VII.
Maometto.
Maometto, col suo
bell'elmo lucente in capo, si arrampicò traverso i pini folti e scuri, da cui
esalava acuto odore di resina. Un leggiero soffio di vento faceva dondolar
quelle braccia protese in giro e tratto tratto fischiava in alto con un tono
misterioso e beffardo. La
Roncaglia era deserta.
- Oh! oh! - mormorò
Maometto. - Che il diavolo ci voglia guastare la festa? - E si fermò un momento
spiando al di sopra del bosco. Tra i pini scorgevasi qualche lembo di cielo
sbiadito, cinereo, uniforme, presago di temporale. Un lampo rapido rosseggiò
entro il padiglione dei rami: il vento crebbe.
Allora Maometto
raddoppiò la corsa. I tronchi secchi degli abeti minacciavano di afferrargli
l'elmo e portarglielo via: egli dovette premerlo su la nuca, si fermò per
rendersi più piccolo e sollevò con la sinistra il fodero dello squadrone
affinchè non gli impedisse le gambe.
Lizzola buia e seria, in
vetta alla Roncaglia, s'accoccolava sul verde, piena di salute e di
tranquillità; quei comignoli fumavano tutti insieme e le vecchie muraglie
solcate da screpolature grigie parevano guardarsi intorno con aria sonnolenta.
Il soldato, a lunghi passi, traversò la prateria e giunse al paese. La siepe di
biancospino lo arrestò: un enorme pero carico di frutta acerbe lo accolse
tremolando sotto il proprio fogliame.
- Caterina! - susurrò il
soldato. - Fai presto. Non c'è tempo da perdere. Sta per venir giù l'acqua a
secchie. Se mi bagno, addio festa. E che figura farei?
Infatti da ogni parte
l'orizzonte erasi coperto di nuvole color piombo, gravi di pioggia, e soltanto
al di sopra della vallata cadeva una luce bianca bianca, forte, che bruciava
gli occhi.
Caterina sbucò
lentamente fuor della siepe e rivolse uno sguardo timido verso la casa piccola e
tacita, al primo piano della quale i tre vetri della finestrina brillavano
riflettendo le tinte dell'iride.
- Se papà ci trova siam
fritti! - proruppe ella. - Ah! Paolo, anche, stamani ha parlato di te. Ti ha
visto ronzare domenica scorsa vicino al cortile e dice che vuol fartela pagare.
Bisognerà che cerchiamo un altro mezzo: questo è troppo pericoloso. Abbi
pazienza, Paolo. Fammi il piacere. Lasciami pensarci: ho una bella idea,
vedrai. Adesso è impossibile; va via, ti dico... tremo dalla paura!
Maometto scosse il capo
con un sorriso mesto ma calmo. Egli era sicuro del fatto suo. Parlerebbe e
farebbe in modo da togliere le difficoltà. Ma non avrebbe mai rinunciato, no, a
volerle bene. Piuttosto morire. Benvenuto era un imbecille. Non sapeva le sue
convenienze; rifiutava un partito di quelli che ce ne son pochi. E, non faceva
per dire, ma la sua famiglia era in buone condizioni. Dote? che gli importava
della dote? i denari non valgono proprio niente, per Dio! Meglio una pitocca, a
cui si vuol bene, che una principessa brutta e vecchia la quale abbia una cassa
di marenghi. Stesse tranquilla. Ci pensasse, era giusto, ma non dubitasse nè
anche un momento che il suo Paolo...
Qui un fragoroso colpo
di tuono gli troncò le parole. Poscia larghe goccie di pioggia cominciarono a
precipitarsi intorno, spesse e dure, facendo curvar le foglioline sotto la loro
percossa e crepitando come carta stropicciata.
- Ahi! - disse Maometto
guardandosi la giubba seminata di macchie umide. - Bisogna cavarcela. Basta,
Caterina. Quando ti rivedrò? Domenica scendi a Bondione? chi sa mai che potremo
discorrere. Addio.
E fece per allontanarsi.
In quella un rumor di imposte sbattute si udì alla piccola finestrina; i vetri ne
furono aperti e, mentre il tuono rimbombava più forte che mai, fuori del
davanzale Benvenuto gridava minaccie inintelligibili trinciando le mani per
aria.
Caterina sparve sùbito e
Maometto, con l'elmo su gli occhi, si rannicchiò rapidamente e scappò via lungo
la siepe che lo nascondeva.
*
* *
Don Rocco esultava. Nel
pomeriggio il più bel sole italiano aveva messo in fuga le nuvole e l'orizzonte
azzurro sorrideva senza una ruga. La campanella suonò a distesa annunziando i
vespri: sul piccolo sagrato si raccolsero centinaia di uomini venuti anche di
lontano, cioè da Passevra e Fiumenero: le donne, coi grossi scialli in capo,
avevano invaso la chiesetta da cui usciva un'acre fragranza d'incensi. Tutti
erano felici; quella pioggia aveva rinfrescato la temperatura e allargato le
anime. Ma al terzo segno ecco un gridìo confuso e immenso di fanciulli i quali,
correndo, portavano la notizia che venivano.
Chi, venivano?
Anzitutto Michel Magro,
compassato, con un pennacchio nel cappello di feltro, una fascia gialla
traverso il petto e un tamburo alto mezzo metro che gli dondolava su le
ginocchia. Egli picchiava sistematicamente quella povera antica pelle d'asino
la quale, tarlata in molti luoghi e unta d'olio, dava un suono fievole e
monotono appena sensibile dieci passi distante. In ispecie perchè i fanciulli
non cessavano di vociare e saltare, percotendo le suole di legno contro il
selciato, ed anche le donne si unirono a quel fracasso con le insensate risa,
poi vi si unirono persin gli uomini, indotti dallo spettacolo insolito.
Perocchè, dietro a
Michel Magro, comparve tosto una squadra di ventitre guardie nazionali col
berretto a larga visiera, il camiciotto greggio e i cinturini bianchi. Esse
portavano su la spalla sinistra il fucile ad avancarica sormontato dallo
stopaccio rosso che serrava la canna: e le canne, di fresco ripulite col pomice
dalla ruggine, raggiavano, al sole pomeridiano con una civetteria graziosa di
roba vecchia e disusata la quale dopo molti anni, venti anni, ritorna ancora
una volta alla luce. Il municipio che da un pezzo custodiva quegli arnesi fuor
di moda in una cantina, entro casse di larice, aveva permesso che per
l'occasione si tirassero in ballo, tanto da contentar via i buoni montanari
smaniosi di fare una innocente smargiassata.
Nè basta. Alla destra
del plotone, che procedeva con ordine ed al passo, vedevasi Maometto, creato
per quel giorno direttore della festa in luogo del tenente; egli portava in
testa l'elmo arcuato, sul pelo nero del quale sfavillava in acciaio la croce
sabauda: la giubba militare, diventata un po' stretta, delineava il robusto
profilo del suo torace e il fodero picchiava ad ogni movimento contro i calzoni
di fustagno, con una cadenza misurata e precisa. Quanto alla spada egli la
sollevava ignuda appoggiata alla clavicola, come sogliono gli officiali alle
rassegne. Nulla di più seducente: era una cosa da scoppiar dalle risa.
In conclusione tutti
quegli uomini si schierarono in fila dinanzi alla chiesetta: aspettarono
pazientemente che i vespri finissero e, quando la campanella diede il primo
tocco della benedizione, Maometto alzò la spada, la scosse da destra a manca,
si ritirò di qualche metro ed una salva di fucileria, pim, pum, pam, partì
impetuosamente, sì che le orecchie ne rimasero intronate per un pezzo.
Frattanto Don Rocco ebro
di gioia impartiva dall'altare la benedizione e Benvenuto, che la sapeva lunga,
preso da canto un fanciulletto dagli occhi vivaci, mormoravagli alcune parole
misteriose poi mandavalo giù dalla Roncaglia a perdifiato.
*
* *
Magnifica fu la serata.
Il sole tramontava dietro le montagne che sorgono di fianco a Lizzola e ancora
la via, la piazza, i cortiletti erano pieni di gente che schiamazzava con
grande contentezza. Le guardie nazionali sbandate di qua e di là discorrevano
molto animatamente, gonfie di buon vino e di vanagloria, perocchè da un pezzo
non facevano più quella figura. Quanto a Michel Magro, egli stava mostrando il
cuoio, le corde, gli orli del tamburo ai giovani e volentieri si prestava a
suonar sù qualche marcia. Ma di lui ridevano: e specialmente le donne se ne
prendevano spasso vedendo la serietà che metteva nel suo offizio.
Maometto era il più
ricercato. Mezzo in cimberli egli girava per il paese insieme con due amici,
strascinando per terra il fodero dello squadrone, lanciando occhiate e facezie
da tutte le parti con l'elmo su la nuca e la faccia sudata. Come se la godeva!
era stata una bella trovata, per bacco, quella del signor cappellano! Si aveva
avuto almeno l'occasione di scherzare un poco e di passare un'ora deliziosa. Ma
che miseria d'Egitto! ma che guerra! ma che fame! ma che!... non c'era niente
al mondo che pagasse una simile baldoria. Maometto fu quasi portato
all'osteria. Là si giuocava a briscola; alcuni lo vollero compagno in una
partita; si versò ancora da bere: egli accettò, giocò, cantò. Ma un gioco se è
bello deve durar poco e anche questa volta la troppa allegria degenerò in un
alterco.
Poichè, all'ombra presso
la cappa del camino ove bollivano alcuni intingoli straordinari, Benvenuto
beveva il suo boccale da uomo tranquillo e regolato. Mentre la cucina pareva
tremare agli scoppî d'ilarità ed al frastuono di tutti quei monelli, il vecchio
si alzò con malumore e venne ad osservar la partita.
Maometto perdeva. Ogni volta
che i suoi avversari facevano qualche punto egli bestemmiava per abitudine.
- Sei una canaglia, tu -
gridò ad uno di essi. - Tu mi rubi il boccale! non si fa così a giocare, ohe!
stai attento che ti prendo il tre di picche.
Tutti ridevano. La sua
gioia comunicavasi agli altri.
- Maometto è filosofo -
diceva uno.
- Sa che si è giovani
una volta sola - aggiungeva un secondo.
- Chi perde al
giuoco.... - susurrava un terzo. E gli amici a finir la frase in coro.
Benvenuto dal suo posto
li guardò in faccia, freddo freddo, avendo inteso l'allusione.
- Ebbene, sì -
proseguiva Maometto come se si trattasse d'una cosa naturale. - Faccio per un
discorrere, che a dispetto di chiunque io condurrò a termine quello che devo.
Ciò che mi piace mi piace e son padrone io. Ma che padri, ma che madri, ma che
il diavolo se li porti!... ecco un bel mazzo: allegro, compare!... Che il
diavolo se li porti via! o i capricci dei vecchi saranno un vangelo per noi e,
se uno ha la testa dura, dovrò ungergliela col burro? Sono uscito di tutela da
un pezzo. E nè i mustacchi lunghi, nè la barba bianca mi faranno tornare
indietro. Ho ragione o no?
Benvenuto gli mise una
mano su la schiena.
- A proposito - disse: -
vogliam discorrere di qualche cosa. E non farmi il gradasso, vedi, perchè con
un calcio io ti mando a Bondione e t'insegno a trattar con la gente...
Maometto si rizzò.
- Questo poi... ci
spiegheremo un poco, vecchio barbogio.
- Spieghiamoci pure -
aggiunse l'altro. - Io ti ripeto che non ho paura di nessuno.
- Che significa ciò? -
mormorò Maometto. E i suoi occhi mandavano fiamme.
Michel Magro, seduto sul
tamburo, da parte, bisbigliava:
- Ohe, ohe! che la vada
a finir mica bene?
Ma in quella si aperse
improvvisamente l'uscio di strada e una delle guardie si lanciò dentro gridando
con voce soffocata:
- Maometto, Maometto,
scappa! I carabinieri!... hanno saputo... son qui... ti metteranno in prigione!
sai, la spada, l'elmo... non si poteva... scappa, ti dico!
Maometto, sbalordito,
atterrito, non volle udire altro: diede quattro urtoni a destra e sinistra,
corse alla porta del cortile e via, come il vento, come un'anima dannata, in
mezzo ai portici, agli orti, alle siepi, alle piante.
*
* *
- Anche questa! o che
diavolo; anche questa mi doveva capitare! - brontolava. E giù, febbrilmente,
sdrucciolando su l'erba umida, incespicando nei sassi, brancolando tra le siepi
ed i muri. Sudava dal capo ai piedi e lo squadrone andandogli nelle gambe
minacciava di farlo cadere a precipizio. Passò davanti la casa di suo cognato;
era chiusa e non potè entrare. Chiamò leggiermente: - Giuseppe!
Ma Giuseppe dormiva il
terzo sonno e non avrebbe udito nè anche un colpo di cannone. Come fare
adunque? avanti ancora; qualcheduno lo aiuterebbe, per bacco.
E già, sgusciato alla
svelta sotto i pini, era arrivato presso il vicolo che metteva alla propria
casa, quando gli parve di scorgere due ombre nere, in piedi, a venti passi da
sè.
- Son caduto in bocca al
lupo? - pensò trattenendo il fiato, ansante, tremante dalla paura. E difatti le
due ombre, d'accordo, si mossero all'improvviso contro di lui. Non istette
certo ad attenderle, ma spiccò un altro salto e via nuovamente di galoppo, come
se avesse il diavolo alle calcagna.
Ed aveva girato a destra
la parte posteriore della chiesa picchiando una spallata contro lo spigolo del
campanile, quando fu colpito da una luminosa idea e senz'altro scavalcò la
siepe. Stavagli in faccia la casetta di Benvenuto, sbarrando quella finestruola
a tre vetri da cui veniva fuori uno sbadiglio di luce rossa. Nel medesimo tempo
egli si sentì stringere al braccio da qualcuno che lo attirava adagio adagio
nel corridoio ed una voce femminile, carezzevole e turbata, gli mormorò
all'orecchio:
- Ah! sapeva bene, Paolo,
sapeva bene!
La cucina era buia e
silenziosa; le porte chiuse e sicure; nell'aria fiutavasi quell'odore allegro
di cenere spenta che sale dal focolare i giorni di festa.
- L'ho scappata per
miracolo, sai, Caterina? - disse Maometto tranquillandosi a poco a poco e
respirando.
Poi sedettero entrambi
sopra il secondo gradino della scala di legno e chiacchierarono lungamente a
bassa voce.
*
* *
Assai tardi, verso
mezzanotte, Benvenuto rincasò. Era alticcio e di buon umore. Fece scricchiolar
sotto i passi incerti e pesanti il legno della scala, entrò in camera, accese
il lume e si svestì per coricarsi. Sperava che Caterina non lo sentirebbe.
Ma ella, benchè mezza
addormentata, lo sentì egualmente. Aperse un occhio, sollevò la testa sul
guanciale e domandò come in sogno:
- E i carabinieri?
Benvenuto ammorzò il
lume in quel momento. Non rispose, ma pensò tutto inquieto mentre la testa gli
girava:
- O che ci sarebbero
anche i carabinieri, adesso?
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