V.
Storiella
invernale.
Martino s'era messo a
letto la sera del Natale. Fu assalito da una specie di stordimento mentre,
curvato al fuoco, discorreva con la sua vecchierella, agitando i tizzoni che si
volevano spegnere e sospirando tratto tratto come chi presente una sventura.
Fermo era partito alla volta di Corteno, dove faceva il pecoraio, per isposarvi
la sua Annita. S'era fissato il giorno di Santo Stefano e non bisognava
differire oltre: i preti se ne offenderebbero. Martino veramente credeva
inopportuna quell'epoca; ma dinanzi ad una forza maggiore aveva dovuto cedere e
rassegnarsi. E inoltre, perchè attendere? la primavera non è stagione
conveniente per i matrimonî; di primavera si ricominciano le aziende
interrotte: c'è altro in capo che di prendere moglie, fare baldoria, spendere
quattrini!
Il Natale quindi era
passato tra loro due; era passato tristemente, nella camera nuda, coi vetri
appannàti da cui si vedeva la valle bianca e nebbiosa ove scorrevano larghe
raffiche di vento a sparpagliar la neve caduta sui pini. Elena si turbò quando
il suo uomo, coricatosi presto, cominciò a vaneggiare un poco, parlando in
disordine e lamentandosi di essere sudato. Aveva la febbre; voleva sempre
ghiaccio su le tempie e tratto tratto si assopiva con gli occhi sbarràti e le
guancie così smunte che parevano di cadavere.
- Avesse proprio da
venirgli un male? - pensò la vecchia; e, tremante di paura, gli propose di
chiamare il medico da Bondione.
- Che farne del medico?
- disse Martino in un momento di quiete. - E poi, perchè obbligarlo a salir fin
quassù, per la Roncaglia,
con questo tempo?
Ma il giorno dopo si sentì
gran fracasso di grida e corni su la via; arrivarono tre cavalli in fila,
tirando un enorme ariete carico di montanari col tabarro e le scuriade: la
neve, fessa da quel mostro lento, dividevasi raccogliendosi ai lati della
strada.
- Ecco, la Roncaglia è spazzata -
mormorò Elena all'infermo. - Vuoi ch'io vada a Bondione?
- No, no, férmati -
rispose egli: - il viaggio per te è troppo lungo e pericoloso. Non
arrischiarti, Almeno, non c'è bisogno.
- Se qualcheduno di
Lizzola...
- Impossibile: in questi
giorni stanno tutti a casa.
La vecchia era persuasa.
Di nascosto però seguitava a piangere e pregare. Martino intanto, persa la
solita parlantina (questo più che tutto sgomentava sua moglie), sollevandosi un
poco sui guanciali ben coperto di lana e di pelli, guardava per la finestra i
monti opposti, separàti da lui da un abisso, oltre i quali, prima di giungere
dove era Fermo, erano altre valli, altri gioghi, altri abissi; e, al loro
piede; le cascine, i ponti, i campanili, i cimiteri coi cipressi sparsi di
neve, come persone ammantellate di bianco.
Alla mattina il vecchio
si svegliò agitatissimo.
- Ho fatto un cattivo
sogno - mormorò. Poi, dopo aver meditato un pezzo, mentre Elena vestivasi: - e
quei due? che diamine fanno? dove si cacciarono? perchè Fermo non viene a
trovar suo padre ed a presentargli la moglie?
La vecchierella per la
centesima volta ripetè la stessa cosa:
- Fermo è a Corteno; si
è sposato ieri mattina, alle dieci, nella chiesa parrocchiale. Lo condussero a
casa e gli diedero da mangiare e dormire. Oggi sarebbe qui se non fosse
nevicato. Aspettiamolo. Non vorrà nevicare eternamente. Ogni stagione ha la sua
evoluzione.
Anche quel giorno
trascorse malinconicamente. I due vecchietti continuarono a borbottare l'uno
con l'altra. Verso l'avemaria capitò una vicina a domandar notizie del malato.
Fermo non si nominò neppure: le femmine indovinarono che bisognava distrarre il
pensiero di Martino e gli parlarono di tutt'altre cose. Ma nell'accomiatarsi la
vicina s'indugiò un momento su la porta: Lizzola, immersa nelle tenebre,
emergeva i suoi rustici tetti biancheggianti nel cielo.
- È fioccato troppo
quest'anno - disse Elena.
- Sicuro; per quei
poveri diavoli che devono viaggiare...
- Specialmente quando si
ha donne insieme. Per quanto siano alla buona, si capisce!
- Si capisce! -
soggiunse Carolina.
- Non è freddo; ma il
solo aspetto della neve pone i brividi addosso.
- Narrasi che caddero
molte valanghe...
- Dite proprio,
Carolina? - proruppe Elena col cuore angosciato e simulando per il desiderio di
saper tutto.
- Non c'è da
inquietarsi, ma io non esagero, - soggiunse l'altra. - Pare anzi che avvennero
disgrazie. I contrabbandieri ne parlano per ogni stalla. Ad Arigna ed anche qui
in valle di Bondione le valanghe hanno sepolto diversi viandanti. Poveri
cristiani, che catastrofe!
- Vergine santa,
Carolina, tacete per carità! guai se quell'uomo là udisse!
Ma, dalla stanza,
Martino aveva già udito.
- Fermo è morto! -
esclamò. - Fermo è sepolto sotto le valanghe... soccorso... soccorso!
E slanciavasi dal suo
letto, ardendo per la febbre, gridando, singhiozzando.
Elena riuscì lungo le
notte a calmarlo alquanto; ella stessa però sentivasi il cuore spezzato e,
costretta a fingere, soffriva di più. Circa il meriggio di San Silvestre la
vecchia prese la pezzuola, serrò in camera Martino e discese la Roncaglia verso
Bondione. La brina candida, gocciolando dagli abeti, le bagnava le spalle ed i
suoi zoccoletti s'infangavano su la strada sporca, percossa dal pallido sole
d'inverno che faceva scintillare gli atomi innumerevoli della neve.
Quando il medico vide
Elena, col suo abito nero a puntini rossi ch'ella non aveva deposto più sin dal
Natale, capì sùbito che cos'era.
- È malato il vostro? -
borbottò di malumore; poi, fattosi discorrere a lungo intorno all'indisposizione
del vecchio: - non è niente - soggiunse; - colpa degli anni: settanta primavere
sono settanta quintali. Andate pure, Elena; verrò io domani senza dubbio.
Elena partì consolata.
Rientrando nella casuccia dalle muraglie scure di sassi col tettuccio di legno
ella trovò il vecchio in piedi, che accendeva il fuoco.
- Ma che ti salta in
mente adesso?
- Lascia, lascia - egli
rispose. - Quei due avranno freddo. Bisogna che si riscaldino appena arrivati.
Sotto la valanga devono stare maluccio, i poveri diavoli. E, in fin de' conti,
sono pure nostri figli.
Delirava. Ella, con le
buone, lo convinse di tornarsene a letto.
- Ma il fuoco? chi
dunque preparerà il fuoco per essi? - mormorava macchinalmente Martino. - Non
sai che sono caduti nella neve?
La disgraziata madre non
potè più trattenersi, scoppiò in lagrime dirotte e seguitava a ripetere:
- Vergine santa, e se
fosse vero?
I comignoli di Lizzola
fumavano tutti annunziando che cento famiglie apparecchiavano la modesta cena:
e i due vecchi, l'uno coricato e nascosto dalle coperte sino al mento, l'altra
al capezzale con le mani sul grembo, piangevano, piangevano, mentre l'ombra
calava.
A poco a poco Martino
cessò di sospirare e parve addormentarsi.
La vecchia appoggiò la
fronte canuta sul lenzuolo e, col seno compresso, aspettava silenziosa,
pensando e sperando. Così venne la notte. D'improvviso Martino si scosse e,
senza articolar sillaba, gestiva con forza, allontanando le coltri da sè; Elena
si rizzò sgomentata, accese precipitosamente il lumicino, gli domandò che cosa
avesse, che cosa volesse. Egli, anzichè rispondere, stralunava gli occhi
proferendo parole tronche, inintelligibili; allora fu chiamato il cappellano
che lo visitò e se ne andò malinconico, senza lasciare alcuna speranza.
Con la rapidità solita
su le montagne il sereno era scomparso dietro un velo di nebbia e di nuvole; il
vento fischiava nelle gole e la neve scendeva giù a larghi fiocchi nelle
tenebre: Elena accanto al letticciolo del suo uomo, su quell'altura deserta, in
quell'ora penosa, non aveva più forza nè anche di versar pianto.
Quand'ecco la porta si
spalancò e su la soglia presentossi un giovane alto, nerboruto, dai baffetti
neri e dalle uose di pelle che gli salivano al ginocchio. Una fanciulla rotonda
e sorridente lo accompagnava; le sue scarpe erano coperte di neve ed un lungo
scialle avvolgeva il suo busto grazioso, ricco, pieno di vita.
Erano Fermo e la sposa.
- Finalmente ci siamo -
egli mormorò pulendosi dal fango ond'era inzaccherato. E nel suo occhio
splendeva il desiderio di riabbracciar persone care, di riposar nuovamente in
quella casuccia dov'era trascorsa la sua fanciullezza, quando nelle sere lunghe
il padre lo faceva sedere su le ginocchia mentre la mamma, filando, raccontava
le meste panzane dei monti.
Dalla porta rimasta
socchiusa penetrò un rumore di coperchi e di ferramenta percosse; i montanari
andavano intorno per Lizzola e salutavano a quel modo il terminare dell'anno.
- Uno viene e l'altro
va! - gridavano. E il loro grido, portato dal vento in fondo alla valle, vi era
poi ripetuto migliaia di volte.
Martino si destò dal suo
assopimento e stese con impeto le braccia verso il figlio che s'accostava
mortificato, a fronte bassa, dinanzi a quella dura novità. Si baciarono e
confusero insieme Fermo i capelli ricciuti, il vecchio le sue ciocche bianche.
- Bravo, bravo! - gemeva
quest'ultimo; e con uno sforzo volle sollevarsi per vedere in viso la giovane
sposa. La quale stette là muta, presso la soglia, con le mani penzolanti lungo
il dorso e gli occhi umidi. Elena venne ad abbracciarla.
- Bravo, bravo! -
continuò il malato senza chiudere gli occhi nè volgere altrove lo sguardo.
Quindi, mentre sotto le finestre la gente schiamazzava e fischiava il vento,
egli entrò in agonia.
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