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Alessandro D’Ancona I precursori di Dante IntraText CT - Lettura del testo |
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VII.
Arrivati al termine di queste storiche investigazioni, Voi potreste dimandarmi se, oltre una relazione generale, le Visioni dell'età media abbiano più stretta attinenza colla Divina Commedia, come modello colla copia, anche se riuscita maggiore e migliore: e se ciò diminuirebbe in nulla il merito del poeta. Ardua cosa sarebbe l'affermare, come già abbiamo notato, che la tal o tal altra leggenda sia stata l'esempio tenuto innanzi da Dante, e quasi il germe onde poi si svolse il gran poema. Certo è che coteste scritture erano forma di concetti generalmente sparsi nelle plebi cristiane: tanto che si potrebbe anche sostenere che più che ad esse, Dante abbia direttamente attinto alla coscienza popolare, la quale, meditando sull'argomento, aveva finito collo stabilire le penitenze che a certi peccati si convenivano, in virtù di quella legge che l'Alighieri disse del contrappasso; cioè della corrispondenza fra la pena e il misfatto. L'identità del soggetto ha, dunque, sua ragione nelle opinioni del tempo: quella dei particolari può essere o fortuita, o derivata dalla natura stessa dell'argomento, ovvero anche dalla tradizione151. Tuttavia, che Dante il quale alla ispirazione accoppiava la dottrina, e che d'ogni cosa, si mostra studioso e conoscitore, dovesse interamente ignorare queste scritture, così simili nella materia al suo poema, non oseremmo asserire152; nè alcuno di buon senno potrebbe negare che esse non sieno quasi necessaria introduzione al poema. Anche il Creatore per trarne il mondo, ebbe bisogno del caos; e le leggende dei visionarj sono appunto la materia onde fu composto il poema. Se non che, prima di Dante, l'argomento era veramente res nullius: era cosa di tutti e di nessuno: ma egli, appropriandoselo, vi pose quel che i suoi antecessori non avean potuto nè saputo recarvi, e ch'ei solo possedeva. Alle puerili concezioni dei monaci, alle cupide imposture dei politici, alle invenzioni grottesche dei giullari, egli sostituisce la schietta e vigorosa creazione della poetica fantasia, portando l'unità, l'ordine, l'euritmia, il magistero dell'arte, dove era soltanto scomposta congerie di fatti paurosi, o goffa enumerazione di maraviglie. Molti, lo abbiamo veduto, si erano già provati a ridire le pene dell'inferno e le gioie del paradiso; nè ci voleva ormai molta immaginazione ad accumulare nella descrizione del primo, tormenti e spasimi, e fuoco e ghiaccio e pece e zolfo e serpi e mostri e dèmoni: e in quella dell'altro, delizie e gaudi, e luce ed effluvj e canti e suoni: ma niuno aveva pensato di prender quel tema già vecchio e cincischiato, per rappresentar con esso la vita umana in tutte le sue forme e vicende, guardandola dall'abisso del male e dal culmine della felicità: e niuno, neanche, avea considerato che la narrazione di tante miserie e di tante allegrezze, finiva collo stancare il lettore e lasciarlo più stordito che soddisfatto, e a ravvivar la materia occorreva intromettervi l'uomo: non l'uomo in generale o l'anima senza persona, ma l'uomo col suo nome, i suoi costumi, le sue vicissitudini nel mondo e nella storia. Dante, trattando con tali avvertenze il logoro argomento, vi imprime il proprio suggello indelebile: e dopo di lui il ciclo delle Visioni si chiude. Le antecedenti cadono nell'oblio, d'onde le trae fuori soltanto la critica moderna, che faticosamente investiga la prima origine dei capolavori dell'arte: ma, volere o non volere, nella fantasia umana i tre regni della pena, della purgazione, del premio rimangono architettati, e per sempre, come Dante li rappresenta, e come l'arte replicatamente li ha riprodotti dietro la sua scorta153. Dopo di lui non vi è altro da dire: ond'è che gli ultimi visionarj inconsapevolmente diventeranno plagiari di Dante154, e il giudice Armannino, parafrasando l'Eneide, alle immagini virgiliane, nella descrizione del Tartaro e dell'Eliso; mescerà le dantesche155. La Divina Commedia diventerà egualmente libro del volgo e libro dei teologi; e se le donne di Ravenna veggendo passare il poeta, muto e in sè raccolto, paurose lo additeranno ai figliuoletti come colui ch'è tornato dal buio regno di Satana, del poema ben presto si farà lettura e commento nelle chiese: le pie confraternite lo porranno fra i libri devoti156, e alla Commedia si darà il titolo, che più non le si è scompagnato, di Divina157, come se Dante fosse il più sicuro rivelatore delle glorie del cielo, e da questo fosse disceso: ma per gli uomini di sano intelletto, egli è veramente colui che attinse le più sublimi altezze dell'arte rinnovellata. Nè queste nostre ricerche possono in nulla diminuire la gloria del poeta: perchè, anzi, partendo da così basso per giungere sì alto, la critica fa meglio vedere quanto l'opera meditata del genio sovrasti alle incondite creazioni della fantasia popolare. Giova, invece, vedere l'Alighieri simile agli uomini del suo secolo, ma maggiore di loro; pensare e sentire come i suoi contemporanei, ma più altamente ch'essi non potessero: chè i grandi genj, non sono, come taluno malamente se li raffigura, nè solitari in un deserto, nè sonnambuli fra' dormienti, ma animi ed intelletti nei quali potente si accoglie tutto il sentimento e il pensiero dell'età loro, e che li rendono ai loro contemporanei e ai venturi, segnati dell'interna stampa, e, di fuggevoli, fatti immortali. Che se Dante non inventò tutto quanto il suo soggetto, questa, ahimè! non è sua colpa nè suo demerito, ma infermità della umana immaginativa, men vasta e potente che non sogliasi credere. Purtroppo nelle opere dell'ingegno umano, l'invenzione è più nell'arte che nella materia: chè nulla, o ben poco, vi ha di nuovo sotto il sole; e il Savio da molti secoli già ne ha fatto lamento. E prima di Omero vi eran stati i rapsodi, e innanzi l'Ariosto i cantastorie, e il Boccaccio fu preceduto dai troveri, e Shakspeare tolse la più gran parte dei suoi drammi dalle novelle, come Dante la Commedia dalle Visioni, e poi Goëthe il Faust dalla popolare leggenda. Già la nazione possedeva, rozza e incolta, la materia ch'essi lavoreranno colla consapevolezza e la virtù dell'artista: sicchè quel che ad altri è scoria e pattume, diventa oro nelle loro mani. E a voi, fiorentini, il fiorentino poeta potrebbe esser paragonato ad uno di quei vostri antichi maestri dell'arte di Calimala, che ricevevano greggi e di piccol valore i panni da ogni parte del mondo, e colla sottile industria li trasformavano talmente, che il mondo da loro li ripigliava più belli, più durevoli e più pregiati.
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151 Cosi, ad es., non vi ha certo imitazione, quando nel Libro di Adamo, sacro ai così detti Cristiani di S. Giovanni, le anime dell'Inferno chiamano a gran voce la seconda morte, e la seconda morte è sorda alle loro preghiere (Dict. des Apocr. I, 122), e la stessa frase troviamo nell'Inf. I, 117. 152 Dai versi del Purg. XVI, 40: Dio m'ha in sua grazia rinchiuso Tanto, ch'ei vuol ch'io veggia la sua corte Per modo tutto fuor del moderno uso, si potrebbe in Dante vedere giusto disdegno, anzichè ignoranza dei suoi predecessori. 153 Vedi enumerate le principali pitture e sculture ispirate dalla Divina Commedia nel Batines Bibl. Dantesca, Prato, 1847, 1, 316-49, e nel Ferrazzi, Manuale Dantesco, Bassano, 1865, II, 329. 154 Il Labitte, p.148, accusa di plagio rispetto a Dante, santa Francesca Romana, della quale trovansi le Visioni sull'Inferno e sul Purgatorio nei Bollandisti, Mart. II, 162. Veramente non si potrebbe dire che la santa abbia copiato la Divina Commedia. Essa riproduce le idee più volgari, e diremo anzi, più triviali, sull'Inferno: il suo Lucifero è quello del volgo, coronato il capo de cornibus cervinis che hanno multos cornicolos. Parrà più strano in una santa vergine il supplizio ch'ella infligge ai compagni di ser Brunetto e degli altri che Dante pone nel terzo girone del settimo cerchio infernale: noi lo taceremo, ma chi volesse saperne qualcosa, cerchi nei Bollandisti, e confronti anche col passo della Visione di s. Ildegarde, recato dal Delepierre nella Prefazione alla Leggenda di Tundalo, p. XII. Nell'Inferno di s. Francesca sono puniti in luoghi speciali i medici per uso di libri proibiti e cattivi medicamenti, i farmacisti propter medicinas injuste compositas, gli osti che ponebant aquam in vegete et ipsam vendebant pro vino, e i macellai per peso falso! - Le Visioni di s. Veronica che il Tommaseo, Parad. XXXII, raffronta colla Divina Commedia, sono del XV secolo. 155 Ved. l'Inferno di Armannino recato dal Tommaseo nell'Antologia del novembre 1831, e poi nel suo Commento al c. XXXIV dell'Inf. - I confronti fatti dal Bottari (Lett. a un Accad. della Cr.) fra il Purgatorio del Guerrin Meschino e il dantesco, chiariscono pienamente quel che il dotto uomo non seppe vedere: che, cioè, Andrea da Barberino, raffazzonando verso la fine del XIV o i primordj del XV secolo, il suo romanzo, sostituì le immagini dantesche a quelle della leggenda di s. Patrizio. Erronea è dunque l'opinione, primamente sostenuta dal Malatesta nel suo dialogo Il Rosso, e ripetuta dal Fontanini, che Dante sia stato plagiario del romanziere, quando la cosa procede appunto al rovescio. 156 Michelagnolo da Volterra, trombetta del Comune di Pisa nel 1488, in quel curioso catalogo dei libri da lui letti, che il Bandini ha stampato nel Catal. Laurenz. Suppl. III, 238, pone Dante Aldigieri fra i libri dall'anima da leggere di quaresima. E nelle costituzioni dell'Accademia senese dei Rozzi era stabilito che in quaresima si avesse a legger Dante: ved. Fabiani, Memor. sull'Accad. di Siena, nella Nuova Racc. del Calogera, III, 29. 157 Il poeta comincia ad avere il titolo di divino nella edizione dell'81 col commento del Landino, e il poema colla edizione del Dolce del 1555. |
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