XII.
Circa un anno dopo la
festicciuola fatta al professore Sant'Angelo, una mattina che questi recavasi
col suo cavallino alla volta di San Daniele, dove aveva a consultare alcuni
codici di quella piccola ma preziosa biblioteca comunale, fu vivamente sorpreso
allorchè passando dinanzi all'antico palazzo dei Morò-Casabianca vide
insolitamente spalancati tutti i veroni e diverse persone, in animato
andirivieni per il cortile e dinanzi agli stallaggi, affaccendatissime nel
seguire gli ordini, che il fattore, in maniche di camicia e col cappellone di
paglia indietro sulla nuca, veniva impartendo con grande importanza.
Il Sant'Angelo, colpito
da codesto movimento così inconsueto, fermò un istante il carrozzino in mezzo
alla strada e fe' un cenno al fattore con cui era in ottima conoscenza.
Questi, che subito lo
vide, gridò ai contadini qualche altro ordine perchè non avessero a perder del
tempo mentr'egli si assentava e, facendosi vento col cappellone che s'era
tolto, venne premuroso a dare il buon giorno al professore.
- Novità grandi, signor
professore, novità grandi!
- Lo vedo. Che è dunque
avvenuto?
- Niente di meno che il
palazzo ha cambiato padrone!
- Davvero?
- Una cosa improvvisa.
Si figuri che non più tardi di iersera mi capita da Udine un ordine
dell'amministratore, - sa bene, il dottor Gigi Franzolini, - che si metta tutto
in assetto, che si dia aria alle sale, perchè tra domani e posdomani ha da
capitare a veder il palazzo il nuovo proprietario.
- E chi è?
- Chi diamine lo sa!
Quel benedetto dottor Gigi, lei lo conosce.... Un angelo d'uomo, ma ci vogliono
le tanaglie a tirargli di bocca le parole. Se scrive poi.... peggio che peggio!
E il fattore, che di
quella notizia era tutt'altro che edificato, non iscorgendo nell'annunciato
mutamento se non una minaccia alla pacifica e quasi indipendente sua vita,
attaccò a questo punto una serie di considerazioni, le quali, sebbene fondate
su pure ipotesi, non avrebbero per certo potuto tornare più sfavorevoli al
nuovo proprietario.
- Abbiate pazienza, caro
Beppo, il diavolo non sarà forse tanto nero! Poi da oggi a domani non è un
secolo da aspettare per cavarsi la curiosità!
- Ha un bel dire, lei!
Ma colla pace che si aveva!... Non vede che baccano c'è già adesso!
E il buon fattore,
avvezzo alla tranquillità solenne del vecchio palazzo, gettava uno sguardo
pieno di egoistico rimpianto verso le finestre tutte spalancate, presso alle
quali scorgevansi tratto tratto la fattoressa e le sue ragazze intente a
spolverare mobili e cortinaggi.
Il professore,
comprendendo benissimo come il fattore, preso l'abbrivo, sarebbe andato chi sa
fin dove con la litania degli omèi, stimò bene di tagliar corto con un saluto
scherzoso, scotendo le redini sulla groppa del cavallino.
- Niente paura, niente,
paura. A reviodisi, Beppo.
- Mandi, sior
cavaliere.
Il Sant'Angelo, che de'
fatti altrui s'interessava assai poco, non s'occupò più che tanto circa il
nuovo proprietario del palazzo Morò-Casabianca e ne' giorni successivi, non
avendo occasione di passare da quelle parti, neppure gli cadde in pensiero
d'informarsi se l'atteso fosse arrivato.
Una mattina, verso la
fine di quella settimana, mentre lavorava nello studio intorno a una collezione
di cammei recentemente scoperti in Aquileia, udì ad un tratto entrare nel
cortile una carrozza, in cui doveva essere della gente forastiera a giudicare
dall'abbaiamento con cui l'accolse prè Zuan che dormiva come di consueto
al sole presso la cancellata.
Il Sant'Angelo si levò
subito, e fattosi alla finestra vide scendere da un legnetto, che il fattore
del palazzo Morò-Casabianca guidava, un signore forastiero: alto della persona,
magrissimo e pallido, vestito d'un abito completo di stoffa grigia, colle mani
guantate. Vide poi la Vige uscir dalla cucina e avvicinarsi, chiamata da un
gesto cortese, al forastiere, che sorridendo nello scorgerla farsi più rossa
del fazzoletto di cambrì che aveva sul capo, trasse di tasca un elegante
portafogli e toltone un biglietto di visita glielo porse, perchè lo portasse al
padrone.
La contadina sbattendo
con gran romore i suoi zoccoli di legno sui ciottoli del cortile e poi sul
selciato del portone, fu in un lampo nello studio.
Il Sant'Angelo, che si
era avviato ad incontrarla, prese il biglietto e gittatovi appena uno sguardo
fe' un atto di profonda meraviglia. Il nome che aveva letto era questo: Conte
Alvise Polverari-Nathan.
Con molta sollecitudine
il professore mosse verso l'uscio, sul quale l'ospite in quel momento appariva.
- Il professore
Sant'Angelo?
- Son io, signor conte,
- rispose il Sant'Angelo inchinandosi profondamente.
- Ella vorrà perdonarmi,
professore, se io mi permisi di venirla a disturbare. Il mio avvocato, il
dottor Franzolini di Udine, mi ha parlato sì lungamente di lei, ieri, mentre mi
accompagnava al palazzo Morò-Casabianca, di cui - non so se Ella lo sappia - io
sono venuto ora in proprietà come erede di una mia zia paterna, la contessa
Polverari-Nathan. Quando seppi com'Ella avesse il suo domicilio in queste
campagne, ebbi subito il desiderio di poterle stringere la mano. Il suo nome,
professore Sant'Angelo, mi è noto per più ragioni: amante com'io sono degli
studi storici, non le farà meraviglia, ch'io la conosca per la sua bella fama
di scienziato; poi, nella famiglia mia io ho imparato a conoscere il suo nome
per tanti ricordi....
- Le son grato, signor
conte, per la cortesia infinita delle sue parole. Ma più grato ancora per la
gioia ch'Ella mi volle dare onorando la mia casa. Chi reca il nome venerato,
ch'Ella porta, non può essere che l'ospite più caro e più desiderato dei
Sant'Angelo! Non le posso dire la viva emozione ch'io provai ora nel leggere
questo biglietto....
E deponendo il
biglietto, che ancora teneva tra le mani, invitò il conte ad entrare ed a
prendere posto.
Il forastiero, con modi
assai disinvolti nella loro perfetta distinzione, si sedette sur una seggiola
accanto al tavolo da lavoro.
- La ringrazio di queste
parole, professore, che mi danno prova della sua bontà. Io comprendo che per
gli antichi rapporti, onde furon vincolate le nostre famiglie - rapporti forti
e sacri, di cui il tempo non può aver cancellata la memoria - il leggere il mio
nome le abbia recato sorpresa. Tale sorpresa però deve essere stata ancor
maggiore dopo le tante voci che son corse sul mio conto e di cui per fermo
qualche eco le sarà giunta. Non è egli vero?
Il giovane ebbe un lieve
sorriso nel fare cotesta domanda.
- Debbo confessarlo, -
l'altro rispose. - È da lunghi anni che io non potei più avere, per quanto
desiderate, precise notizie sul conto suo. Non è da stupirsene quando si pensi
alla mia vita: sepolto sempre in queste campagne, segregato da tutti, tra i
miei studî e la famiglia. Tuttavia avevo saputo del suo tramutamento
all'estero, de' viaggi intrapresi in paesi lontani: indi, appena qualche voce
assai vaga, che mi lasciò in piena incertezza sulla sua sorte.
- So quante cose si
dissero in Europa sul conto mio e di quali avventurosi romanzi venni fatto
l'eroe. Secondo alcuni avrei contratto uno splendido maritaggio a Valparaiso
con la figlia di un ricchissimo armatore spagnuolo - e sarebbe stato meno male!
- secondo altri avrei trovato la morte, una tragica morte, colto con alcuni
arditi viaggiatori italiani, in un agguato di indigeni, sulle rive del fiume
Darling in Australia. A dar vigore a coteste voci deve aver contribuito il nome
di Nathan (appartenente anche a un illustre viaggiatore irlandese) che io
dovetti aggiungere al mio nome di famiglia, per patto di adozione, allorchè mia
zia, la contessa Maria-Luigia Polverari, rimasta vedova del barone Nathan di
Londra, volle con questo mezzo generoso assicurarmi l'eredità del suo vistoso
patrimonio. Se però le cose da romanzo narrate di me ebbero sì poco fondamento
nella verità, le assicuro, professore, che la mia parte di avversità e di
dolori l'ho avuta purtroppo anch'io.... Sono ancor giovane, ma le giuro che
ormai sono ben poche le illusioni che mi rimangono.
- Non dica questo.
Quando si ha la sua età ed un nome come il suo, non è lecito parlare con tanta
amarezza e con tanta sfiducia. Poi, - perdoni alla mia franchezza, - da quanto
appresi finora da lei stesso....
Il professore ruppe a
mezzo la frase con una delicata reticenza.
- Sì, comprendo ciò che
Ella vuol dire! - il conte soggiunse subito. - La mia posizione è per fermo
tale che da molti mi potrebbe essere invidiata. Sono ricco, ho un nome antico e
illibato, potrei aspirare ancora a qualche brillante carriera. Ma, che vuole?
Con tutte le mie ricchezze non posso essere felice. Si direbbe che un astro
maligno mi abbia accompagnato per tutta la vita, dall'ora della mia nascita....
sempre. Ella sa in quali momenti dolorosi per la mia casa io son nato!
All'evocazione di quel
ricordo il professore sentì una stretta al cuore. Tutte le memorie che
nell'anima sua duravano conservate con alta e pietosa religione filiale, si
ridestarono in folla nel suo pensiero. Mai forse come in quell'istante egli
ricordò con ardente commozione il nome del gentiluomo eroico e generoso che, sentendo
con pari nobiltà l'amicizia e l'amor della patria, gli ebbe salvo un giorno,
col sacrificio di sè stesso, il padre suo.
Incapace di trovar una
parola che valesse a manifestare la intensità profonda del suo sentimento, il
Sant'Angelo afferrò la destra del suo ospite e gliela strinse forte,
tacitamente.
Il giovane mostrò d'aver
compreso tutta la gentilezza ch'era in questo atto e come spinto da esso ad un
confidente abbandono, proseguì subito con una malinconica e toccante serenità
narrando i tristi particolari - in molta parte non ignoti al Sant'Angelo, - che
avevano accompagnato la sua nascita e gli anni suoi infantili.
Sua madre, Laura, - una
contessa Rezzonico di Vicenza - donna di fibra gracilissima e di temperamento
eccezionalmente sensibile, erasi unita assai giovane in un matrimonio di puro
amore al conte Gottardo Polverari. I medici, che nella salute di lei sempre
malferma, - fatti esperti da sconfortanti prove del passato - avean già temuto
di scorgere i segni di un fatale morbo gentilizio, sperarono bene da
quell'unione. E per vero la salute della giovane sposa parve ritemprarsi nella
felicità matrimoniale che la nascita di una bambina venne a rendere ancor più
perfetta. Così trascorsero alcuni anni placidamente. Ma le gioie domestiche non
bastarono a far obliare al conte Gottardo altri doveri ed altri affetti.
Discendente da una vecchia famiglia, ricca di generose tradizioni patriottiche,
doveva egli condividere i forti entusiasmi, che in quegli anni belli e fatali,
destavano un concorde palpito di speranza in tutta la gioventù d'Italia.
Animoso ed ardente gli parve dovere di rispondere egli pure alla gran voce
della patria, di cooperare anch'egli all'intento comune. La sua sposa,
conoscendo l'animo di lui, non l'avversò ne' suoi divisamenti; nè lo rattenne;
ma, antivedendo i pericoli, ne' quali per l'indole sua ardimentosa si sarebbe
avventurato, cominciò a soffrire tacitamente, oppressa da mille sinistri
presentimenti, torturata da continue angoscie, superiori di troppo alla fragile
sua fibra, specie in quel tempo, in cui essendo prossima a divenir madre per la
seconda volta, avrebbe dovuto, come molto le era raccomandato, sfuggire ogni
forte emozione.
I presentimenti di donna
Laura non tardarono ad avere aspra conferma dai fatti. In una notte invernale
il palazzo fu invaso dalla polizia: non ci fu angolo più riposto che gli agenti
con rude fiscalità non avessero perquisito: poscia la povera donna, quasi pazza
dallo spavento, s'era vista strappare a forza dalle braccia il suo sposo, il
quale anche in quegli estremi momenti, pur sapendo di essere perduto, non venne
meno nè per un atto nè con una parola alla fermezza nobilissima del suo
carattere.
Fu sotto il peso di
coteste terribili emozioni che la contessa, colpita da fierissima febbre, pochi
giorni dopo l'arresto del consorte, si sgravò prematuramente di un bambino, che
per la grande sua gracilità pareva votato alla morte: Alvise.
- Così io nacqui. Fu un
miracolo della scienza e dell'amor materno che mi sottrasse alla morte. Ma se
questa vittoria fu la consolazione di mia madre, lei, la povera donna, era ben
lunge dall'aver coscienza dell'infausto dono che mi venne fatto col serbarmi
alla vita. Erede di quel germe funesto, che mia madre portava seco dalla sua
famiglia, il complesso delle circostanze da cui la mia nascita fu accompagnata
non poteva che rendere più fatale il retaggio che mi era riserbato....
E indovinando da un
gesto del professore l'intenzione che questi aveva di interromperlo
pietosamente:
- No, no, - proseguì con
dolcezza, - mi lasci dire, professore. Io non m'illusi mai, neppure quando
taluno de' più insigni clinici, ch'io volli consultare ne' miei viaggi, tentò
di ingannarmi con qualche frase benevolmente mendace. Poi.... - in questo
almeno ebbi la fortuna di rassomigliare a mio padre, - non fu certo l'idea
della morte che turbò mai la serenità del mio spirito. Furono ben altre le
ragioni che mi fecero trascorrere così poco lieta la mia giovinezza!
E con appassionato
accento egli riepilogò la sua vita, fatta quasi interamente di dolori, non
arrisa che da poche e fuggevoli gioie: tutta la sua vita, dal giorno in cui
seppe la rassegnata morte del padre, da lui mai conosciuto, nelle carceri
austriache di Theresienstadt, ai giorni luttuosissimi in cui vide
successivamente spegnersi, vittime entrambe del medesimo inesorabile morbo,
prima la sorella, pia e dolce fanciulla non anco ventenne, quindi poco appresso
la madre.
- Allora mi diedi ai
viaggi, cercai una distrazione nello studio, procurai di obliare tante
traversie, avendo, in mezzo ad esse, un unico ma infinito conforto: l'affetto
di una sorella di mio padre, da lunghi anni domiciliata in Inghilterra, la
quale - vedova da poco del barone Nathan, già ambasciatore britannico in
Austria e in Francia - ebbe per me cure e tenerezze veramente materne.
E qui, dopo un breve
intervallo, ritrovò il sorriso melanconìco di poco prima.
- Quante tristezze le ho
narrate, professore. Peraltro me lo deve perdonare. Non so perchè, ma mentre io
era venuto qui con tutt'altra intenzione, la sua presenza, le sue parole, la
sua bontà, mi obbligarono quasi a queste mie confidenze. Che vuole? Si
obbedisce spesso, anche senza volerlo, a certi moti dell'anima, i quali del
resto non ingannano mai. Varcata appena la sua porta io mi sono sentito in una
casa amica ed ospitale....
- Oh! questo sì! Ella
non s'è ingannato, signor conte. È questa la casa sua.... e se vorrà ritenerla
tale sarà per me l'orgoglio maggiore e la gioia più cara.
- Grazie, glielo credo e
gliene sono gratissimo. Quando venni qui da Venezia, ove mi recai per la cura
de' bagni, avevo divisato di rimanervi per poche ore soltanto: il tempo di
vedere questo possedimento di Morò-Casabianca, che mi venne dall'eredità di mia
zia. Ma le confesso che ora ch'io vidi questo storico palazzo e queste belle campagne,
ne restai così innamorato da non saper decidermi a partire.
- Morò-Casabianca le
piacque?
- E come altrimenti? È
un palazzo veramente signorile. La posizione ne è quanto mai pittoresca....
Poi.... le antichità che racchiude, le leggende che corrono....
- Sa già anche questo?
- Non vuole? Prima
l'avvocato Franzolini.... quindi il fattore.... Ah, quest'ultimo una vera
macchietta di chiacchierone, però tanto simpatico e intelligente! Anzi, appena
arrivato, dichiarandosi incapace di spiegarmi lui ogni cosa, ha avuto un
bellissimo pensiero, di cui proprio gli fui riconoscente.
- Quale?
- Quello di farmi
trovare sul tavolo della mia stanza un suo opuscolo, professore, sul palazzo
Morò-Casabianca: una monografìa perfetta, ch'io lessi con profondo interesse ed
alla quale, glielo confesso, debbo in gran parte il mio desiderio di fermarmi
qui per qualche tempo.
- Ecco, signor conte,
una delle poche soddisfazioni che io dovrò a quel mio lavoretto. Però - a parte
il mio amore per questi luoghi dove io son nato - è certo che Morò-Casabianca è
d'un interesse storico veramente prezioso. Basterebbe la sala dei quadri....
- Stupenda da vero. Le
due tele rappresentanti la battaglia di Bacile e la consacrazione del duomo di
Venzone.... Stile purissimo di scuola belliniana.
- Opere ch'io affermerei
dovute ad uno de' migliori allievi di Pellegrino da San Daniele, quando non
siano del maestro stesso....
Posto così sul terreno
dell'arte, il professore parlò lungamente de' pregi dell'antico palazzo, delle
sue origini, de' suoi oggetti artistici, della sua architettura, delle varie
famiglie che ne ebbero la proprietà.
Il conte l'ascoltò con
molta attenzione.
- Vede bene, professore,
che dopo queste illustrazioni, avute dalla viva sua voce e venute da fonte così
competente, io devo sentirmi ben lieto di essere ora in possesso di quel
palazzo. E comprenderà come mi sia cresciuto il desiderio che già provavo di
farvi una più lunga dimora. Ma fra le molte cose che a ciò mi invitano mi lasci
ch'io le dica come sia primissima la speranza della sua compagnia.
- Ella mi confonde.
- Io le sarò ben
riconoscente se mi vorrà dedicare qualche breve ritaglio del suo tempo. Di
quante cose potremo parlare! Quanti ricordi potremo richiamare, insieme! E
quanto conforto mi sarà di ripensare con lei ai fatti del passato! Me lo
promette?
- Con tutto il mio cuore
e con la più grande esultanza! E si strinsero amichevolmente, con reciproca
espansione, le destre.
Ancora il conte Alvise,
girando gli occhi curiosi intorno allo studio, s'interessò alle collezioni che
vi erano adunate: parlò con enfasi della bella pace che colà regnava suadente
al lieto raccoglimento degli studi: accennò al suo desiderio di poter prendere
cognizione esatta delle molte antichità ivi raccolte e, fattosi reiterare la
promessa che il professore si sarebbe recato presto al palazzo, promise di
ritornare tra non molto alla villa.
- Io l'attenderò sempre
con piacere, signor conte. E quando vorrà onorarmi la prossima volta, sarò
lieto di presentarle anche la mia signora, che oggi - sa bene... giorno di
mercato... - da brava massaia s'è recata a Udine a fare le sue spesucce.
- Ne sarò lieto
veramente. E... a quanto prima.
- A quanto prima.
Così,
affabilissimamente, come due amici di data già antica, il professore ed il
conte si accommiatarono.
Il Sant'Angelo volle
accompagnare l'ospite fino al carrozzino e poichè egli vi fu salito accanto al
fattore Beppo, che in quel frattempo s'era rinfrescato il becco con un buon
bicchierone di vino preparatogli dalla Vige sotto la pergola, rimase a lungo
sulla spianata dinanzi alla casa finchè il veicolo si perdette tra il verde
della campagna alla girata del colle.
Loreta non rientrò che
mezz'ora più tardi.
Il professore, che la
stava attendendo un po' impaziente, ebbe un senso di apprensione quando la vide
scendere dal calesse. La signora, partita alla mattina d'ottimo umore,
scherzando, con una ciera che parlava di salute, aveva ora pallidissimo il viso
e mostravasi in preda ad una insolita agitazione.
Il Sant'Angelo notò
tosto tale cambiamento e impressionato ne la richiese de' motivi.
- Che hai, Loreta, stai
male? Mi sembri turbata.
- Sì, non so che cosa
sia. Strada facendo, senza che me ne possa spiegare il motivo, fui assalita da
un forte capogiro. Forse il sole.... Ma non è nulla. Ora non me ne risento
affatto.
Con uno sforzo sopra sè
stessa Loreta volle mostrarsi indifferente. Parlò con diffusione al marito di
vari interessi domestici, degli acquisti fatti in Udine; dell'incontro avuto
con parecchi loro amici. Poi, quando la Vige venne ad avvertire che il pranzo
era pronto, si pose a tavola, affettando un'ilarità che evidentemente non avea.
Ma non potè mangiare.
Dopo poche cucchiaiate di zuppa dovette smettere.
- Non so che cos'abbia.
Mi sento così nervosa. Guarda un po' dopo tanto tempo! Se questi miei benedetti
nervi dovessero tornare a farne delle loro!
La sua voce tremava nel
profferire questi scherzi. E il professore nell'intento di distrarla da coteste
idee, cominciò a narrarle i fatti occorsi in quella giornata.
- Sai che ho ricevuto la
visita del nuovo proprietario di Morò-Casabianca?
- Davvero? - ella chiese
con accento che voleva apparire tranquillo.
- Sì, avrebbe voluto
conoscerti. Si trattenne a lungo con me e promise di ritornare presto. Se sei
rientrata per lo stradone di Tricesimo devi averlo incontrato, Partì di qua
mezz'ora prima del tuo ritorno....
- Nel carrozzino del
fattore Beppo?
- Appunto. Un giovanotto
pallido, alto, assai magro, tutto vestito di grigio....
- Sì, lo incontrai
infatti, al crocicchio di Leonacco, davanti alla villa dei Prampero...,
- Figurati la mia
sorpresa. È il figlio dell'amico più caro, del salvatore del mio povero padre.
Un gentiluomo veramente perfetto..., il conte Alvise Polverari di Verona.
A questo nome Loreta
parve colpita e un lieve tremito contrasse per un momento le sue labbra.
Ma fu meno d'un istante.
Ella trovò subito una frase qualunque per continuare il dialogo. E il
Sant'Angelo per lungo tempo si abbandonò, come il suo cuore voleva, a parlare
con calda animazione de' molti ricordi, che in quella giornata, per l'arrivo
dell'ospite inatteso, gli erano risorti così vivi nel pensiero.
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