II.
- E dunque, Vige, siamo
all'ordine? - domandò la signora Chiara affacciandosi all'uscio dell'ampia
cucina, che un bel sole d'ottobre penetrando dai due finestroni spalancati
allietava di festevole luce.
Vige, la contadinotta
che stavasene intenta al focolare, alzò il capo dalle marmitte, in cui
cuocevasi il desinare della famiglia:
- In pochi minuti,
signora. E poi al mezzogiorno ci manca ancora.
- Non ci deve mancare
mica molto. E sai che il signor Mattia....
- Eh! lo so che a lui
l'attendere non piace....
In quel momento stesso
dalla chiesa di Tricesimo uno scampanìo allegro annunciò le dodici.
- Mezzogiorno! - disse
la signora Chiara. - Affrettiamoci.
La domestica allora si
mise in grandi faccende intorno al suo focolare. Coll'aiuto delle molle,
scoperchiò una padella e soffiato sul fumo profumato che ne uscì in una densa
nube, guardò con occhio esperto se il punto di cottura fosse soddisfacente:
- È pronto! - esclamò
poi. - Il professore oggi sarà contento.
E in fretta, slacciatosi
il grembialone di tela bigia che aveva dinanzi, staccò da un chiodo un altro
grembiale bianco di bucato, che si legò alla vita; si diè una sciacquatina alle
mani in una catinella, poi soggiunse tutta sorridente:
- Ed ora appena il
professore esce dal suo studio metterò in tavola.
La signora Chiara, colla
tranquillità della padrona di casa che sa ormai tutto quanto bene disposto,
passò nel tinello e, attendendo che il figlio uscisse dalle sue stanze, si
occupò ancora a mettere in una più precisa posizione i vari oggetti sulla mensa
preparata.
Ma il professore
tardava.
- Viene? - domandò Vige
comparendo sull'uscio.
- Ma.... non so.
- Lo chiamiamo?
- È capace
d'inquietarsi.
- E intanto il pranzo ne
soffre.....
La vecchia signora in
punta di piedi andò allora presso un altro uscio e curvatasi, con una certa
fatica, che la sua età spiegava, a guardare attraverso la toppa:
- Eh! sì! Ci pensa al
desinare lui! È là a cavarsi gli occhi con le sue eterne monete!
Poi, timidamente, quasi
col timore di chi sta per imprendere un atto sconsigliato, schiuse pian piano
l'uscio:
- Mattia.
Il professore volse il
capo.
- Oh! mamma! - esclamò
sorridendo.
- Il pranzo aspetta.
- È mezzogiorno di già?
- Suonato da un pezzo.
- Eh! questo tempo che
scappa così!
E si levò dal seggiolone
di canna ricurva, si tolse gli occhiali che depose diligentemente sur un
mucchio di carte, prese il suo fazzoletto turchino che giaceva lì accanto, e
dopo avere con esso detersa la fronte tutta bagnata, venne con ciera allegra
incontro alla signora:
- Scusami, la mia povera
vecchietta. Eccomi qua e con una fame: con una fame che guai se il pranzo non è
proprio eccellente!
Passò il braccio intorno
alle spalle della madre e celiando insieme, com'era loro costume, andarono a
prendere i loro posti.
Vige entrò. Coll'aria
tra modesta e superba di un artista il quale presenti solennemente una propria
opera che sa riuscita un capolavoro, posò in mezzo alla tavola un bel pasticcio
fumante, appetitosissimo al solo guardare la sua crosta dal colore di oro.
- Benone! - esclamò il
professore Mattia. - Proprio quello che ci voleva! Il pasticcio di polenta che
mi piace tanto e che la Vige quando vuole sa far così bene!
- Eh! oggi poi.... -
rispose la servetta tutta inorgoglita dagli elogi - Agnul ha portato stamane
dall'uccellanda dodici tordi così grassi e belli.... Vedrà, vedrà!
La signora Chiara tagliò
il pasticcio. E il professore si mise a mangiare con grande appetito,
lasciandosi sfuggire delle esclamazioni di plauso, che se facevano sorridere la
signora Chiara, mandavano addirittura in solluchero la bravissima cuoca.
- Eh! mi viziate
voialtre con questi bocconcini da principe. Mi viziate!
E il desinare proseguiva
così, allegro. Allegro come del resto esso era ogni giorno in quella casa.
Poichè il professore in
quelle ore si trasformava, e davvero bisognava sorprenderlo in tali momenti per
farsi un esatto giudizio sul conto suo. Abituato a starsene tanto lungamente
chiuso nel suo studio, curvato a leggere vecchi volumi, ad esaminare con la
lente monete e medaglie, a classificarle per ischede con una pazienza da
certosino, quando usciva di là e trovavasi presso sua madre diventava un altro
uomo. Allora voleva, secondo la sua espressione, rifarsi del tempo perduto.
E si divertiva a parlare di mille cose, di tutte le futilità della vita
casalinga, di tutti i pettegolezzi del borgo, contento di vedere sua madre che
ci prendeva interesse, che s'incaloriva nelle discussioni e si divertiva alle
sue facezie.
Talora anche parlavano
de' loro interessi, del raccolto sperato, de' contratti coi loro affittaiuoli:
discorsi codesti a' quali il professore amava di tagliar corto: se ne intendeva
così poco, c'era la mamma che faceva lei e faceva tutto tanto bene!
Più di rado assai, chè
Mattia evitava con molto tatto quegli argomenti, evocavano qualche ricordo del
passato. Allora la signora Chiara si faceva triste, il professore si metteva a
tormentare con le dita la sua fluente barba un po' brizzolata, e finivano tutti
e due per cercare cogli occhi inumiditi in alto sulla parete un'immagine seria
e severa, che parea li guardasse affettuosamente giù dalla cornice di legno
dorato.
Quel giorno però i
pensieri melanconici sembravano messi in bando. Il professore era anche più
loquace e ridanciano che non fosse suo costume. Come avviene a tutti coloro che
dedican la loro vita alle minute ricerche storiche e provano un'immensa
soddisfazione ne' momenti in cui riescono a sciogliere taluno di que' dubbi
sottili, intorno a' quali si tormentano senza requie il cervello, quel giorno
il professore Mattia sentivasi esultante. Era finalmente pervenuto a mettere in
chiaro alcuni punti controversi in un lungo suo studio sulle antiche zecche di
Aquileia e di Gorizia. L'opera che gli era costata cinque anni di lavoro poteva
così dirsi compita. E questo, per il professore Sant'Angelo, era il
raggiungimento della più cara fra le sue aspirazioni.
- Ah! mamma mia, come
sto bene quest'oggi! È da un gran pezzo che non feci tanto onore a' tuoi buoni
piattini, cara la mia vecchietta.
E con grande
soddisfazione della signora Chiara e anche della Vige, che gli voleva un bene
dell'anima, si pigliava sul piatto un'altra bella fetta di pasticcio.
Fu verso la fine del
pranzo, mentre la Vige poneva in tavola un corbellino di magnifiche prugne e
d'uva mora, che il professore Sant'Angelo e la signora Chiara ebbero una grande
sorpresa.
Improvvisamente sui
ciottoli dei cortile si udì il rotolìo di una carrozza che entrava, salutata
dall'abbaiare insistente del cane di guardia.
- Oh! chi c'è mai a
quest'ora?
La Vige si fece alla finestra,
socchiuse le imposte verdi che in causa del sole eran unite a libro, e, data
un'occhiatina al di fuori, proruppe in un'esclamazione di meraviglia:
- Guarda, guarda! Prè
Letterio....
Il professore, come
udendo il nome di un amico desiderato e diletto, balzò in piedi:
- Prè Letterio!
E seguito dalla mamma
andò frettoloso all'uscio per incontrare il nuovo arrivato.
Intanto fuori, nel gran
sole che inondava il cortile, il carrozzino erasi fermato e il piccolo Agnul,
il ragazzo cui era affidata la cura della stalla, aveva preso per la briglia il
cavallo. Un vecchio prete, che era solo nel carrozzino, ne discese un po'
lentamente e mosse verso il professore colle braccia aperte.
Si baciarono con
affetto; quindi, stretta la mano alla signora ed alla Vige, l'ospite s'avviò
alla casa.
- Ma che bella sorpresa,
Prè Letterio, che bella sorpresa!
- Non m'aspettavate così
presto, è vero? - diceva il prete sedendo nel seggiolone che la Vige aveva rotolato per lui accanto alla tavola. - Eppure sono già sette settimane dal giorno
della mia partenza.
- Perchè non scrivermi
un rigo del vostro arrivo? Sarei venuto io a Udine per vedervi, Eppoi vi dobbiamo
fare un grande rimprovero. Ci avete lasciato per tanto tempo senza vostre
notizie....
- Eh! forza maggiore,
amici miei; non certo mancanza di volere. Sono settanta suonati e un viaggio
così lungo, con tanti pensieri...
- Avete dovuto
affaticarvi assai?
- Sì, molto. Ma ne sono
contento: ho trovato così buone accoglienze! Però quanto m'è toccato di correre
in quella benedetta Roma! Da un ufficio all'altro, da una parte all'altra della
città.... Certe distanze! Ma poco monta. La morale è di aver ottenuto quel che
speravo.
- È una bella
soddisfazione, Prè Letterio! - disse la signora Chiara. - Come i vostri
poverelli vi dovranno benedire!
- Sono i miei figliuoli!
Se il buon Dio mi consente di provvedere al loro bene, a me non resta altro da
domandargli.
Don Letterio Prandina
era un ottimo sacerdote. Ultimo discendente di una nobile e ricca famiglia di
Cividale, contristato ne' suoi giovani anni da molti dolori, si era dato per
vocazione al sacerdozio, consacrando a quella ch'egli intendeva come un'alta missione
di d'amore, nonchè tutta la sua intelligenza bellissima, l'intero patrimonio.
Compiuti appena i suoi studi sollecitò ed ottenne di andare come missionario in
terre lontane e ne ritornò con molta letizia per i risultati ottenuti nel suo
apostolato. Il suo libro, pubblicato intorno al '5 dai Bollandisti di
Bruxelles, De missione canonica, è tuttodì ritenuto come opera di alto
valore, non solo religioso, ma anche scientifico. Indi, costretto da debole
salute a fermare il suo domicilio in patria, continuò a dedicare l'attivissima
vita ad opere di carità, così che a lui si dovette la fondazione di parecchi
tra i più utili istituti di beneficenza che conti il Friuli. In Udine aprì
egli, sorretto dal peculio civico e dall'appoggio di parecchi cittadini, un Asilo
per fanciulli ammalati, che funziona tuttodì egregiamente, tenuto in conto
di esemplare per l'ottimo ordinamento; e fu appunto per regolare presso il
governo alcune gravi questioni d'interesse, concernenti la dotazione di codesto
istituto, ch'egli aveva voluto recarsi di persona a Roma.
- Dunque, Prè Letterio,
- disse allegramente il professore Mattia, versando del vino nel bicchiere che
Vige s'era affrettata a recare per l'ospite, - -quei signori a Roma non sono
poi tanto dispettosi come qualcheduno si piace di descriverli....
- Ma che! Lasciamo
gracchiare i cattivi, che ne hanno interesse! Quando stavo per partire mi
avevano messo tanti scrupoli: "vedrà che butta i denari del viaggio; vedrà
che col suo abito da prete non le daranno il più piccolo ascolto: vedrà questo,
vedrà quello..." Vidi una cosa sola: che alle porte dove ho battuto in
nome dei miei poveri, ho trovato accoglienze le più cordiali e che dal
ministro, al quale ho chiesto udienza, mi vennero offerte tutte le
facilitazioni possibili....
Il prete pareva
soddisfattissimo nel dir queste cose, Nè il professore sembrava meno lieto di
udirle a dire.
- Eh! sì, - riprese don
Letterio, dopo aver aspirato con lentezza una presa di tabacco, - della gente
buona ce n'è ancora. E fa bene di incontrarla in mezzo a tante amarezze che ci
tocca di subire nella vita. Vedete, amici miei, anche in questo viaggio.... Ero
contento, me ne tornavo felice; e proprio agli ultimi giorni....
- Vi è avvenuto qualche
cosa di triste? - domandò premurosamente la signora Chiara.
- Che cosa mai? -
soggiunse con pari interesse il professore.
- Sì, qualchecosa che mi
rammaricò profondamente e farà dispiacere a voi pure, amici miei.
- Don Letterio, ci
mettete in una curiosità!
- È un incontro che io
feci otto giorni sono per un capriccio bizzarro del caso o piuttosto (si
corresse il prete con una dolcezza serena nella voce) per il benefico volere
della Provvidenza. Ve lo avevo detto quando partivo: nel mio ritorno avevo
divisato di fermarmi qualche giorno in un piccolo luogo della Toscana a metà
della strada fra Firenze ed Arezzo. C'è là un mio cugino, curato in quella
pieve: non ci vedevamo da più di ventisette anni....
- Ebbene?
- Feci quanto avevo
stabilito. Fui accolto a braccia aperte, come un fratello. Così contento
com'ero, mi parve una vera benedizione di potermi riposare un poco senza
pensieri, in quella casa ospitale, nella fresca ombra di quell'orto, che il mio
vecchio amico si coltiva da sè. È un santo prete: un'anima giusta veramente,
capace di qualunque sacrificio per il bene del prossimo.
- Vi somiglia, don
Letterio.
- Fa il suo dovere come
me: nient'altro. Ma ne raccoglie il più grande dei conforti: la benevolenza
generale. Vi racconto tutto questo per venire a quanto mi preme.
- L'incontro che avete
fatto, don Letterio? - chiese la signora Chiara.
- Appunto.... Fra due
amici che da tanto non si sono incontrati, si hanno sempre mille cose da
narrarsi!... E fu così, che tra una chiacchiera e l'altra, l'amico mio fu
tratto ad espormi, non so proprio più come, anche un caso assai triste,
avvenuto allora allora nel suo piccolo paese. Si trattava di una maestrina, una
giovane che veniva da Vicenza e che il municipio, sulla fede di eccellenti
certificati presentati al concorso, aveva assunto per la scuola popolare del
borgo.... Quando ella s'era presentata - narrava mio cugino - -tutti quanti ne
avevano avuta una profonda impressione. Era una povera ragazza, bellissima di
volto, ma coi segni così vivi di un grande dolore da inspirare in tutti gli
animi il più caldo interessamento. Seria, modesta, intelligentissima, s'era
data al proprio dovere con la massima solerzia; e tanto più i conoscenti, che
aveva già numerosi e buoni, si rammaricavano nel vederla sempre così
sofferente. Un bel giorno corse per il paese una curiosa voce- La giovine
maestra stava malissimo; era stata trovata nella sua stanza in uno stato dei
più allarmanti; e fu solo per effetto degli energici soccorsi s'ella potè
essere salvata da una certa morte.... Taluni vollero - e la cosa, mormorata
dapprima vagamente, assunse a poco a poco una certa verosimiglianza - che si
fosse trattato di un tentativo di suicìdio....
Il prete si riposò un
istante, indi proseguì:
- Breve: la giovane
venne salvata. Ma la malattia fu lunghissima e grave. C'era là un forte dolore
da confortare, una grande miseria da lenire, e mio cugino intervenne pronto.
Soccorse quella povera creatura, ch'era buona ed infelice, come meglio gli fu
dato, e coi fatti e colle parole. Ella si ristabilì a poco a poco, ma il medico
dichiarò ch'ella sarebbe stata ormai nella impossibilità di riprendere, senza
tema di una ricaduta mortale, le fatiche dell'insegnamento. Il comune - un
comunello non ricco - le elargì qualche sussidio; poi, per quanto a malincuore,
dovette metterla in disponibilità....
- Povera giovane!
- Povera davvero!... Fu
appunto in quei giorni, dopo averne appreso la tristissima storia, ch'io stesso
la vidi in casa del mio amico. Vi era venuta a supplicarlo di raccomandarla
presso a qualche famiglia di conoscenti per farle ottenere un posto di
istitutrice, di cameriera.... un posto qualunque pur di vivere onoratamente. Mi
fece pietà. Ben di raro ho visto una faccia più dolcemente buona e rassegnata;
ben di raro intesi una parola più soave o piena di tristezza. Mi fece pietà
ancor maggiore quando io seppi il suo nome....
- Qual nome? - domandò
subito il professore.
- Loreta Lambertenghi.
- Loreta! - esclamò la
signora Chiara con grande sorpresa. - Loreta, la figlia di Prospero
Lambertenghi!
- Sì, la figlia di
Prospero Lambertenghi e della povera Cannila Sant'Angelo. Ah! è stata ben
fortunata la povera Camilla di morir così presto per non vedere il triste
destino riserbato alla sua creatura!
- Ma dunque il
Lambertenghi?
- Ha finito la sua
miserabile esistenza. È morto a Sidney, in un ospitale di suore francesi, dieci
mesi sono. La notizia della sua morte deve aver portato un ultimo colpo sulla
salute malferma della sua sfortunata figliuola.
- Poveretta, poveretta!
- sclamò la signora Chiara con accento commosso.
E un improvviso silenzio
si fece fra i tre interlocutori di quella scena.
Prè Letterio aveva
compreso la penosa impressione destata dal proprio racconto nell'animo del
professore e di sua madre. Eglino sentivano entrambi risvegliarsi in quel
momento tanti ricordi, che il tempo aveva addormentali in fondo ai loro cuori.
Dall'epoca in cui il
dottor Giovanni Sant'Angelo, compromesso in complotti politici, era stato
costretto a riparare in Isvizzera, pochi rapporti aveva egli più avuto colla
famiglia della sorella. Col cognato, Prospero Lambertenghi, non erano mai
andati d'accordo; diversità d'indole e di sentimenti gli aveva tenuti discosti.
Quando, dopo sedici mesi da che il Sant'Angelo trovavasi a Ginevra, giunse la
notizia che Camilla era morta, rapita in breve tempo da un fiero morbo, ci fu un
momentaneo ravvicinamento de' due cognati. Allora nelle lettere, scritte da
ambo le parti sotto la impressione di quella sventura, molte cose dolcissime
furono dette a proposito della povera bimba, Loreta, che restava a cinque anni
senza il conforto amoroso della mamma. Indi tutto cambiò. Da un lato le
fortunose vicende di que' tempi, dall'altro alcune brutte voci corse sulla
condotta del Lambertenghi. valsero a rimettere un nuovo gelo tra le due
famiglie. Come in simili casi avviene? nè dall'una parte nè dall'altra fu più
nè desiderato nè tentato un riavvicinamento, I Sant'Angelo avevano udito per
mera combinazione di grandi viaggi impresi dal Lambertenghi; avevano vagamente
saputo che la giovane sua figlia, uscita da un educandato, s'era data a fare l'istitutrice.
Più in là, nulla. Le ultime novelle le avevano ricevute quel giorno per bocca
del prete Letterio.
Dopo un lungo silenzio,
la signora Sant'Angelo tornò a mormorare, come a conclusione di tutto ciò che
le era ripassato nella mente:
- Povera creatura,
povera creatura!
- Eh! - fe' il prete con
un profondo sospiro, - sarebbe un'opera ben meritoria il porgere una mano a
questa sventurata!...
Il professore, serio,
colle dita sprofondate nel suo barbone, guardava fissamente la madre come per
leggerle sul viso ciò ch'ella pensava.
Poi ad un tratto:
- Potendolo fare! -
disse a mezza voce. - Potendolo.... sicuro!
- Potendolo, professor
mio! Ma è tanto facile. Che cosa chiede quella poveretta? Ve lo dissi prima.
S'accontenterebbe persino di un posto di cameriera....
- E tu, mamma, che dici?
- Che vuoi ch'io dica?
Penso che, dopo tutto, quella lì è sangue nostro. È la nipote di tuo padre. Che
se anche infine il Lambertenghi, che Dio lo riposi, è stato un cattivo
soggetto, non è poi giusto che la figlia di lui, che non ne ha colpa nè
peccato, debba soffrire a questo modo....
La vecchietta, la quale
aveva messo in quella risposta tutta la focosa convinzione di cui si sentiva
dominata, s'interruppe un momento guardando il figliuolo:
- Tu approvi quello
ch'io penso?
- E chi mai non
approverebbe i buoni pensieri che tu hai sempre, mamma.... coll'angelico tuo
cuore.... La signora sorrise un poco.
- Ah! per questo sì, mi
ci sottoscrivo anch'io! - intervenne prè Letterio. - E che voi, signora Chiara,
e che il professore Mattia avreste pensato così, io non ho dubitato un istante.
Anzi, volete che ve la dica tutta?
- Ma sì, ma sì.
- Ebbene: viaggio
facendo, nel mio cervello ho architettato perfino un mio bravo progetto. Ma,
badate, un progettino in tutta regola, che se mai potesse avverarsi sarebbe una
cosa tanto bella.... Ve lo dico?
- Fuori, prè Letterio,
fuori!
- Ecco qua. Già tante
volte il professore Mattia mi aveva fatto un certo discorso: "La mamma è
una donna forte, una donna che per la casa è un tesoro, ma infine cogli anni
che passano avrà pure bisogno di condurre una vita un po' più
tranquilla...." E poi, non una ma cento volte, un'altra cosa mi disse:
"lui deve badare agli studi, deve restarsene tante e tante ore chiuso con
i suoi scartafacci e le sue medaglie.... e la mamma intanto a star sola si deve
pur annoiare; così, in campagna, d'inverno, avere almeno una persona amica da
barattar dieci parole lavorando insieme, da farsi leggere un libro per
ammazzare il tempo!..." A tutto questo io ho pensato. Se vi prendeste la
povera Loreta.... Un posto qui alla vostra tavola si farebbe tanto presto. Poi,
in fine di tutti i conti, meglio che un'estranea, una persona del vostro
sangue.... Eh? Il vecchio prete sostò, aprendo le braccia nell'atto di chi,
avendo esposto una cosa molto logica, aspetti con tutta sicurezza la pronta
adesione de' suoi interlocutori. E la risposta non tardò.
- Certo che quanto don
Letterio dice è molto giusto! - fe' il professore. - La combinazione sarebbe
buonissima....
E così a furia di reticenze
continuò ancora un poco, senza dare tuttavia un'esplicita dichiarazione.
Ma al prete Letterio
brillavano gli occhi, perchè, conoscendo perfettamente il suo amico,
comprendeva che quegli, persuaso, persuasissimo, desideroso di annuire, restava
in forse unicamente per lasciare che la madre decidesse lei, come le pareva:
- Dunque, signora
Chiara, che cosa vi consiglia il cuore?
- Ma! il cuore mi
consiglia di offrire a quella povera creatura il soccorso che ci domanda. Se
Dio vuole che così sia per il bene di lei, ch'essa venga dunque! Purchè mio
figlio sia contento....
- Qua dentro la padrona
sei tu, mamma. E poi, te l'ho detto già prima, tu non puoi volere una cosa che
non sia bella.
Don Letterio battè
insieme le palme:
- Bravi, bravissimi! È
un'azione benedetta la vostra, e ne avrete il compenso. Figuratevi la gioia di
quella creatura!
- Le scriverete voi?
- Immediatamente.
- E siete contento?
- Mi avete fatto il più
caro dei regali per il mio ritorno.... Ed ora, una gocciola ancora del vostro
buon vino. E poi in viaggio.
La signora Chiara riempì
il bicchiere del prete e quello di suo figlio, ed anche nel proprio versò
qualche stilla.
Ridendo tutti e tre
toccarono i bicchieri.
Poi, prè Letterio risalì
nel carrozzino che l'aspettava nel cortile, e, salutati gli ospiti, riprese la
strada di Udine,
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