato dal buio regno di Satana, del poema ben presto si farà
lettura e commento nelle chiese: le pie confraternite lo porranno fra i libri
devoti156, e alla Commedia si darà il titolo, che più non le si
è scompagnato, di Divina157, come se Dante fosse il più sicuro
rivelatore delle glorie del cielo, e da questo fosse disceso: ma per gli uomini
di sano intelletto, egli è veramente colui che attinse le più sublimi altezze
dell'arte rinnovellata.
Nè queste nostre ricerche
possono in nulla diminuire la gloria del poeta: perchè, anzi, partendo da così
basso per giungere sì alto, la critica fa meglio vedere quanto l'opera meditata
del genio sovrasti alle incondite creazioni della fantasia popolare. Giova,
invece, vedere l'Alighieri simile agli uomini del suo secolo, ma maggiore di
loro; pensare e sentire come i suoi contemporanei, ma più altamente ch'essi non
potessero: chè i grandi genj, non sono, come taluno malamente se li raffigura,
nè solitari in un deserto, nè sonnambuli fra' dormienti, ma animi ed intelletti
nei quali potente si accoglie tutto il sentimento e il pensiero dell'età loro,
e che li rendono ai loro contemporanei e ai venturi, segnati dell'interna
stampa, e, di fuggevoli, fatti immortali.
Che se Dante non inventò tutto
quanto il suo soggetto, questa, ahimè! non è sua colpa nè suo demerito, ma infermità
della umana immaginativa, men vasta e potente che non sogliasi credere.
Purtroppo nelle opere dell'ingegno umano, l'invenzione è più nell'arte che
nella materia: chè nulla, o ben poco, vi ha di nuovo sotto il sole; e il Savio
da molti secoli già ne ha fatto lamento. E prima di Omero vi eran stati i
rapsodi, e innanzi l'Ariosto i cantastorie, e il Boccaccio fu preceduto dai
troveri, e Shakspeare tolse la più gran parte dei suoi drammi dalle novelle,
come Dante la Commedia dalle Visioni, e poi Goëthe il Faust dalla
popolare leggenda. Già la nazione possedeva, rozza e incolta, la materia
ch'essi lavoreranno colla consapevolezza e la virtù dell'artista: sicchè quel
che ad altri è scoria e pattume, diventa oro nelle loro mani. E a voi,
fiorentini, il fiorentino poeta potrebbe esser paragonato ad uno di quei vostri
antichi maestri dell'arte di Calimala, che ricevevano greggi e di piccol valore
i panni da ogni parte del mondo, e colla sottile industria li trasformavano
talmente, che il mondo da loro li ripigliava più belli, più durevoli e più
pregiati.
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