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Alessandro D’Ancona
I precursori di Dante

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V

 

Ma l'abuso che per politici intenti e per fini mondani erasi fatto della visione, aprì la via, come suole accadere, ad altro abuso: e questa forma non fu quasi più altro se non tema di poesia e modo di satira. Già non credevasi più alle visioni se non fossero raccontate da uomini che indi a poco fossero venuti a morire, come se il gran passo all'eternità fosse riprova del vero, e l'anima allora presentisse i suoi futuri destini e la vita avvenire114; nè tutti potevano addurre a testimone dei loro racconti quella pelle color di fuoco che il tedesco Evervaco riportò dai tormenti infernali115. Intanto ai monaci solitarj ed agli inframettenti prelati succedono lieti e giocondi poeti laici. La famiglia dei Troveri, dei Giullari e dei Menestrelli, allegri e spensierati quanto severi e cupi erano stati quei loro antecessori nell'uso della visione, venne a sorgere quando appunto più erasi della visione abusato.

Posti quasi sempre in lotta e in antagonismo coll'ordine sacerdotale, questi poeti vollero anch'essi provarsi ad un soggetto così spesso trattato, e divenuto ormai popolare e comune; e ad occhi aperti e con aperto intelletto, finsero anch'essi un inferno e un paradiso. Ma se il clero aveva confitto nell'abisso i re e i baroni che gli erano stati aperti nemici o non lo avevano favorito, e glorificato in cielo quelli che gli si erano mostrati ligi, i poeti tennero altro modo e fecero altra scelta, ed ebbero agio di mordere acremente l'avarizia, la simonia, la scostumatezza del clero. E così, l'arma che il sacerdozio aveva maneggiato a sua difesa, eragli volta contro ad offesa; e quei racconti dei quali fino allora il popolo aveva avuto terrore, davano occasione alle grasse risate dei borghesi, che si rinfrancavano della sofferta paura.

Anche qui il campo è assai vasto, e debbo contentarmi di alcuni esempj, tratti da quelle letterature che i Trovatori e i Cantores francigenarum diffusero ben presto nelle corti e nelle piazze della nostra penisola.

Taluna volta il soggetto dell'inferno e del paradiso e la forma della visione porgono modo al poeta di esporre, per mezzo di simboliche personificazioni, com'era vezzo di quell'età, un certo ordine di morali dottrine; e in tal caso si direbbe ch'ei voglia soltanto provare le forze della sua fantasia e la copia della scienza. A questa categoria di poemi didattici appartiene, fra gli altri, la Voye du Paradis di Baudouin de Condé116. Egli comincia colla descrizione della primavera, solita ed obbligata introduzione di ogni poesia, lirica o narrativa di quel primo risvegliarsi del mondo e del pensiero moderno e a cui neanche Dante ha saputo rinunziare, ponendo il suo pellegrinaggio nella dolce stagione, in che l'amor divino mosse dapprima le sfere del cielo. Sogna allora il poeta di essersi trovato ad un bivio; per un sentiero tortuoso ma largo, si avviano a gran furia principi, baroni, prelati e borghesi; e l'altro, dritto ma aspro, è lasciato deserto117. Senza curare le spine ed i bronchi che gli impediscono il passo, Baldovino si pone per questa via; e i versi coi quali ne descrive le difficoltà: En la fin entre en une sente, Si aspre ne cuic mes c'om sente Et avoec ce qu'iert .aspre et dure, Si qu'a mout grat meschief l'endure118, rammentano assai da vicino quelli con che Dante descriverà la selva selvaggia ed aspra e forte che nel pensier rinnova la paura119. A capo della via sta una croce, dinnanzi alla quale il poeta si prostra e devotamente prega Dio, che gli manda un venerabile vecchio. Questi gli fa parte di molti e nobili insegnamenti morali, finchè Baldovino, contrito e confesso, e passando dalle case di Disciplina, Astinenza e Silenzio, è portato dagli angeli in paradiso: e la gioia che prova, gli rompe il sonno.

Ecco dunque il laicato e la poesia che cominciano a impadronirsi di temi, e quel che è più, di regioni già possedute dal solo sacerdozio. Ma il più delle volte, il poeta non si contenta di mere considerazioni filosofiche e religiose, sì vi unisce beffarde allusioni e vi mesce satirico sale, come nel favolello di Ruteboeuf, intitolato anch'esso la Voye du Paradis120, ove troviamo assai felicemente personificati i vizj e le virtù, e descritte le loro consuetudini e residenze; e meglio ancora in altro poemetto121, pur dallo stesso titolo, che rifrusta la consueta favola del sogno e della peregrinazione nei regni di enti allegorici, ma l'avviva con amari lamenti sulla decadenza degli ordini monastici, terminando col benigno discorso che Dio stesso fa al poeta, e colla promessa di chiamarlo a suo tempo in cielo.

Più ardite sono le descrizioni del soggiorno degli eletti e di quello dei reprobi, nè il poeta prova sgomento o paura, anzi tratta quasi familiarmente soggetti siffatti122. La Cour du Paradis123 di anonimo trovero, descrive una festa che il Signore offre a tutti i beati nel giorno stesso in che tutti sono in terra festeggiati dagli uomini. Ma questa corte celeste nella fantasia del poeta diventa la corte plenaria di un signore feudale. Il re del cielo chiama dunque s. Simone e il suo inseparabile compagno s. Giuda, e loro commette di andare per tutte le celle e i dormitorj del paradiso, e invitare alla prossima festa. S. Simone e s. Giuda munitisi di una raganella, si mettono in giro, passando via via dalle stanze degli angeli, dei patriarchi, degli apostoli, dei martiri, dei confessori, dei pargoli innocenti, delle vergini e delle vedove. Quando la festa incomincia, tutti i santi drappelli vengono un dopo l'altro, cantando canzonette amorose, che dall'umano sono alla meglio trasportate a significare il divino affetto: e in cielo si fanno le danze stesse che allora più erano in voga nelle baronali residenze. Maria e la Maddalena cantano e danzano124, e sulla intercessione della regina del cielo viene ordinato a s. Pietro125 di conceder l'entrata anche alle anime soffrenti nel purgatorio. Scrivendo questo strano poemetto, l'autore era egli in buona fede, o voleva empiamente satireggiare le cose appartenenti alla religione? È egli o no un precursore di Rabelais, di Voltaire, di Parny? Gli autori della Histoire littéraire de la France126 pensano che senza aver mire irreligiose, il poeta ingenuamente si dipingesse nella fantasia le gioie celesti sull'esempio degli spassi mondani. A noi basta notare quanto da questo argomento siasi allontanato il primitivo spirito, e come il paradiso, descritto nelle leggende monastiche quasi luogo di continua preghiera e di melanconica contemplazione, in questo ritornare del genere umano, dopo i terrori medievali, al riso, al canto, alla cavalleria, si modelli sullo stampo di una corte d'amore, allegrata dallo spettacolo della bellezza, dagli esempi di leggiadro costume, dai diletti della gaia scienza. E così l'inferma fantasia dell'uomo, si foggia a sua posta le cose invisibili: e immaginando il paradiso ora come un coro monastico127, ora come una corte bandita, segue sempre, e quasi inconsapevole, preoccupazioni variabili e momentanee.

Nel poemetto di Baldovino abbiamo visto i laici, i poeti, che acquistano il loro seggio nel paradiso: ma ben presto vorranno entrarvi anche genti di più basso stato, preludendo ai maggiori avanzamenti e alle definitive conquiste della plebe nell'ordine politico. Nel favolello du Vilain qui gagna Paradis en plaidant128, costui si pone a disputare con s. Pietro che vuol negargli accesso129, e gli dimostra che il paradiso è fatto anche per gli umili e pei poveri, quando sieno uomini da bene e leali, come non fu certo l'apostolo che tre volte rinnegò il maestro. In aiuto di s. Pietro vien s. Tommaso, irato contro il villano, il quale, di rimando, lo rimprovera della sua poca fede, quando ebbe bisogno, per credere, di toccare la piaga del costato. A questi succede s. Paolo, e anche a lui è ricordato che perseguitò i primi credenti, e fece lapidare s. Stefano. Il villano allora si prostra innanzi a Dio; e poichè non lo rinnegò mai, e fu largo ai poveri, e obbediente ai precetti di santa Chiesa, dimanda di non essere scacciato; e il Signore benevolo gliel concede130.

Dalle descrizioni del cielo, passiamo ai pellegrinaggi nell'inferno, e prima diciamo del Songe d'Enfer di Raoul d'Houdan131. Il viaggio comincia colle solite personificazioni di enti astratti: il poeta alloggia successivamente presso Cupidigia nel paese di Slealtà, presso Invidia che ha per compagne e cugine Frode, Rapina e Avarizia, indi presso Ubriachezza che ha seco un figlio nato in Inghilterra, e presso Ladroneccio che ha molti amici in Parigi, specialmente fra i tavernieri, indicati per nome dall'autore. Finalmente giunge alle porte infernali, guardate da Disperazione e da Morte subitanea. In cotesto giorno appunto, Belzebù tien corte bandita ai suoi vassalli, e il poeta vi assiste, riconoscendo fra quelli molti chierici e abati e vescovi: dopo di che si imbandisce un gran pranzo, al quale anche il trovero è invitato. L'immaginazione bizzarra del poeta si sfrena qui con intera licenza, e ci dice che la tovaglia è fatta di pelle di pubblicani, e le salviette di cuojo di peccatrici incallite nel vizio.

Vengono poi i cibi, e sono carni di usuraj ingrassati del ben degli altri, e ladri nudriti dell'altrui sangue: poi eretici in spiedo, lingue fritte di avvocati132, berrovieri in pasticcio, monache nere in cibreo, e così via133. Alla fine del pranzo, Belzebù fa portare il gran libro dei peccati, e ne concede la lettura al suo ospite, che corre subito alla rubrica dei menestrelli, e vi legge le colpe di tutti i suoi compagni di professione. Io ho tenuto a mente, dice il poeta, i nomi, i fatti e i detti, e posso ripeterveli per filo e per segno. - Ma Raoul a questo punto si sveglia; e il poemetto ha termine con siffatta maligna reticenza134.




114 Radulph. Glaber, Hist. V, I. Il Du Meril. (Poes. popul. ant. au XII s., p. 299), riferisce un curioso ritmo nel quale si racconta la confutazione e la punizione di un falso visionario, fatta da Herriger, vescovo maguntino dal 912 al 26. Il visionario rappresentava l'inferno accinctum densis undique sylvis: e l'altro ridens respondit: Meum subulcum illuc ad pastum Volo cum macris mittere porcis. Poi, passando al paradiso, il vescovo lo rimprovera di raffigurare s. Giovanni come celeste pincerna, e s. Pietro quasi magister cocorum. Per ultimo e perentorio argomento, il vescovo illum jussit ad palum Loris ligari scopisque caedi. Vedine una antica traduzione inglese nel Wright, p. 183. Altre volte, la punizione ai temerari narratori di visioni, o vantatori di simili celesti grazie, apparisce di ugual natura ma di misteriosa origine, come a quel canonico di Colonia, il quale cum visionem cum circumstantibus recitasset, alapham sensibilem invisibiliter recepit (Cesar. VII, 55).



115 Cesar. XII, 23.



116 Dicts et Contes de Baudoin de Condé, publ. par A. Scheler, Bruxelles, Devaux, 1866, 1, p. 205.



117 Cfr. con la visione di un frate novizio, in Cesario, IV, 53.



118 Cfr. anche i versi: Or cheminai et si dormoie (Tant'era pien di sonno); Car nus chemin n'i ert batus (Che da nessun sentiero era segnato).



119 Hist. litter. de la. France, XXIII, 280.



120 Oeuvres complet. de Rutebeuf, publ. par Ach. Jubinal, Paris, Pannier. II, 24.



121 Pubbl. in nota al Rutebeuf del Jubinal, II. 226. Dev'essere, come già fu osservato nella Hist, litt. de la Fr., XXIII, 279, del trovero Raoul d'Houdain, dacchè nel Songe d'Enfer, del quale diremo più sotto, egli annunzia questo suo componimento sul paradiso, e in questo si fa dal Signore chiamare col suo proprio nome di Raoul (ib., p. 2.50).



122 Una burlesca descrizione delle gioie del Paradiso trovasi in una antica ballata tedesca, riferita in Albin, Ballad. et chants popul. de l'Allemagne, Paris, Gosseiin, 1841, p. 97, e, quindi nel Wright, p. 191.



123 Barbazan-Méon, Fabliaux et contes, Paris, Wzrée, 1805, III, p. 128



124 La sainte Vierge douce et pure Prist les pans de sa vestèure Et va chantant trestout entor... Quant la Madelaine ot chantè... Vint Jhesu-Criz li douz rois, Si prist sa mère par les dois, La Madelaine d'autre part, A cui fist li douz regart Quant ses pechiez li pardona etc.



125 Et Saint Pierre, li bons portiers, Lour ouvri l'uis moult volentiers.



126 XVIII. 792.



127 In una Visione di una paralitica francese, recata da Cesario, VII, 20, essa vede su in cielo, nel giorno in che quaggiù si festeggia la purificazione di Maria, una gran processione nella quale i santi bini ac bini simul incedebant, et candelas ardentes in manibus gestabant; il Salvatore le appare indutus pontificalibus, mitram gestans in capite suo, cum baculo, cjrothecis et anulo et reliquis episcopalibus ornamentis: s. Stefano legge l'Epistolam de libro Malachiae profetae, e s. Giovanni l'Evangelium secundum Lucam. Dopo di che, Dominus ab offerentibus candelas suscepit. Sono, come ognun vede, le immagini della devozione claustrale trasportate inconsapevolmente, da una mente angusta, ma da un'anima piena di fede, alla descrizione del cielo.



128 Barbazan-Méon, op. cit., IV. 114.



129 Vuide Paradis, vilan faus.



130 Vilain, dist Diex, et ge l'otroi; Paradis as sis desresnié Que par pledier l'as gaaingné. Tu a esté a bone escole, Tu sex bien conter ta parole, Bien sez avant metre ton verbe. E il poemetto si conclude col verso: Miex val engien que ne fet force, che sembra esser quasi una formola storica, la quale, chiudendo l'età media, dominata dalla forza, inauguri il mondo moderno, governato dalla parola. Notisi poi che al modo stesso del villano, entrerà poi nel paradiso anche il protettore dei ben parlanti, s. Ivo, l'avvocato. Egli vi penetra di soppiatto mescolato ad altre anime buone, e s. Pietro, quando se ne accorge, gli ordina di uscirne. Ma Ivo che conosce bene le leggi della procedura, protesta che non ne sgombrerà se un usciere non gli notifichi regolarmente lo sfratto. Ma per quanto si cerchi, non si trovano uscieri in paradiso, perchè non ce n'è mai entrato alcuno; e così Ivo resta nella dimora dei santi. Vedi Fabre, Etud. histor, sur les clercs de la Bazoche, Paris, Potier, 1856, p. 135.



131 Pubbl. dal Jubinal in appendice ai Mystéres inédits du XV siècle. Paris. Techener. 1838, II, 384.



132 Quanto agli avvocati e alle loro lingue sarà curioso sapere che, secondo una narrazione di Cesario (XI, 46), ad un curiale morente non fu trovata lingua in bocca: et merito linguam perdidit moriens, qui illam saepe vendiderat vivens. Meglio sarebbe però che certi avvocati spoliticanti la perdessero prima di morire.



133 Imitazione abbreviata di questo favolello è Le Salut d'Enfer di anonimo autore, pubbl. dal Jubinal nei Jongleurs et Trouvères, Paris, Merklein, 1835, p. 43, che si diffonde quasi soltanto sui cibi infernali: Belzèbus fist appareiller I. usurier cuit en I. pot: Après faus monnoiers en rost, IL faus jugeurs à la carpie Et I. cras moine à la soucie; Estanchies fui d'avocas ecc. Quest'inferno è pieno di monaci bianchi e neri e di beghine, de clers, de moines et de templiers. Simili cibi sono anche nel pranzo dell'Anticristo nel poemetto: Le tournoiement d'Antecrist: ved. Wright, p, 111.



134 Aggiungasi a questo ciclo di favolelli anche quello De saint Pierre et du Jougleuor, pubbl. in Barbazan-Mèon, III, 282. Muore un giullare che aveva passato tutta la vita alla taverna e al giuoco: e, così nudo bruco, un diavolo lo porta all'inferno, mentre da altre parti giungono altri col carico di prestres et larrons, moines eveques et abez. Vedendo così misera preda, Belzebù ne sente pietà, ed offre al giullare l'ufficio di attizzar il fuoco sotto la gran caldaia, al che egli acconsente quar de chauffer ai grant mestier, promettendogli in premio un gran moine sor un, rotir À la sauce d'un usurier Ou à la sauce d'un hoilier. Un giorno che tutti i diavoli vanno pel mondo a far bottino d'anime, s. Pietro scende dal cielo, portando seco carte e denari, e propone al menestrello di mettersi a giuocare: questi che non possiede nulla, mette per sua posta le anime, e le perde tutte. Quando Belzebù torna e trova deserto l'inferno, giura di non voler più giullari in casa sua, fa bastonar il diavolo che ha portato l'infedele guardiano, e scaccia questo, che da s. Pietro è accolto in paradiso -. L'episodio delle anime guadagnate da s. Pietro al giuoco, trovasi, fra gli altri, anche nel racconto popolare catalano Lo Ferrer, in Maspons y Labròs, Quent: pop. catal. Barcelona, 1872, II, 19.






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