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Alessandro D’Ancona
I precursori di Dante

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  • IV
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IV95.

 

Per compier l'esame di quel mondo fantastico che, in diverse forme atteggiato, era presente alla immaginazione del poeta, quando, per compiere un giuramento affettuoso, poneva mano alla Commedia, giova adesso conoscere la categoria di Visioni che dicemmo politiche.

Allato alle visioni contemplative, nate da allucinazione sincera, o dettate da zelo di spirituale perfezionamento, altre ne sorgono ben presto, che, sotto l'involucro religioso, celano fini ben differenti. Queste, non più di monaci devoti, ma sono opere principalmente di ecclesiastici involti negli umani negozj, i quali se ne fanno strumento tanto più terribile e poderoso, quanto maggiormente il secolo è proclive a ciecamente credere ciò che in esse è narrato. Così all'estatico rapimento del devoto, succede il sogno premeditato del politico, e la visione diventa acconcissima non solo a punire i persecutori della religione96, ma anco a santificare il possesso dei beni terreni, a magnificare e premiare i dotatori dei monasteri, a minacciare i renitenti e i ribelli; e spaventarli con terribili esempj. La visione di questa forma non invita tanto al pentimento del peccato, quanto al pagamento delle decime, e più che la religione tutela le immunità degli ecclesiastici. Seguendo le vicissitudini della Chiesa, dal momento che essa divenne un potere umano, e alla direzione delle anime volle unire il governo della civile società, la visione diviene arma dei vescovi contro i principi, e via via dei monaci contro i vescovi97, e degli ordini religiosi l'un contro l'altro98. Allora gli abissi si popolano di coloro che peccarono anzichè contro Dio, contro il pontefice o il presule; e nel paradiso abbondano, più che i confessori ed i martiri, coloro che arricchirono il clero, e ne furono devoti e mansueti servitori.

Uno dei più antichi esempj di queste visioni, nelle quali vediamo menzionati per nome, ad ammonimento o pena, i potenti della terra, si è quel passo del Dialogo di s. Gregorio in che si narra che un monaco dell'isola di Lipari, il giorno in che Teodorico moriva in Ravenna, vide volar per l'aria tre anime. Legato e scalzo, il signore d'Italia era trascinato da Giovanni papa e da Simmaco patrizio, da lui già perseguitati e fatti uccidere, e gettato entro la bocca del vulcano. Or non si direbbe che questa leggenda sia quasi la postuma vendetta dell'uomo romano e del cristiano ortodosso, contro il re barbaro e l'eretico seguace di Ario99?

Ma il tempo nel quale questa specie di visioni si fa più frequente ed ha maggiore efficacia, è quello tenebrosissimo del feudalismo carolingio: tempo nel quale fu portato al massimo fastigio la preponderanza del clero sull'autorità laica. E un primo notevole caso è quello narrato da Incmaro, arcivescovo di Reims100, il quale in una lettera al clero e ai fedeli della sua diocesi, riferisce una visione avuta dal suo vassallo Bernoldo. Questi, durante uno svenimento, era stato trasportato in luogo fetido ed oscuro, ove il defunto re Carlo il Calvo giaceva nel fango e nella putredine. Già i vermi gli avevano divorato le carni, e non restavangli intatti se non i nervi e le ossa. Dopo aver chiesta a quel vassallo del suo vassallo che, per pietà, gli ponesse a guisa di capezzale una pietra sotto la testa, Carlo soggiungeva: - Va a dire al vescovo Incmaro ch'io sono qui per non aver seguito i suoi consigli: ch'ei preghi per me, ed io sarò liberato. - A Bernoldo pareva di andar al vescovo e recargli l'ambasciata, e poi tornar a Carlo, e vederlo non più scheletro spolpato, ma re vestito del reale ammanto. Flodoardo, cronista del tempo, ci fa sapere che l'arcivescovo fece giungere la sua lettera ove era più necessario che fosse nota; ed infatti, essa conteneva una lezione politica rivolta non tanto al defunto re, quanto invece al suo successore101.

Di un altro Carlo, il Grosso, parla un'altra visione, riferita dagli storici del IX secolo, come avvenuta al re stesso. Secondo questa narrazione, il re tornando dalle preci mattutine, vede apparirgli dinanzi una forma bianca, la quale gli pone fra mani un filo raggiante, che lo guidi, come il filo di Arianna, attraverso il laberinto infernale102. Carlo scorge puniti i vescovi malvagi che perfidamente consigliarono suo padre: poi i tristi compagni e cortigiani che lo spinsero nella via della perdizione. Indi giunge ad una valle, da una parte della quale è un giardino fiorito, e dall'altra come un forno ardente. Qui erano parecchi dei suoi antenati in preda ai maggiori tormenti: e, dentro un bacino di acqua bollente, Lodovico il germanico, il padre stesso di Carlo. L'intercessione dei santi apostoli Pietro e Dionigi aveva alquanto alleviato la punizione, che potrà diminuire ancora se con messe e offerte, tu - egli dice - ed il tuo clero mi aiuterete. Ma tu però fa penitenza dei tuoi peccati, altrimenti per te è preparato il bacino che mi sta presso -. Salendo poi al paradiso, Carlo vi trova lo zio Lotario assiso sopra un gran topazio, e quel beato spirito lo fa sicuro della liberazione del padre; - ma, gli soggiunge, la nostra razza è perduta, e tu stesso fra poco cesserai di regnare -. A questo punto, come nel Machbet dello Shakspeare, apparisce il fantasma del futuro successore del re, la cui anima ritorna in terra. Che Carlo stesso avesse, e poi raccontasse la visione, non sembra probabile; ed è piuttosto da riconoscere in essa una abile impostura di quella parte politica che mirava a spossessar Carlo, e affidar le redini del potere al nipote di lui, il principe Luigi figlio di Bosone103.

Altre leggende consimili provano la stretta connessione che ebbero tra loro in cotesta età, la visione e gli interessi mondani. Ne ricorderò alcune che mirano evidentemente ad eccitar lo zelo dei ricchi, e più specialmente dei principi, alla fondazione di chiese e dotazione di abbazie. In una, infatti, troviamo il re Dagoberto spinto dai diavoli all'inferno; ma, in buon punto, a toglierlo dalle male branche, ecco sopravvenire s. Maurizio e s. Martino e portarne l'anima al cielo, in rimerito delle ricchezze donate alle loro chiese, quoniam idem rex, cum et alias longe lateque ecclesias ditasset, tum praecipue horum copiosissime locupletavit104. Un'altra visione ci mostra Carlomagno, il gran re dei franchi, l'imperatore d'Occidente, il sostegno dei pontefici di Roma, il protettore del monachismo, tradotto in giudizio innanzi al trono di Dio. I demoni gettano nella bilancia il forte peso dei suoi peccati: ma s. Iacopo di Galizia e s. Dionigi gettano nell'altro piatto i santuarj ch'egli ha costruito, le abbazie ch'egli ha beneficato; e quello trabocca105, e l'imperatore è salvo dalle fiamme infernali106. Egual sorte toccherà poi per intercessione di s. Dionigi al re Filippo Augusto107: ma l'anima di Carlo Martello, secondo una visione di s. Eucherio vescovo di Orleans, riferita in una lettera di parecchi vescovi franchi a Luigi il Germanico, è torturata nel profondo inferno, per aver egli usurpato i possessi della Chiesa108. Animata dallo stesso spirito è pur la leggenda di Ugo marchese di Toscana, narrataci dal Villani e dal Malispini. Piacendosi egli assai nella caccia, giunge un giorno, dilungatosi dai suoi seguaci, a un luogo ove vede uomini neri e sformati, che con pesanti martelli tormentano anime su dure incudini, e apprende di esser serbato allo stesso martirio, se presto non ritorni a buona vita. Di che spaventato, fa vendere tutti i suoi possessi in Allemagna, e fonda sette badie nella marca di Toscana, tutte riccamente dotandole109.

Se queste insegnano l'utile sommo che anche ai maggiori peccatori viene dal beneficare la Chiesa, altre visioni dichiarano le pene serbate a coloro che ne usurparono i beni110: e di tal fatta è quella primamente indicata da Francesco Villemain, che trovolla in una predica fatta da Ildebrando, ancor monaco, in una chiesa di Arezzo. Vi si racconta come un dieci anni innanzi, nelle parti di Germania, era morto un conte ricco, ma, al tempo stesso, dabbene: cosa che si direbbe prodigiosa in cotal razza d'uomini. Dopo qualche tempo, un santo monaco, essendo in visione trasportato al mondo di là, vide il detto conte sui gradini superiori di una scala di fuoco che scendeva giù nell'abisso. Questa era occupata tutta dagli ascendenti del conte, e via via che uno di loro moriva, veniva ad occuparne il sommo, respingendo l'altro un gradino più basso, e mandandolo a maggior tormento: era, come dice il Villemain, un noviziato progressivo delle pene infernali. Il sant'uomo chiese spiegazione di ciò, e specialmente del perchè il conte, ch'egli aveva conosciuto buono e divoto, fosse condannato all'inferno; ed una voce gli rispose: - Ciò proviene da un possesso della chiesa di Metz che uno dei vecchi di questa famiglia, del quale il conte è erede in decimo grado, ha tolto al beato Stefano: e poichè non fu mai restituito, tutti costoro sono accolti nel medesimo supplizio, come l'avarizia li raccolse tutti nel medesimo peccato111. - Questa pena; che rammenta quella inflitta da Dante ai pontefici simoniaci, dei quali l'ultimo venuto respinge l'antecessore più basso nella buca infiammata112, immaginate quale impressione dovesse in cotesta età113 produrre, detta in chiesa, coll'energia e la convinzione del fiero monaco, sugli animi di coloro che avessero usurpato, o soltanto ereditato dai loro maggiori, beni appartenuti un giorno agli ecclesiastici!




95 III nel testo originale, ma è evidentemente un refuso. Poichè nel testo originale il capitolo III è "ripetuto" anche i successivi risultano sfasati di un numero. Si è quindi ripristinata la corretta numerazione progressiva [nota per l'edizione elettronica Manuzio].



96 Gregorio di Tours (VIII, 5) racconta una visione del re Gontrano circa l'estinto fratello Chilperico, dallo storico rappresentato come acerrimo persecutore del clero (VI, 46). In essa si direbbero congiunte la vendetta e l'ira politica e sacerdotale. Gontrano racconta che prima dell'uccisione del fratello, gli parve vederlo condotto alla sua presenza da tre vescovi, cinto di catene. Due chiedevano per lui soltanto un castigo, l'altro vescovo un supplizio esemplare: e, infatti Chilperico venne gettato in un vaso d'acqua bollente, ove le sue membra si disfecero in breve.



97 Vedi, ad es., la Visione di un canonico e di un cappellano di Magdebourg contro il vescovo Udone, tratta dal Promptuar. Exempl. di Giov. Herolt, e riferita dal Delepierre, Vis. de Tond., p. XV. Aggiungi anche la Visione di Baronto anacoreta del VII sec. (Mabillon, Act. Sanct. s. III), che vede due vescovi, Dido e Volfrido, che in misere spoglie scontano nell'inferno la loro vanità e cupidigia. In moltissime leggende e visioni monastiche trovasi indizio di questa lotta fra l'umiltà cenobitica e l'orgoglio episcopale. Ricorderemo fra tante una Visione di. Raduino, monaco di Reims, nella quale si fa che Dio minacci i maggiori flagelli, se Burcardo venga dal re eletto vescovo di Chartres (Ampère, Hist. litt. de la Fr. av. le XII s. Paris, Hachette, III, 120).



98 Vedi nel Le Clerc, Disc. sur l'etat des lettres au XIV s. Paris, Levy, 1865, I, 110, 120, una visione favorevole ai francescani contro i domenicani. In una riferita da Cesario (VII, 59) un monaco cisterciense rapito in cielo si maraviglia di vederlo pieno di monaci d'ogni ordine, ma non del proprio. Allora la Regina del cielo, aperiens pallium suum, quod miree erat latitudinis, ínnumerabilem multitudinem monachorum, conversorum, sanctimonialium (un cod., trascritto forse da un novizio, aggiunge: noviciorum) illi ostendit, ed erano tutti cisterciensi. Altrove (XII, 53) narra dell'anima di un cisterciense che apparisce a due suoi confratelli, e dopo aver dato notizie di molti defunti, interrogato sui meriti dell'ordine de griseis monachis, risponde: praemium illorum maximum est, et lucent sicut sol in regno coelorum.



99 Dial. IV, 28.



100 Oper. II, 805; vedi Labitte, p. 114.



101 Frod. Hist. eccl. remens. III, 3, 18. L'ampère, op. cit., p. 118, fa osservare che Bernoldo trova fra i dannati anche il vescovo Ebbone, rivale e nemico d'Incmaro.



102 In labyrintheas infernorum poenas. La reminiscenza mitologica, osserva il Wright, p. 20, è evidente.



103 Alberic. Triumfont., Chron. a. 880; Vinc. Bellovacen., Spec., XXIV, 49: Les Croniq. de S. Denis, VII, 148; Vill. of Malmesbury, a. 1143; Lauben in Mem. Acad. Inscript.; XXXVI, 232; Grimm, Deutsch., Sag- trad. franc. Paris, Levavasseur, 1838, II, 176; Ampère, op. cit., p. 120.



104 Grimm, op. cit., II, 117; Labitte, p. 110. In altra visione, il re Dagoberto è roso da un serpe per punizione dei suoi sacrilegj: Vedi Bolland. Jan. IV, p. 177.



105 Lo stesso fatto si racconta dell'Imperatore Enrico II per un calice da lui donato ad una chiesa di s. Lorenzo, e che questo getta nel piatto della bilancia facendolo traboccare: ved. Grimm, op. cit., II, 208. Cfr. un'altra consimile leggenda sul re Rodolfo di Borgogna, Id. ib. 263.



106 Labitte, op. cit., p. 110-112. - Carlomagno è veduto nel purgatorio ove sconta la sua scostumatezza, in una visione dell'anno 824, quella del monaco Wettino, narrata dall'ab. Hetto: (Mabillon, Act. Sanct. IV, 1, 263-82). Il modo della punizione è tale che non lo riferiremo, bastandoci rimandare alle citazioni del Labitte, p. 112, dell'Ozanam, p. 394 e del Du Mèril., p. 299. Cfr. anche per consimile punizione, Cesario, Dial. III, 24.



107 Lecoy de la Marche, La chaire franç. au m. age. Paris, Dídier, 1868, p. 352,



108 Baluz, II, 109.



109 Malispini, C. XVIII, Villani, 1. IV, cap. 2. - Anche nella leggenda di Tundalo è fatta particolar menzione, e data quasi speciale residenza ai constructores ecclesiarum, e al vescovo Malachia constructor LIV congregacionum monachorum, canonicorum, sanctimonialium: ediz. Shade, § 22, 25.



110 Vedi nella Leggenda di S. Lorenzo di Jac. da Varagine (ediz. Graesse, p. 488) il fatto di Stefano romano, usurpatore di beni della Chiesa, e il severo giudicio dato in cielo sull'anima sua, modificato soltanto per intercessione di s. Progetto e di Maria.



111 Tabl. de la Litterat au. m. age, Leç. I. Questo racconto si trova anche nel Libro de los enxemplos, n.° CCCLXXXV (ediz. Rivadeneyra, Madrid, 1860) come tratto da la historia de los sanctos padres.



112 La voce popolare, già innanzi al racconto di Dante nel XIX dell'Inferno, aveva anticipata a Clemente V la pena che, morto, lo attendeva. Leggesi infatti nel Villani IX, 58: E dissesi che vivendo il detto Papa, essendo morto uno suo nepote Cardinale, cui elli molto amava, costrinse uno grande maestro di negromanzia, che sapesse che fosse dell'anima del suo nepote. Il detto maestro, fatta sua arte, uno cappellano del Papa molto sicuro fece portare dalle demonia allo inferno, e mostrogli visibilmente uno palazzo, dentrovi uno letto di fuoco ardente, nel quale era l'anima del detto suo nipote morto, dicendoli che per la simonia era così giudicato. E vidde nella visione fatto un altro palazzo all'incontro, il quale li fu detto si facea per Papa Clemente, e così rapportò il detto cappellano al Papa, il quale mai più non fu allegro, e poco vivette appresso; e morto lui e lasciatolo una notte in una chiesa con grande luminaria, s'accese il fuoco e arse la cassa ov'era il corpo, e 'l corpo suo dalla cintola in giuso.



113 A questa categoria possono aggiungersi: I, la Visione di Andrale (IX sec.), che vede Cristo chiamare al suo trono i vescovi del mondo, e dimandar loro perchè il suo retaggio è così manomesso: i vescovi ne dan colpa ai re, e Cristo risponde: chi son essi? io non li ho eletti, nè li conosco. Allora sono chiamati l'imperatore Luigi, Lotario e Carlo suoi figli, e il nipote Luigi re d'Italia, ordinando loro di servire la Chiesa se vogliono ottenere la conservazione dei loro reami (Ampère, op. cit., p. 119); II, la Visione di s. Raduino, in Frodoardo II, 145, nella quale la Vergine dà a s. Remigio e ai suoi successori il dritto di investire i re franchi della loro autorità (Id., id. 120); III, la Visione di un chierico che per arte di negromanzia vede il langravio di Turingia, Luigi di Ferro, nelle maggiori pene infernali, ed esso gli commette di dire al proprio figlio, per averne qualche sollievo, che renda subito ai monasteri i beni ch'egli ha loro rapiti (Cesario I, 34, e pel ricevimento di Luigi all'inferno, ved. lo stesso autore, XII, 2; cfr. con Grimm, op. cit. II, 45); IV, la Visione del milite Walter intorno alle pene di Guglielmo conte Giuliacense che sta nel più profondo inferno collo spirito dell'imperatore Masseuzio, dannati ambedue ad eguale fierissimo tormento. Aggiungansi le visioni raccontate da Ottone monaco di Ratisbona nel Liber visioaum (Pez, Thesaur. Anedoct. noviss. III); V, di una serva di Ausburgo che avverte un magistrato, a nome del padre dannato all'inferno, di restituire i beni male acquistati; VI, di un povero mendicante che vede all'inferno i consiglieri che impedirono all'imperatore Enrico di pacificarsi con Dio e cogli uomini; e l'altra, VII, sulla imperatrice Teofania, punita per aver introdotto dalla Grecia in Germania multa superflua et luxuriosa mulierum ornamenta, nonchè quella, VIII, di un monaco condotto a contemplare i supplizi dei purganti, la cui pena è di vedere i tormenti dei dannati; e l'ultima, XI, del cavalier Volsark che vede dal diavolo adunate in un castello tutte le ricchezze che gli uomini tolsero alle chiese (Ozanam, p. 391). Ricordero, infine, X, la Visione di Crescenzio monaco di Montecassino, che vede in un lago nimiae magnitudinis et ignei coloris, l'anima di Guarino cancelliere, propter perturbationem et tribulationem quam Casinensi monasterio excitavit (Cronich. Casin, IV, 102, in R. It. Script. IV, 560).






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