IV.
Una vittima.
I due fratelli, ciechi
di rabbia, dichiararono un'altra volta che non se ne volevano impicciare.
Essere già abbastanza compromessi; aver già perduto l'onore in causa di Giulia:
credersi fin troppo indulgenti a permettere ch'ella rimanesse in casa e che in
casa compiesse l'ultima imfamia cui l'aveva condotta la sua colpa. Non poterle
perdonare; far le pratiche opportune per separarsene sùbito: apparecchiarsi
anzi a interdirle una porzione del patrimonio ereditato. Giulia su le prime
sperò ancora che i fratelli, così crudeli in apparenza, non avrebbero avuto
coraggio di abbandonarla nel punto estremo; sperò che si sarebbero mossi a
pietà, per essere stata sempre affettuosa con loro ed anche credersi molto
innocente nel fallo in cui era precipitata. Quando comprese che la risoluzione
minacciata era proprio irremovibile, quando s'accorse che la sfuggivano e che a
vederle i fianchi grossi le gittavano parolaccie di sprezzo o di insulto,
allora si rivolse completamente al suo Vittorio, al solo Vittorio, pensando che
era meglio così, perchè d'ora innanzi forse non sarebbero più divisi; le
carezze dell'amante, uniche per lei su la terra, le sembrerebbero più care ed
ammorzerebbero anche il rimorso d'una imprudenza inesorabilmente punita.
Con tal fede Giulia,
molti giorni prima di mettersi a letto, scrisse una pagina passionata all'amico
e gliela fece pervenire per mezzo di Lorenzo, il vecchio servo stato complice
principale di quell'amore ma che adesso, lagrimoso, pallido, strappavasi i
capelli bianchi, pentito di non aver interrotta a tempo una simile tresca
apportatrice di tanti guai alla sua padroncina, alla sua figliola. Passarono
due settimane interminabili, mestissime, senza che giungesse nè pure una
risposta di Vittorio; il terribile istante s'avvicinava: Giulia ignorava ancora
che sarebbe di sè. - Finalmente, un venerdì mattina, Lorenzo entrato nella
camera della poveretta la svegliò per consegnarle una lettera che aveva
ricevuto dal giovane con grande mistero, con grandi precauzioni. Giulia si fece
aprire le griglie; ringraziò il buon servo e, lacerata trepidando la busta,
lesse avidamente. Ma non era ancora arrivata alla fine che le si oscurò la
vista, il sangue le affluì al cuore e dalle dita tremanti il foglio le cadde al
suolo. Vittorio confessava di non poterla aiutare; compiangeva la sua
condizione; avrebbe voluto chiederla in moglie; - ma gli mancavano due anni
alla laurea; - la scongiurava a non perdersi d'animo, a lasciar passare la
burrasca e a confidare nella provvidenza; - giovane, bella e ricca avrebbe poi
sempre trovato da collocarsi meglio che con un miserabile avvocatuzzo;
conservasse buona memoria di lui che, alla sua volta, non dimenticherebbe le
dolci ore godute insieme ed un affetto così gentile.
Allora soltanto Giulia
aperse gli occhi. L'animo di quel traditore le apparve in tutta la sua viltà;
percossa in poco tempo da tanti colpi, non ebbe nè anche la forza di illudersi
maggiormente e di lenire il proprio cordoglio con altre lusinghe: il disinganno
era completo. Perciò, dispersa rabbiosamente quella pagina brutale dopo averla
ridotta in brani, si distese, bianca, dissanguata, immobile, su le coltri
deserte: e, senza dare un gemito, senza versare una lagrima, aspettò la notte
intanto che il servo, imaginando l'accaduto, s'affaticava indarno a consolarla,
a baciarla, a supplicarla, balbettando, singhiozzando, inginocchiandosi a
terra, chiamandola coi nomi più affettuosi. La fanciulla aveva preso una
risoluzione anch'ella: tacere, languire e morire in un'agonia degna della sua
disgrazia, in un'agonia d'inferno che ricadesse tutta sul capo di chi l'aveva
provocata.
Quando, verso sera,
l'assalsero improvvisamente le prime doglie! l'affanno, l'ira, il raccapriccio
avevano precipitato il parto. Ma, invece di atterrirsene, Giulia, a quel
doloroso annuncio della maternità, d'un tratto sentì rinascersi a vita; una
promessa nuova per l'avvenire le brillò nella mente: i nuovi doveri che si
sarebbero richiesti da lei la persuasero che i suoi giorni potrebbero essere
utili ancora nel mondo per qualcheduno. E già, colorandosi le guancie, con la
fantasia esaltata per la febbre si vedeva ignota, lontana, in altro paese,
tranquilla e felice al fianco d'un pargoletto, che sbocciasse come un fiore sul
tradito seno materno, che imparasse dalla sua bocca a pronunciare i primi
accenti, che crescesse simile a lei nell'occhio, nel viso, nella pietà. Allora
per la sventurata si replicherebbe l'esistenza solitaria e serena trascorsa nel
decrepito castello dai saloni vasti e vuoti, dalle umide muraglie, dalle
finestre altissime, dove, orfana, era sorta semplice ed ignara del mondo in
mezzo ai fratelli ruvidi e interessàti presso i quali, unica donna della casa,
aveva fatto le veci d'una madre o d'una schiava, amandoli, obbedendoli,
sopportandoli, servendoli. Il suo bambino le rammenterebbe i tempi soavi
perduti; ella farebbe ancora da madre: amerebbe, obbedirebbe, servirebbe alle
tenere voglie di lui: una seconda vita di pazienza, di lavoro, di abnegazione,
di sacrificio sarebbe il guidernone d'ogni antico dolore; i baci del suo
fanciullo ben la delizierebbero più che baci di quell'infame, al quale potrebbe
for'anco augurare gioie non meritate e l'oblio d'un rimorso inevitabile.
Però sul vespro le doglie
diventarono così violente che, malgrado i continui sforzi per celarle, Giulia
dovette confessarsi col vecchio servitore. Questi, all'inattesa notizia, si
turbò tutto; ma, parendogli che non fosse ancora tempo, le raccomandava riposo
e le chiedeva se non s'ingannasse alle volte su la natura del male; - tuttavia,
dopo averla assistita per alcune ore, visto insomma che non c'era più dubbio,
manifestò la sua intenzione d'avvertirne i fratelli. Giulia, quantunque resa
pazza dai tormenti, si rizzò sul letto con gli occhi di fiamma e afferrando i
polsi di Lorenzo: "tu" gli disse, "tu andrai a cercare la
levatrice; nessun altro, intendi? i miei parenti non devono saper nulla!"
Così il vecchio, a testa curva, ingoiando il pianto che lo soffocava, si recò
in fretta a casa della levatrice; e non osò destare le donne, avendo Giulia
dichiarato che non voleva nessuno in camera affinchè il segreto non si
diffondesse, affinchè i fratelli non avessero a rampognarle poi l'ultima
vergogna della famiglia. Non bisognava opporsele. Quella giovanetta sensibile,
nervosa, esasperata dalla persecuzione, era capace di ogni follia.
Appena arrivata, la
levatrice, messa già al corrente da Lorenzo lungo la via, interrogò Giulia
sovra i soliti particolari, senza mostrare alcuna meraviglia, trattandola con
la massima dolcezza. Ma Giulia cominciò ben tosto a scuotersi; la fronte le si
bagnò di sudore; le sue membra tremavano forte; dalla strozza involontariamente
le sfuggivano gemiti compressi; morsicavasi le pugna in silenzio, delirando: allontanava
le coltri con impeto, come se le bruciassero la carne, come se la
schiacciassero. Bisognò adagiarla; si discostò la candela; si apparecchiarono
pannolini e vasi d'acqua, la si tenne ferma, la si calmò con mille sommessi
rimproveri, con mille carezzevoli minaccie: e, tra gli spasimi, verso
mezzanotte, ella diede finalmente alla luce un bambino.
Da principio la puerpera
stette alquanto quasi persona stanca per lunga fatica; aveva la bocca serrata,
le nari tumide; i suoi muscoli s'agitavano ancora sotto l'impressione del male
e si lasciò rivolgere ed accomodare senza resistere, come se non s'accorgesse
di nulla. Poi adagio adagio riprese i sensi; ebbe sussulti di vomito; sospirò:
si mosse. Lorenzo pendeva su la sua testa; gli sorrise. E, accomodandosi per
istinto con la mano diafana i capelli sparsi, risollevò il collo sul guanciale,
girò intorno le pupille come in cerca di qualcosa che le mancasse, mentre dalla
sue labbra smorte partivano voci interrotte. La levatrice indovinò; si fece
vicina: e mormorando frasi inintelligibili, con gesto imbarazzato, le sporse il
bambino. A quella vista il corpo della giovane madre parve infiammarsi;
un'ultima vampa di sangue le salì alle gote: diede un rauco accento di gioia
suprema e, sbarrando gli occhi, stese le braccia per trascinarsi al petto
quella piccola creatura delle sue viscere...
La piccola creatura era
fredda ghiacciata.
Giulia la lasciò cadere
di piombo sul letto ed ella stessa, prorompendo in un acuto grido, si gettò
all'indietro, col seno scoperto, con la faccia immersa come un giglio nel
volume delle treccie nere.
Lorenzo dovè tornarsene
in paese per il medico. Egli camminava a grandi passi tra le siepi, sul
sentiero campestre; intorno, il piano immensurato, rugiadoso, coi filari di
roveri e di pioppi, con le acque terse e fredde, accoglieva una tenue luce
suffondendola di lieve nebbia azzurrognola; non un alito di vento: non una
foglia che stormisse e intanto, su dall'erbe, tra le biade, nei tronchi
s'udivano le fioche voci diverse di mille insetti, come se fossero i fremiti
della terra.
Era nella stessa
campagna, in una simile notte, che la fanciulla aveva peccato vinta dal fascino
della natura, vinta dalla pace del silenzio, vinta dalla poesia della
solitudine. E Lorenzo, riflettendovi, avrebbe voluto lanciarsi in quell'acque
sì tranquille che sorridevano al suo dolore, che schernivano il suo pentimento.
Perocchè, troppo cieco, troppo semplice, era stato egli ad aprirgli ogni volta
il cancello dell'orto: egli che non aveva mai fatto male, che non credeva si
potesse far male; - e vedendo Giulia dileguarsi tra gli alberi, leggiera e silenziosa come un'ombra della notte, invece di
raggiungerla, di arrestarla, di rinserrarla senza pietà, sentivasi tutto lieto
al pensiero delle gioie che la attendevano, refrigerio solenne ai giorni
monotoni1 del castello.
Nulla giovò il medico
alla puerpera. Egli, desolato, disse che non c'erano più speranze e, dopo aver
tentato invano di richiamarla ai sentimenti, se ne andò avvertendo che avrebbe
mandato il prete. Infatti, di lì a qualche ora, il curato, solo, sinistro, con
un involto sotto il braccio, arrivò nel momento che Giulia aveva dischiuso un
poco gli occhi e domandato da bere. Lorenzo e la levatrice lasciarono la
camera: e il prete, volendo approfittare di quel breve intervallo, staccò dalla
muraglia un crocifisso di legno impolverato, s'accoccolò sovra la poltrona,
cominciò per confessare la moribonda. "Com'è stato, dunque,
poverina?" diceva. E Giulia, sgranandogli in faccia gli occhi, lo guardava
curiosamente, come se non l'avesse mai visto, come se non l'avesse compreso. Il
prete allora, senza scomporsi, proseguiva: "Sicuro: a questo fine si
precipita quando non si rispetta Dio... tu non sei venuta mai alla messa, me ne
rammento..." - Ma era inutile; Giulia non rispondeva; si rivolse
dall'altra banda: fiatò penosamente, entrò in agonia. - Il curato richiamò i
due che stavano su la porta; cavò dall'involto le ampolle; rialzò le coltri; le
diede gli olî santi; s'inginocchiò sul tappeto e, col libro in mano,
sbadigliando tratto tratto, recitò le ultime preghiere: - Lorenzo, tenendo le
palme congiunte, era in piedi silenzioso, fermo come una pietra.
Così spuntò l'alba. E
quando, lenta, lontana, dal campanile vibrò l'avemaria, la levatrice,
svegliatasi di soprassalto col rosario ancora tra le dita, si levò dalla sedia,
si chinò sul letto e vi scorse Giulia già cadavere.
Al dopopranzo di quel
sabato ricomparve il medico, per constatarne la morte. In casa non trovò
alcuno; soltanto Lorenzo aspettava su la panca del cortile e s'incaricò di
condurlo attraverso i cameroni scuri e freschi, dai mobili vecchi, dai soffitti
a travi scolpite. La scala, co' suoi gradini larghi e bassi di marmo bianco,
anch'essa era sepolta nell'ombra; i balaustri a colonnette rigonfie salivano in
pendìo, impolverati; all'ingiro, mezzo occulte da strati di calce, figuravano
dipinte gigantesche femmine, lanciate in una danza vaporosa e tacita da forse
due secoli; - su, in cima, nelle sale a vòlta, si vedevano mille screpolature,
sentivasi un tanfo d'antichità: e i passi dei due uomini, risonando sul
pavimento, echeggiavano di camera in camera maestosi. D'un tratto Lorenzo,
sempre taciturno, tirò un catenaccio, aperse i battenti d'una porta stretta,
fregiata di pitture guaste, poi, scopertosi il capo, entrò nella stanza
funeraria e ne socchiuse le imposte, avanzandosi diritto, simile ad un uomo
sordo che non ode nulla, che non s'occupa di nulla. Un raggio di luce rosea,
scivolando tra le aperture, si fermò in un angolo; il lumicino posto al suolo
mandò sprazzi fumosi e la fiamma ondulò, scossa ai piccoli colpi dell'aria che
perveniva dal corridoio. Pareva dimenticata ad accompagnar quel corpicino,
tutto giallo come una statua di cera, che giaceva sul materasso coi piedi riuniti,
con la testa enorme, con le coscie larghe, quasichè fosse ancora nel grembo
della madre: la quale, nell'angolo rischiarato lungo il muro, sovra quattro
seggiole messe vicine col dorso all'infuori, distendevasi inerte, nascosta da
un lenzuolo. Il medico sollevò quel drappo della morte; sotto gli apparve la
persona sottile di Giulia, avvolta in vesti candide, con le caviglie e coi
polsi legàti da corone; il suo volto livido s'incorniciava in un fazzoletto da
cui sfuggivano poche ciocche di capelli arruffàti; il collo aveva un colore
terreo, una rotondità floscia: gli occhi vitrei, fissi, chiedevano ancora
vendetta, maledicevano ancora a qualcuno.
I due uomini si
distaccarono; le imposte furono riappressate: cigolò di nuovo il catenaccio e
di nuovo echeggiarono i passi, quasi inviando l'ultimo saluto all'estinta,
piccina, deserta in quelle tenebre, in quello spazio.
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