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Alberto Boccardi
Il peccato di Loreta

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  • IX.
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IX.

 

Le cose risapute dal Mangilli misero l'inferno nell'animo del professore; e se da un lato comprendeva di dovergli riconoscenza per quella prova di amicizia, dall'altro quasi dolevasi ch'egli non gli avesse risparmiato una pena così crudele.

Da principio, colla testa ancora in fuoco, ad una sola cosa egli pensò: scoprire i tristi che avevano messo in giro le calunniose voci, affrontarli risolutamente e costringerli a farne immediata ammenda.

Ma che tale proposito fosse inattuabile s'appalesò a lui stesso non appena calmato il primo bollore dell'ira. Come avrebbe egli potuto con sicurezza, per quanto guidato da fondati sospetti, chiedere ragione a singoli individui di ciarle, che ad ogni ora trascorsa si spandevano sempre più vastamente nel paese? Poi in uno scandalo non sarebbe per avventura stato compromesso in modo ancor più grave il nome di Loreta, il nome stesso dei Sant'Angelo? E forse nella dimostrazione dei proprî risentimenti non avrebbero avuto conferma ed avvaloramento le dicerie circolate?

Queste considerazioni trattennero il Sant'Angelo da que' passi ai quali sulle prime erasi trovato spinto con istintiva veemenza. Ed anche da questo lato ebbe gratitudine al Mangilli dell'avernelo freddamente ammonito mettendogli sottocchio tutte le possibili conseguenze.

Con tutto questo però la battaglia che lo affannava non ebbe tregua. A tutte le interrogazioni che egli si proponeva sul modo di liberarsi dal martirio di quella situazione, non gli veniva fatto di dare risposta. E in tale impotenza della propria ragione egli s'abbatteva percosso in un avvilimento sempre maggiore, senza speranza di più poterne uscire ritemperato e vittorioso.

Mai come in quei giorni egli sentì il dolore della propria solitudine. Gli pareva che nella tristezza di quei frangenti la parola affettuosa di una persona amata gli avrebbe fatto un bene immenso. E questo pensiero gli si faceva più cocente ogni volta che si trovava di fronte a Loreta. Da lei sola gli pareva che un conforto gli sarebbe potuto venire, da lei ch'era stata sempre per la sua casa come un buon genio consolatore.

Ma neppure siffatto bisogno di una espansione confidente valse a disuggellare il labbro del Sant'Angelo nei suoi incontri con la cugina. Diffidando di stesso, comprendeva come una sola parola avrebbe potuto trascinarlo alla confessione di quel segreto, ch'egli ascondeva con tanta gelosia. E si prefisse di durare coraggiosamente nel proprio silenzio.

Questo però gli costava una fatica estrema, non pure per gli impulsi del proprio cuore, ch'egli doveva frenare, ma più ancor in causa d'un fatto, ch'era venuto ad accrescere in modo grave le sue preoccupazioni.

Loreta in que' giorni mostravasi assai sofferente. Ella che di consueto lavorava in casa senza tregua, lieta di quell'attività continua, da qualche tempo era costretta a negligere una parte delle sue occupazioni. Restava a lungo ritirata nella sua camera, evitava di scendere alle ore dei pasti allegando un malessere, ch'ella assicurava passeggero e pel quale non d'altro sentiva bisogno che d'un poco di quiete.

A Mattia, che con affettuosa premura venne a chiederle che cosa soffrisse, ella rispose forzandosi a trovare qualche frase scherzosa. altrimenti si contenne colla Vige, che le stava intorno continuamente piena di sollecitudine e di interessamento.

Ma la Vige il professore rimasero per tal guisa tranquillati. Che Loreta soffrisse e che i dinieghi suoi non rispondessero al vero, lo diceva chiaramente la pallidezza del suo viso e lo dicevano i suoi occhi arrossati e gonfi come per lungo piangere.

La Vige non potè tenersi dal dire al professore ciò ch'ella pensava:

- La signorina sta male. Io so che non mi sbaglio. Così, com'è ora, non l'ho vista che una volta, nel primo tempo quando venne in casa.... Si ricorda, padrone mio, di quella volta.... Era lo stesso, proprio lo stesso!

Il Sant'Angelo non rispose. Che la giovane si trovasse sotto il peso di una preoccupazione fortissima non aveva dubbio. E subito il pensiero gli venne ch'ella non soffrisse per qualche maligna voce giunta al suo orecchio. Benchè Loreta vivesse isolatissima, uscendo di casa appena due volte la settimana, per recarsi a Tricesimo nel giorno di mercato e alle domeniche per la messa, certo i nemici suoi dovevano aver trovato il mezzo perchè ella venisse a cognizione delle dicerie che s'erano fatte.

Cotesta idea lo inasprì vivamente. Le sofferenze proprie gli parvero avessero ad un tratto perduto la loro insistente asprezza. E assorbito completamente in questo nuovo pensiero, si sentì riardere d'ira contro i vili, che non paghi del male a lui fatto, avevano per fermo voluto gittare il turbamento anche nell'anima di quella povera donna.

Incapace di appigliarsi ad alcun partito e tormentato ognor più acerbamente da tanta indecisione, un lampo di luce balenò al professore nel leggere una breve lettera che gli giunse improvvisamente da Udine da parte di don Letterio Prandina.

L'ottimo prete chiedeva di avere con lui un abboccamento:  si trattava di cosa delicata, risguardante lui stesso e Loreta Lambertenghi: era costretto a pregarlo di venire in Udine non potendo egli, in causa di malferma salute, recarsi al paese.

Il professore non frappose ritardo. Letta appena la lettera, chiamò Agnul perchè allestisse il carrozzino e, fatta avvertire la Lambertenghi che recavasi in città per affari, si mise tosto in via.

Mai come in quel giorno il cavallino di casa fu costretto a percorrere di un trotto continuo e serrato il lungo stradone polveroso, che congiunge con una linea retta Tricesimo a Udine.

In men d'un'ora il professore giunse alla meta e, lasciato il carrozzino al solito stallaggio dell'Albergo Italia, se ne andò rapidamente alla casa di don Letterio, posta appunto in quei pressi, non lunge dal palazzo arcivescovile.

Egli trovò il vecchio prete nella sua stanza da lavoro. Benchè ammalato, don Letterio sedeva alla sua scrivania e, con gli occhiali a cavalcioni del naso, stava ordinando un voluminoso pacco di atti. La stanza, che il Sant'Angelo conosceva benissimo, era quasi povera: mobili vecchi coperti d'una stoffa che il tempo aveva scolorato, moltissimi libri ammontati un po' dappertutto, due o tre rozzi disegni a penna incorniciati di nero e rappresentanti alcune vedute de' paesi ove il prete era stato da giovane in missione: unico ornamento appariscente sulla nudità delle bianche pareti un grande crocefisso, pregevolissima opera di scultura in legno. Sul tavolo, in un bicchiere di cristallo alcune grosse rose rosse.

Quando il professore entrò, don Letterio alzò il capo da' suoi scartafacci e tendendogli la magra mano bianchissima, lo salutò con affetto:

- Siete venuto presto, Mattia. Così va bene; vi ringrazio.

- Mi ringraziate, don Letterio? Che cosa dovrei dir io a voi per la bontà vostra? E la salute?

- Non bene, figlio mio. La vecchiaia è per stessa una brutta malattia.... Con tutto ciò, Iddio m'aiuta.... Vedete: lavoro....

- Fate male, Prè Letterio, ad affaticarvi.

- Che volete? Non posso farne a meno. Poi i miei poverelli avevano bisogno di me. Da due settimane non avevo potuto muovermi di casa. Dovevo bene, appena ne ebbi il modo, riparare a tanti giorni perduti.

- Benedetto voi, siete sempre eguale. Dovunque passate tutti vi debbono benedire.

- Non dite queste cose, Mattia: non mi piace di udirle.

- Non è forse la verità cotesta? E d'altronde non la dicono tutti? Perchè dovrei tacerla io, che vi debbo tanto, che non posso dimenticare il bene che avete sempre fatto alla mia famiglia; io, che anche oggi, venendo qui, entrando in questa vostra pacifica casa, ho sentito tanta dolcezza? Se sapeste, don Letterio, il bisogno che ne avevo!

Il vecchio ebbe un sorriso buono sul suo volto pieno di serenità.

- Lo immaginavo, Mattia, lo immaginavo.

- Lo immaginavate?

- Sì.

- E come? come mai?

- Perchè so che siete buono; perchè so che i Sant'Angelo hanno il cuore ben fatto, da padre in figlio; ch'essi non possono a meno di ribellarsi e di soffrire dinanzi alla ingiusta malignità altrui.

- Voi sapete dunque, sapete.... e in qual modo?

Il vecchio rimosse colla sua destra, che parea scossa da un tremito continuo, il monte di carte che aveva dinanzi e presane una lettera la porse al professore.

- Leggete.

Mattia spiegò la carta e corse con gli occhi alla firma:

- Loreta!... È lei che vi narra? Lei!

Don Letterio rimase tranquillo a quelle esclamazioni irruenti, come vi fosse preparato.

- Lei, - rispose, - lei stessa. Leggete.

La lettera che il professore percorse rapidissimamente, in un baleno, non era lunga: tre sole facciate di piccolo formato; ma nella brevità delle frasi, piene di quella naturalezza che è figlia del vero, era ritratto con potente evidenza lo stato d'animo in che la giovane si trovava.

Quello che il professore Mattia s'attendeva era avvenuto. La malignità, che già era riuscita ad ordire intorno a lui così tenace la rete dell'intrigo, aveva trovato la maniera di arrivare con le sue subdole arti fino a Loreta.

Narrava ella in termini precisi e dolorosi il modo con cui ebbe sospetto da prima, e più tardi certezza, delle dicerie oltraggiose che sul conto suo si facevano in paese: fu sul principio un'eco vaga, che le giunse senza sapere da qual parte; furono quindi voci discrete di amici che la metteano, con indeterminati accenni, in guardia; e fu da ultimo l'improvviso glaciale riserbo che notò in alcune famiglie del vicinato, da taluna delle quali si vide togliere perfino quel saluto di convenienza, che sin allora le ricambiavano sempre con tanta simpatia nell'incontrarla in paese o alle domeniche in chiesa. In una condizione siffatta non si sentiva di poter resistere: per quanto negli anni trascorsi in casa Sant'Angelo si fosse trovata felice, non le bastava l'animo di continuarci a vivere adesso a quel modo, sotto il peso di un disprezzo, non men doloroso perchè ingiusto, il quale si sarebbe fatto su lei sempre più grave e l'avrebbe condannata ad un avviliente e sconfortato isolamento. Ricordando con molta gratitudine e con soave rimpianto la ospitalità de' suoi parenti e la bontà di don Letterio, cui era debitrice di quegli anni sereni, a lui rivolgevasi Loreta esponendogli com'ella fosse decisa di uscire da quella situazione insostenibile e supplicandolo ch'egli le fosse largo del suo soccorso ancora una volta in questo frangente.

A mano a mano che Mattia avanzava nella lettura uno strano rimescolio si faceva dentro di lui, e quando fu giunto alla fine sentì così ardente il viso per il sangue che v'era affluito, che durante alcuni istanti rimase immobile, fissando sempre la carta, come avesse provato, un'esitanza a rialzare il capo e ad incontrare lo sguardo del suo interlocutore.

Questi fu il primo a rompere il silenzio:

- Ebbene? - domandò. - Che ne pensate?

Il Sant'Angelo si scosse e, stringendo nervosamente la lettera fra le mani poderose, ebbe uno scatto improvviso d'ira:

- I miserabili! - esclamò. - I miserabili!

Il prete lo lasciò dire e solo dopo un momento riprese con molta calma:

- Dell'ira? Sì, è giustificata, è umana, e non saprei io stesso, come sarebbe dover mio, farvene rimprovero. Ma a che potrebbe giovare la vostra ira? E contro chi potrebbe essa con maggior ragione essere rivolta? No, no, innanzi tutto ponderazione e calma! Che negli uomini abbia maggiore dominio la malvagità è vero purtroppo, ma è altresì dolorosamente vero che qualche volta a tale malvagità sono troppo deboli le armi degli onesti!

- Quando si ha per la coscienza della propria illibatezza!... - esclamò il professore.

- Si, in teoria, voi avete ragione. Sarebbe bello il poter ricambiare sempre col disprezzo la malignità. Ma potete voi, onestamente, chiedere ad una povera creatura, che è debole, che ha già patito, che ha bisogno di pace, di accettare una simile battaglia, in cui i nemici le si moltiplicheranno ogni giorno di contro e che le costerà ogni giorno più aspre ferite? E perchè dovrebbe questa povera creatura, quando non le sia negato di cercarsi altrove la pace, durare in cotesto cimento?

- Allora voi approvate quello che Loreta vuol fare?

- Se scorgessi un mezzo per mutare la situazione, che le circostanze hanno creato, avrei forse qualche esitanza. Ma così....

- Così?

- Debbo approvarlo non solo, ma consigliarlo e lodarlo. È il divisamento di chi si rispetta. E vi confesso che da questo momento, se compiango Loreta per la tristezza della sua sorte, sento accresciuta a cento doppî la mia stima per lei. È una buona, sventurata, esemplare donna....

Il professore ebbe un rapido sfolgorio in tutti i suoi lineamenti.

- Sì, questo sì, - riprese con sùbito trasporto, - buona, esemplare donna.... Io lo posso dire che l'ho vista per la mia casa, per la povera mia madre, ricca di tante tenerezze, capace di tanta abnegazione.... Vedete, don Letterio, io non posso adattarmi all'idea ch'ella debba abbandonare la mia casa: sarebbe un vuoto, che nulla potrebbe colmare, sarebbe per me una nuova sventura!

- Lo capisco. Ma allora....

- Allora....

E ripetuta questa parola come macchinalmente, il Sant'Angelo curvò il mento sul petto senza poter proseguire.

Il vecchio amico gli posò in atto di benevolenza la mano sulla spalla.

- Andiamo dunque, Mattia, uscite una volta da queste esitanze. Perchè non sapete trovare, voi che siete un uomo forte ed onesto, il coraggio di chiedere al vostro cuore che cosa esso voglia? Perchè non avete almeno un poco di confidenza verso chi vi vuol bene?

L'altro gli afferrò la destra con effusione e con voce che l'emozione rendeva malferma:

- Che debbo dirvi, Prè Letterio, - riprese, - che debbo dirvi? Voi avete letto nell'anima mia. Voi sapeste indovinare assai più di quello che con le mie parole avrei potuto dirvi. Vedete, dunque, se io non sono da compiangere!

- Da compiangere? E perchè dunque? - dimandò il vecchio placidamente.

- Mi chiedete questo, Prè Letterio? Potete chiederlo? Poco fa avete detto voi stesso che mi stimate un uomo forte ed onesto. Ebbene, queste due virtù, che so di avere, che voglio gelosamente conservarmi, sono quelle che mi mettono in guardia contro me stesso. Prè Letterio, potete voi dunque credere che dopo tanti dolori che sono passati sopra il mio capo, io pure non abbia ceduto alla tentazione di un bel sogno; potete credere che io pure non abbia pensato, con aspirazione cocente, a veder tornare ancora una volta e per sempre la felicità nella mia casa e nell'anima mia? Sì, all'amicizia vostra lo confesso: questo sogno io lo feci, questa aspirazione la sentii, fortissima e tormentatrice. Ma ho saputo vincermi pensando a ciò che sono. Ma ditemi voi ora! Potrei io chiedere a una donna ancor giovane e bella, a una donna cui possono arridere ancora le speranze, ad una donna infine che non mi ama.... di sacrificarsi per sempre a me, di legare il suo destino alla mia senilità già così triste?

Il Prandina l'aveva ascoltato silenziosamente in atto meditabondo.

- Via, don Letterio, potreste darmi torto? avreste animo di dirmi che non ho fatto il dover mio?

- Avete ascoltato come sempre quel sentimento di rettitudine che onora il vostro carattere. Lo riconosco. Ma lasciatemi in pari tempo che con franchezza vi dica che a questo sentimento avete dato ascolto così ciecamente da obbliare per esso ogni altro criterio. Guardate, Sant'Angelo: io non vi obbietterò che voi vi siete esagerata la vostra posizione e che le virtù vostre dovrebbero bastare per assicurarvi l'affetto di qualunque donna voi voleste eleggervi a compagna; so che non dareste alle mie parole altro valore che quello d'un vieto conforto. Però rispondetemi: che cosa avete fatto voi finora per sapere quello che forse sta celato nel cuore di Loreta? Chi vi dice che questa donna, che ha per la vostra famigliaforti argomenti di gratitudine; non abbia concepito per voi tanta affezione, che le sia di dolore il dovervi abbandonare? Infine, dinanzi alla necessità imperiosa, che il suo onore le detta, di lasciare la vostra famiglia ospitale, di tornare alle lotte di una vita dura ed incerta, pari a quelle che essa ha già una volta sostenute, che avete fatto voi per offrirle un conforto, per salvarla da una sciagura, per darle forse quella pace, cui essa nel suo cuore anela?... No, Sant'Angelo, voi non avete ascoltato che la voce esagerata de' vostri scrupoli: voi vi siete piegato alle esigenze de' cattivi senza nulla tentare perchè essi sieno vinti e perchè voi siate felice.... Chiedere a Loreta una spiegazione esplicita, chiara, confidente, come si può farla ad un amico, come si deve farla ad un fratello: ecco il vostro dovere: ecco quello che almeno a me pare che sia il vostro dovere....

- Ma poi, Prè Letterio.... poi?

- Poi, quando aveste la certezza che Loreta non vi ama, ch'ella non potrebbe essere felice con voi, ch'ella è pronta, per isfuggire ad una situazione equivoca e non onorevole, a riaccettare una vita malsicura e tempestosa.... converrà chinare il capo. Sarà triste il doverlo fare, ma almeno vi sarete tolto il dubbio di non aver accettato con colpevole cecità un dolore, che la malvagità degli uomini e la forza delle circostanze vi hanno procurato! Il professore era rimasto ad ascoltare queste parole - che il vecchio aveva pronunciato con un tranquillo accento di persuasione - senza nulla opporre, con gli occhi lucenti, tormentandosi colla mano convulsa la lunga barba canuta.

Quando quegli ebbe finito si sforzò indarno, nella piena dell'emozione, a cercare una frase che valesse a manifestare ciò che si passava dentro al suo cuore:

- Amico mio! amico mio!

Non disse che questo ed alzandosi di scatto gittò le braccia intorno al collo del vecchio e lo baciò con effusione.

- Coraggio, via, Sant'Angelo! - disse l'altro sempre sereno. - Un giorno che vostra madre, côlta già dal presentimento della sua fine, mi parlò della possibilità che voi e Loreta aveste ad unirvi per sempre, io le risposi che, se questo sarà il volere di Dio, il suo sogno si sarebbe avverato. E le dissi ancora, che la Provvidenza non abbandona mai i buoni. Che altro volete ch'io dica oggi a voi? La mia povera scienza si arresta qui.... Ma è quella, vedete, che basta per condurre al vero! Coraggio, Sant'Angelo, coraggio!

 

 

 




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