XIX.
Benchè in preda egli
stesso ad un'ansietà fortissima, che gli aveva fatto sembrare interminabile la
strada fra Morò-Casabianca e Tricesimo, Mattia Sant'Angelo rimase colpito allo
scorgere l'aspetto turbatissimo di sua moglie nel momento in cui egli fu di
ritorno a casa. Immune d'ogni femminea fatuità, ma scrupolosa per gentile
abitudine nelle cure della persona, Loreta non aveva a quell'ora già avanzata
smesso peranco la veste da mattina. La folta capigliatura bruna, che le
scendeva ancora in disordine intorno alla fronte, facendone risaltare la grande
pallidezza, completava il suo aspetto di sofferenza e di sfinimento.
Per un istante stettero
uno di fronte all'altra senza parlare, fissandosi con intensità, come avessero
voluto scambievolmente leggersi nel cuore.
Loreta alla fine,
pensando che quella tortura dovesse pure aver un termine, mosse alcuni passi
verso il marito e con voce, strozzata quasi da un singulto, lo interpellò
vivamente:
- E dunque, Mattia.... e
dunque?
Durante un momento il
professore parve indeciso dinanzi all'impeto inatteso di quella domanda. Ma il
tono con cui Loreta aveva parlato e l'atteggiamento ch'ella aveva assunto, ora,
al cospetto di lui, gli fecero comprendere la inutilità di perdurare nella
finzione, che fino a quell'ora si erano imposti. Il sentimento della loro
reciproca posizione era ormai ad entrambi chiarissimo. Ciò che le loro labbra
avevano ostinatamente rifiutato di dire, s'era svelato adesso al loro sguardo
in un attimo solo.
Loreta, la quale
nell'ambascia dell'attendere s'era già rassegnata a sostenere, senza
difendersi, come doveva, per debito naturale di espiazione, lo scoppio della
giusta ira del Sant'Angelo, rinnovò la sua domanda, subito, quasi fremente
nell'impazienza di quell'istante solenne.
- E dunque, Mattia, e
dunque?...
Un tremito passò
fugacemente sulla bocca del professore. Poi, lasciandosi cadere, affaticato,
sur una seggiola, mentre Loreta, ritta dinanzi a lui attendeva, nel mezzo della
camera, colle mani serrate contro il petto:
- E dunque.... -
cominciò. - Che cosa debbo dirti che tu non sappia, che tu non abbia già
indovinato? Senti, Loreta: quel che io ho sofferto non lo potrei dire: se lo
dicessi, ogni parola sarebbe inferiore al vero. Tu sai ciò che sei stata per
me; quando io avevo creduto finita la mia esistenza, tu mi hai redento alla
felicità: ti ho adorata! Lo sai, lo hai visto giorno per giorno, ora per ora,
dacchè sei qui nella mia casa, arbitra del mio cuore. Prima che io mi fossi
risolto a offrirti il mio nome sai anche quali scrupoli mi hanno tormentato:
avevo coscienza di ciò che io ero, avevo paura di vederti un giorno pentita di
quello che allora accondiscendevi di fare forse per pietà, forse perchè ti
aveva commosso la sincerità del mio affetto. Tuttavia mi sono illuso: con gli
anni che passavano, felici, vedevo farsi sempre meno minaccioso il pericolo che
io avevo sognato: credetti infine mia, conquistata per sempre, la tua
affezione. Così.... non doveva essere! Quel passato, che per me non esisteva,
che io non avevo voluto conoscere, che credevo morto per sempre, è tornato....
- Tu.... ora sai? - ella
chiese lentamente.
- So.
Loreta si portò le mani
al volto con uno scroscio di pianto dirottissimo. Indi appassionatamente
proruppe:
- Mattia, perchè hai tu
voluto essere così generoso allora con me!... No, non meritavo io, miserabile
creatura, la bontà che tu avesti. Non dovevo accettare il tuo beneficio; dovevo
ricordare quello che era stato; dovevo temere quello che poteva avvenire. Non
ho potuto, non ho saputo, fui sopraffatta dalla tua bontà.... Eppure quel
giorno in cui tu mi hai offerto il tuo nome, così nobilmente, ti ricordi?... io
volevo che tu sapessi, volevo dire a te pure ciò che in un'ora di confidenza
non avevo arrossito di confessare a tua madre.... alla donna santa e buona, che
mi aveva amato e compatito.... Non volesti.... non volesti.... Adesso....
Egli levò gli occhi in
alto, serenamente, poi quasi calmo:
- Adesso, - egli disse
interrompendola, - come in quel giorno la parola di mia madre mi è sacra.... Se
una colpa c'è stata nel passato lontano, una colpa che l'inesperienza, la
giovinezza e la fatalità dei casi hanno preparato, hai saputo farla
obbliare.... Mia madre, nella rettitudine della sua anima, ha riconosciuto che
quella colpa l'avevi cancellata.... ti ha dato il suo affetto materno.... ti ha
stimata degna d'essere la sua continuatrice nella nostra casa....
Loreta, a mano a mano
che il Sant'Angelo parlava, acuiva sopra di lui il suo sguardo interrogatore,
percossa, côlta da una nuova fierissima perplessità.
Egli si arrestò per un
breve momento, poi passandosi la destra rapidamente sul largo fronte imperlato
di sudore:
- Oggi... - soggiunse, -
nulla da allora è mutato.
- Nulla, tu dici....
nulla?
- Sì. Poichè se oggi per
onesta confessione di un uomo, incapace di mentire dinanzi all'appello
dell'onore e dell'amicizia, io so quello che fino ad ora era rimasto un segreto
fra te e la povera mia madre: quello che io avevo indovinato e presentito, che
importa!... È il passato remoto, che l'obblio ha sepolto, che mia madre ha
cancellato per sempre col suo perdono, tu colle tue virtù.... Che m'importa di
questo passato, se so che il presente è mio ancora, se è mia.... soltanto
mia.... la tua fede!...
Ella a queste parole si
sentì venir meno. Ma dunque s'era ella ingannata ancora una volta, quando aveva
creduto che a Mattia fosse nota per intero la gravità del suo peccato? Era
possibile ancora un'illusione? Non aveva egli dunque intuito peranco nel suo
volto, nel suo smarrimento, nella sua angoscia, tutta l'orribile verità di
quello che era stato?
Terrorizzata da questo
pensiero, incapace di articolare parola, aveva abbassato lo sguardo, sentendo
un'onda di fuoco che le saliva al viso.
Per un momento ella
stette per tradirsi. Dall'anima sua, martoriata già troppo, stava per erompere
la parola del vero. Vacillante, estenuata, tendendo le mani supplici verso
quell'uomo, ch'ella non doveva lasciar più a lungo nell'inganno, cadde in
ginocchio innanzi a lui.
- Mattia, Mattia!
Il professore, con le
guance bagnate di lagrime, la sostenne, la rialzò.
- Loreta, è stata per
noi una brutta ora! Essa è trascorsa. Nulla deve farla più rammentare. Bisogna
che sia così. Se non avessi creduto che ciò possa essere, avrei preferito
morire....
Ella si scosse, con un
brivido sinistro, stringendosi in un atto istintivo contro il petto di Mattia.
Un lungo silenzio corse.
Quindi egli, come se in
quell'intervallo avesse ritrovata tutta la sua energia:
- Non piangere più, -
riprese con l'accento ridivenuto mitissimo. - La nostra vita potrà essere bella
ancora. Coloro che mi vogliono male non avranno raggiunto nemmen questa volta
il loro scopo. Sì, Loreta, io dovevo sapere che qualunque cosa ti avesse
parlato nell'anima del passato, tu non avresti potuto dimenticare quello che
sei, la promessa che tu mi hai dato.... il nome che porti....
E dopo una breve pausa,
durante la quale sentì Loreta abbandonarsi più gravemente sul suo petto:
- Alvise.... - egli
soggiunse, interrompendosi con una esitanza improvvisa.
Ella levò il capo,
vivamente.
- Alvise?... - domandò
come esortandolo a continuare.
- È onesto. Comprese
quale sia il suo dovere. Partirà.
Loreta non rispose, le
sue labbra si agitarono per un istante senza che ne escisse una voce. Poi ella
chiuse gli occhi, stringendosi con forza alle braccia di Mattia.
Il Sant'Angelo la
sostenne e l'adagiò con soave premura in un seggiolone, ch'era lì presso. Poi
non ascoltando più che un sentimento di pietà dinanzi a quella crisi, che gli
appariva naturale dopo le tante emozioni per le quali Loreta era passata, egli
si curvò affettuosamente su lei, in atto di accarezzarle i capelli.
Ma d'improvviso
s'arrestò. Dagli occhi affossati di Loreta continuava a scendere, sulle sue
guance mortalmente pallide, un lento e copioso pianto. E quando una di quelle
lagrime gli cadde ardente sulla mano un torbido lampo gli attraversò il
pensiero, facendogli risorgere più tormentoso il dubbio crudele, che s'era
affidato non dovesse tornargli mai più. L'amore, ch'egli aveva creduto morto
nel cuore di Loreta durava dunque ancora? Ed eran forse quelle lagrime per
l'amore remoto, per l'amore della giovinezza, trionfante ancora?...
Ritto in faccia a lei,
come assorto in un rapimento morboso, egli attese. Furon forse pochi minuti e
parvero a Mattia un tempo infinito. Ella finalmente parve riaversi, si riscosse
e fe' l'atto di correre a lui.
- Oh! Mattia, Mattia....
Non ho sognato? È vero quello che tu mi hai detto? che mi vuoi bene ancora, che
mi credi degna di te?...
Eravi in queste sue
domande febbrili, concitate, tanta effusione e tanta ansietà, che Mattia ne
ebbe una dolce scossa in tutte le sue fibre.
Egli le schiuse le
braccia, desiderando di credere, anelante di liberarsi dalla maledetta visione
di poco prima.
- Mattia, - ella gli
disse allora, abbandonata la faccia sull'omero di lui, con un accento vibrante
di passione, - che cosa farei, Mattia, per poterti dare la felicità.... la più
grande felicità!...
- Amami, - egli rispose.
- E dimentica. Così saremo felici.... ancora.
Fu questa la spiegazione
tra Loreta e il Sant'Angelo.
Ma nè l'uno nè l'altra
ne uscirono coll'animo tranquillato.
Mattia, che in tutto
quello che aveva detto era stato inspirato da una sincerità profonda, forzavasi
invano a cacciare il pensiero sôrto a turbare l'illusione confortatrice, alla
quale egli si era per un momento abbandonato. Loreta, dinanzi al contegno di
quell'uomo buono, che illudevasi ancora, che ancora la riteneva degna del suo
amore e della sua stima, sentivasi presa da un fiero disdegno contro sè stessa:
era un inganno vile, era una usurpazione codarda di cui ella rendevasi ora
colpevole; e si rimproverava la mancanza del coraggio per dire tutto, per confessare
il suo fallo ed affrontarne tutte le conseguenze.
Ma indarno ella faceva
appello disperatamente alla propria energia. Ad ogni ora che passava cresceva
l'abbattimento in cui era caduta. E i fatti della vita domestica, che avevano
già ripreso intorno a lei la loro abituale uniformità, lunge dall'arrecarle il
più lieve sentimento di calma, non faceano che inasprire con implacabile
insistenza il dolore inguaribile dell'anima sua.
Con Alvise non s'eran
rivisti più. Fedele alla promessa fatta e conscio pienamente dell'obbligo suo
di agire così, per quanto questo dovesse costargli, egli era partito. Solo, a
supremo suo conforto, aveva egli fatto recapitare collo stesso mezzo sicuro,
ch'egli aveva adoperato due o tre volte ne' giorni precedenti, un breve biglietto
a Loreta. Poche linee soltanto: scritte con studiata concisione e tali da non
portare compromissione soverchia se per caso fossero cadute sott'occhio d'altra
persona, ma eloquentissime nella loro voluta semplicità. Era un addio risoluto:
una supplicazione toccante perchè ella serbasse di lui, che andava lontano, ad
una meta ignota, per non tornare mai più, una non ingrata ed indulgente
memoria.
Loreta nel leggere
questo foglio aveva pianto a lungo. Nè valse ad arrestare quelle lagrime,
sgorganti con voluttà intensa dal suo cuore, il pensiero ch'esse erano una
nuova offesa a quei doveri che suo malgrado era stata trascinata a calpestare
così gravemente.
A celare quest'angoscia
senza requie, ella impiegava ogni sforzo. Ma se la sua parola, penosamente cercata,
poteva indurre in inganno, il suo aspetto la tradiva. Una tinta livida si
stendeva ne' suoi lineamenti: nelle fonde pupille brune permaneva l'intensità
di sguardo propria agli allucinati: nelle sue mani pallide erano dei rapidi
sussulti, che le contraevano spasmodicamente.
Mattia vedeva. Nella
vigilante attenzione, ond'egli con l'animo sospettoso, circondava ora sua
moglie, tutto ciò che ella tentava di nascondergli, appariva con evidenza più
allarmante dinanzi al suo pensiero. L'odiosa ipotesi, che gli era balenata
nello scorgere l'abbattimento di Loreta quand'egli le ebbe appreso la partenza
del Polverari, era ora sovrana del suo spirito. Egli sentiva ormai incrollabile
la certezza che quell'amore, non ispento mai, rinato violentemente, avrebbe creato
fra lui e sua moglie un vuoto ed una freddezza, che nulla avrebbe potuto più
far sparire. Alvise Polverari, lontano, lontano per sempre, sarebbe stato pure
presente ognora in mezzo ad essi, involontario distruggitore della loro
felicità.... Era questo il decreto del destino: ed era inutile contro di esso
ogni lotta ed ogni ribellione.
Così un incubo penoso
regnava ora diuturnamente nella casa. Sparite le antiche consuetudini,
rallentato ogni rapporto confidenziale, pareva che un soffio sinistro di sventura
avesse recato in tutta la casa, prima così patriarcalmente quieta, un malurioso
senso di mestizia.
Mattia Sant'Angelo nel
breve giro di venti giorni parea invecchiato di dieci anni. Silenzioso, fiacco,
trasandato nella persona, passava lunghe ore nella campagna, senza leggere,
senza far nulla, cogli occhi persi nella lontananza. Nello studio entrava di
raro, per pochi minuti, lasciando intatti i libri nuovi, i giornali, le
lettere, che giungevano ogni mattina. La vecchia Vige, avvezza alle abitudini regolarissime
della casa, la quale (per dir la sua frase) soleva "andare come un
orologio", giudicava che ben gravi dovessero essere le ragioni se tutto in
poco d'ora s'era così stranamente mutato.
Della prostrazione in
cui il Sant'Angelo trovavasi Loreta aveva piena consapevolezza. E comprendendo
come quella gagliarda fibra d'uomo si veniva stremando sotto il peso delle sue
acerbe preoccupazioni, minato nella salute, scoraggito nel lavoro, sentiva
levarsi sempre più severa la voce di rimprovero, da cui era senza posa
incalzata.
In tal modo cominciò per
lei una vita di torture incessanti, che s'inasprivano spietatamente, di
continuo, talvolta per una sola parola, talvolta per qualche semplicissimo
fatto, a cui ella, nella perenne trepidazione della sua mente, attribuiva i più
desolanti significati.
Così fu per lei
un'indicibile sofferenza un dialogo, cui ella dovette assistere un giorno, fra
suo marito e il loro vecchio amico, il conte Leonardo Mangilli. L'ottimo conte
orso, il quale coll'andare degli anni diventava sempre meno socievole,
tanto che ora pareva un miracolo se mai si decideva a lasciare anche per poco
il suo delizioso romitorio di Collalto, aveva fatto sempre un'eccezione a' suoi
usi per la famiglia Sant'Angelo. Veniva di raro, ma cordialmente, come ad una
festa. Egli, che l'avea sempre con tutto il mondo giudicandolo composto
pressochè interamente di birbe e di matti, continuava la sua antica stima al
Sant'Angelo, di cui aveva apprezzato in ogni istante le rare doti
dell'intelligenza e del cuore. Ruvido nelle forme, questo suo sentimento
l'aveva affermato cento volte. E vi si appellava anche quel giorno, volendo
spiegare la ragione della sua visita.
Ma la ragione citata non
era la vera, o forse, per dire più esattamente, non era la sola.
Delle dicerie che
correvano pel paese l'eco era giunta fino al romitorio di Collalto: si parlava
vagamente di gravi dispiaceri domestici in casa Sant'Angelo, si narrava di una
forte scossa nella salute del professore, soggiungendosi anche ch'egli non
potesse più reggere a fatiche della mente, così che aveva pur dato rinuncia a
varî ufficî pubblici, da lui per tanti anni tenuti nel paese con appassionata
operosità.
Il conte Nardin, che
ricordava il passato, la parte da lui avuta nel matrimonio del Sant'Angelo e
tutte le sorde inimicizie di cui quest'ultimo era pur sempre l'oggetto, volle
persuadersi subito di quanto fosse avvenuto.
Gli bastò un momento per
comprendere il vero. Trovò il Sant'Angelo tristissimo, abbattuto, ammalato. Nè
valsero a fargli mutare avviso le proteste di lui, debolissime del resto e
punto convincenti.
- Sì, è inutile celarlo:
a voi sopratutto, conte, che mi siete stato sempre amico vero. Non sto bene:
non so neppur io che cosa abbia avuto, ma mi è parso come se ad un tratto le
mie forze avessero subìto una grande depressione. Sarà il lavoro (egli
soggiunse forzando un sorriso) sarà anche l'età che viene.... Non può essere
altro.... null'altro, conte.
IL Sant'Angelo aveva
procurato di dare a queste parole un'intonazione di naturalezza. Ma non isfuggì
al Mangilli lo sguardo significativo ch'egli, nel profferirle aveva rivolto a
Loreta, taciturna e smorta, nella sua seggiola, presso il vano di una finestra.
Poi confermò le rinunce
mandate ed accennò al bisogno imperioso ch'egli sentiva di una quiete assoluta.
- Non ho che un
rammarico solo: quello di non poter attendere a' miei studi. La mia opera sulle
inscrizioni lapidarie della provincia sarebbe riuscita.... assai bene....
Il conte, con uno scatto
d'impazienza, non si tenne dal lasciarsi scappare a questo punto una molto
energica esclamazione dialettale di protesta; poi, pentendosi della parola
detta:
- Andiamo dunque, -
continuò, - me ne fareste scappare di più grosse ancora! Ma che diamine dite!
Ma che specie di ubbie vi siete cacciato nella testa!...
- Ubbie! - disse il
Sant'Angelo cercando di sorridere ancora una volta - sì, sì, può anche essere.
Voglia Dio che sia così...
Il conte Nardin tornò
quella sera a casa di pessimo umore; e quando nel passare per la piazza di
Tricesimo, intravvide, di là dai vetri annebbiati del Caffè della posta, la
solita compagnia di giuocatori, in mezzo alla quale la figura tarchiata di don
Morganti emergeva, egli sentì un desiderio matto di scendere là dentro e di
rompere almeno ad un di quei degni messeri il manico della sua frusta sul viso.
Poi, quando si trovò
solo, nella sua grande casa, dove nessuno l'attendeva, dove avrebbe finito
nella solitudine la sua vita, egli pensò alla ragione che aveva avuto di
guardarsi sempre dagli affetti: quindi ebbe quasi un sentimento di rimorso
pensando che l'unica volta in cui solamente per pochi momenti s'era lasciato
smuovere da questa sua antica convinzione, era stato per il matrimonio del suo
amico con Loreta Lambertenghi.
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