I.
Il ratto di
Sabina.
Ai Frani si conosceva
già da tutti che Giovan Bello era venuto da Zeno dei
Martinetti a domandargli la figlia in isposa. Però non
avevano visto niente, perchè Giovan Bello capitò di sera: in montagna gli
affari si combinano sempre dopo calato il sole, per risparmio di tempo. Fu Zeno
stesso che, alla mattina, entrato da Bortolo, raccontò
come era andata la faccenda. Giovan Bello, buon giovane per il resto, si
trovava tuttavia in condizioni cattivissime; era stato carbonaio cinque anni e
poi, in causa d'una disgrazia (non si sa come: gli
rubarono i suoi risparmi!) indispettendosi e abbandonando il mestiere, aveva
cominciato a scender fino a Bergamo, lungo le valli, in qualità di spaccalegna.
Se i tempi fossero stati migliori, avrebbe potuto guadagnar molto: ma per
intanto bisognava contentarsi di affrontar sacrifici immensi con pochissimo
frutto, oltre di che nell'inverno gli toccava rimanere a braccia conserte,
mangiandosi fin l'ultimo quattrino su l'osteria, o al più lavorando qualche
piccolo oggetto in legno, industria che esige un certo
talento non comune a chiunque. In conclusione: il partito per
Sabina era tutt'altro che splendido, almen per allora; forse col tempo si
combinerebbe qualcosa, quando i negozî di Giovan Bello andassero meglio; ma non
conveniva però che Sabina si legasse a lui, nel rischio di restar zitella per
tutta la vita. È una realtà; la gente di campagna ama poco il celibato:
per far camminare la baracca, è necessario alle famiglie sbarazzarsi de' figliuoli ed i figliuoli bisogna che si facciano presto
un'altra famiglia: una ruota così, colpa d'essere poveri.
*
* *
Ma con istupore di molti
Sabina in Lizzola non apparve punto commossa e turbata;
col bene che voleva a Giovan Bello e che era a cognizione di tutti, ella
avrebbe dovuto mostrarsi meno indifferente alla sua sventura, quantunque già
apparecchiata ad essa: non ci si capiva niente e si conveniva, in genere, che
la fanciulla non era tale da crucciarsene ed ammalarsene, che le donne sono
fatte a questo modo e che bisogna prenderle a questo modo. A
merenda Sabina uscì del cortile con le sue capre e, attraversato il paese,
venne ai prati come se nulla fosse; aveva però un fazzoletto nuovo, colore
azzurro scuro, in testa; e, quando Marchetto Bolco la fermò per discorrere, gli
disse qualche parola in furia poi se la svignò ghignando e battendo col bastone
il dorso alle sue bestie. Arrivata al pendìo, si sdraiò tranquillamente
su l'erba e, presa una calza, lavorò a fronte bassa, gettando nella vallata le
note limpide di una graziosa canzonetta. Il sole di settembre, senza calore,
piuttosto rosso, moriva alla sua sinistra dietro i picchi: dirimpetto
le montagne erano già completamente nell'ombra e il Serio, illuminato
proprio per il lungo da quei pallidi raggi, scintillava come argento percotendo
i macigni delle rive.
Apparve Giovan Bello col
suo cagnaccio peloso e gli stivaloni da viaggio; era in maniche di camicia e,
per buona precauzione, portava la scure in ispalla.
- Sicchè dunque? -
domandò a Sabina inoltrandosi.
- Sicchè dunque? - disse
anch'ella per unica risposta, accompagnando la parola
con un moto assai espressivo del capo.
- Cosa
faremo noi? - proseguì Giovan Bello.
- Ciò
che vi piace.
Non tocca a me decidere. Guardate a quello che fanno gli altri, diamine!
- Sei risoluta?
- Vorrei vedere io!
- Non hai paura?
- Che
paura d'Egitto quando non si opera male! Sapete bene che non c'è d'aver paura.
Scommetto che il vecchio ha subodorato ogni cosa e s'imagina ciò che stiamo per tentare. Ma vi accerto io che non si intrometterà! gli convien troppo
tacere e fingere di non accorgersi. Anche mio zio
Zancastro ha agito così con mia cugina Petronilla; è un male di famiglia
l'avarizia: per non dar fuori la dote, inventano mille scuse e se la prendono
con chi non ha colpa. Ma io me ne infischio di ciò; sfido anche il diavolo:
anderò via, porterò via tutto quello che potrò: ne
sono in diritto. Nel mio caso farebbero così anche le altre, se non peggio, e
poi....
Da questo momento si
avvicinarono e parlarono sotto voce. Il sole tramontava ed essi erano ancora
nella medesima posizione; a Lizzola suonò l'avemaria: si divisero e Giovan
Bello, portandosi alla Roncaglia, camminò verso Bondione
mentre Sabina ritornava a casa.
*
* *
La sera Zeno, ch'era solito andare da Bortolo, stette in casa anch'egli.
Si ritirarono nella stalla e chiacchierarono tutti insieme
dopo aver recitato il rosario. Erano molto seri; pareva che ci fosse burrasca
per aria: se ne aspettava da un momento all'altro lo
scoppio. Ma invece Zeno fu buonissimo: carezzò
alquanto sua figlia e la guardò con insistenza, ostentando un poco di emozione.
Le donne filavano silenziose e, in certi momenti, non si udiva che il soffio
delle capre o il rumor secco dei fusi. Per giunta il cielo di fuori si
rannuvolò e caddero alcune goccie di pioggia.
A mezzanotte circa si
decisero finalmente a coricarsi. Zeno per il primo salì di sopra, salutando
Sabina come non faceva mai: quindi lo seguirono anche le donne, con un grande fracasso di zoccoli, dopo aver disposto le rocche fra
un travicello e l'altro del soffitto. Stavano così bene
là entro, che si sarebbero fermate sino all'alba: ma poichè il capoccia non voleva,
bisognò obbedirlo. Sabina restò l'ultima, dovendo come al
solito chiudere gli usci e preparare il mastello per mungere: nel compiere
questa operazione pianse, chi sa per quali pensieri, e poi levatasi gli zoccoli
passò in mezzo al cortile. Era buio pesto; soffiava un vento freddissimo: dalla
finestrola al primo piano scendeva il raggio d'un lumicino e le donne,
camminando sul pavimento di assi, lo facevano
scricchiolare.
Sabina entrò nel pollaio
e vi prese due grossi involti depostivi dopo cena: ripassò per il cortile mentre nella casa vicina sbattevansi alcuni usci e
rimbombavano alcune voci, poscia si rinchiuse nella stalla. Suonò mezzanotte a
Bondione: il vento portava in su quei rintocchi ad uno
ad uno, quali vibràti, quali appena sensibili, come se venissero da campanili a
diverse distanze.
*
* *
Ben tosto giunse Giovan
Bello con Marchetto Bolco ed il somaro di lui. Il
somaro aveva i piedi coperti di paglia perchè non facesse rumore contro il
selciato; sul dorso portava un sacco e, poichè gli ebbero attaccato gli involti
di Sabina, ella vi salì adagiandosi come sur una
seggiola. Tutti e tre s'incamminarono senza parlare; Marchetto levò di tasca
una piccola lanterna cieca e l'accese, quindi
svoltarono a manca, dirigendosi verso Valle di Flesio: l'asino era guidato da
Giovan Bello che gli aveva afferrato il morso e se lo conduceva di fianco.
Fuori del paese la fanciulla, strettasi bene in un panno, diede nuovamente in
escandescenze contro suo padre. Il vecchio doveva essere senza cuore per
cimentarla ad un simile passo; certamente lo aizzavano le cognate: i tempi, sì,
erano cattivi, ma però tutti dicevano a Lizzola
ch'egli nascondeva la borsa di sotto al pagliericcio e, d'altronde, con una
figlia che vuol prendere marito bisogna sacrificar qualche cosa. Si è per
questo al mondo; ella al posto di lui sarebbe stata
diversa: e se un giorno le nascessero figlioli...
Intanto la pioggia
cadeva a catinelle: il somaro sdrucciolava lungo i sentieruzzi umidi ed i due
uomini si avvilupparono entro il mantello. Viaggiavano da più ore così e Sabina
si faceva a poco a poco malinconica. Era stabilito che ella
si ricovrerebbe in una vecchia capanna di carbonaio da Giovan Bello preparata
appositamente, entro i boschi di Passevra; ed appena il curato di Passevra
avesse terminato le pubblicazioni (cioè tra nove giorni, perchè batteva la Madonna di Settembre in
quella settimana), si sposerebbero con l'aiuto di Dio. Giovan Bello aveva a
Passevra una camera ed un letto matrimoniale: con un poco di pazienza,
lavorando entrambi, si arriverebbe a riempire i vuoti della cassa e, se ella
era povera, tanto meglio: non potrebbe mai rinfacciargli nulla. Pervennero alla
capanna: era molto umida e vi si respirava un acre odore di abbruciaticcio o di
cenere spenta; distesero il sacco per terra, sopra un mucchio di foglie
acquistate in antecedenza: accesero il fuoco per asciugarsi, legarono
l'asinello ad un palo della soglia e, datogli un pugno d'avena, fecero
l'inventario della roba portata. C'erano quattro camicie per donna, una camicia
da uomo ricamata, sette paia di calze greggie, un abito quasi nuovo di
percallo, tre lenzuola, tre fazzoletti, grembiali, sottane, corsetti di maglia
ed altri cenci insignificanti. Dopo di che contarono i denari: Giovan Bello
dichiarò che possedeva due marenghi e sei franchi, Sabina disse che aveva mezzo
marengo in carta e prese infatti il borsellino per mostrarlo al fidanzato.
Ma fu molta la sua
meraviglia quando, sollevata la molla, trovò dentro un altro marengo bello e
nuovo in oro il quale, cadendo a terra, brillò come una stella, in vicinanza al
fuoco!
Marchetto, promesso che
sarebbe stato compare, s'allontanò col somarello esclamando a Sabina: - Dirò a
tuo padre che hai fatto buon viaggio.
E mentre di fuori
scrosciava la pioggia e il vento fischiava in mezzo alla foresta di pini,
Sabina scoppiò in pianto dirotto.
Ma Giovan Bello riuscì a
consolarla.
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