IX.
Don Bonomo è senza cena.
Dopo sei mesi che Bonomo
dei Pollinetti era partito pe 'l seminario, già reduce3
da Bergamo aveva assunto la propria carica di cappellano ad Anona. Il vescovo,
sapendo che in giovanezza Bonomo era stato ad un pelo di farsi prete, appena
gli dissero ch'egli aveva perso la moglie lo fece chiamare e s'adoperò tanto
che lo persuase a dedicarsi al sacro ministero della religione. Si mancava di
preti, in quelle montagne, e il papa permetteva un mezzo straordinario per
ottenerne, reclutando alla meglio chiunque avesse o avesse avuto una
preparazione elementarissima. Bonomo veramente aspettò un poco prima di
risolversi al grande passo: non vi si era così facilmente risolto a
diciott'anni, dunque con maggior ragione doveva andar cauto a quarantaquattro.
Ma ciò che lo decise proprio all'ultima ora fu l'accorgersi che insomma
Petronilla non si voleva maritare e non aveva nessuna simpatia per lui: il
povero uomo la scongiurò cento volte, alla sua maniera, cercando persino
sedurla con regali e proferte di quattrini; e, visto finalmente ch'ella era
inflessibile, una bella notte formò il suo piano di guerra.
All'alba, quando scese
in cucina, Petronilla, con un grande fazzoletto rosso annodato su la nuca,
faceva bollire un po' d'acqua nella pentola.
- Petronilla - disse
Bonomo: - oggi tu sei libera.
Petronilla non mosse
palpebra; solo crollò impercettibilmente le spalle.
- Io vado in seminario -
soggiunse il padrone.
- Vi fate prete? -
mormorò ella alzando gli occhi celesti.
- Prete, sì.
Ella non credeva.
- Oh! vedrai! - proruppe
Bonomo con la gola arsa dall'affanno. E stette ad aspettare.
Petronilla tolse la
pentola dalla catena, versò l'acqua in una catinella di rame e poi, mettendosi
le mani sul fianco, esclamò:
- Spero bene che mi
darete quello che mi spetta? - E a mezzogiorno uscì di casa con un grosso
involto dopo aver salutato la mucca bianca e baciato le belle capre allevate da
lei. Bonomo era triste e si chiuse in camera a piangere davanti agli abiti
della sua defunta Pepa.
*
* *
Il presbiterio quando vi
entrò don Bonomo dei Pollinetti era in isfacelo. Sgretolavansi le muraglie,
sfasciavansi gli stipiti ed i soffitti cadevano in rovina. Il predecessore
l'aveva lasciato in quel modo fuggendo per la disperazione; - ma esso
presentava per don Bonomo, a malgrado di tutto, le comodità d'una curia. Egli
se ne impossessò beatamente con la compunzione indispensabile per la
circostanza; fece trasportare i suoi rustici mobili e li collocò lungo le
pareti: non osò cambiar di posto nè meno ad un travicello e lasciò che presso
le finestre i ragni tessessero le proprie tele. Solamente, perchè le pareti
erano troppo sudicie, si piegò dopo lunghi battibecchi col sagrestano a dar
loro una tinta verde, seminata di fiorellini azzurri. Nei cantucci umidi si
respirava lo stesso odore di antichità e di muffa; ed ogni mattina Moschetto,
scopando le camere, trovava su la tavola uno strato di pulviscolo rosso.
Ma don Bonomo era
felice. Serrò in un armadio gli abiti della povera Pepa, li cosparse di tabacco
perchè gli insetti non li guastassero, comperò una piccola Madonna di gesso e,
col cuore sanguinante, aiutò in persona Moschetto a portare nella sua
stanzuccia uno dei letti che facevano parte del letto matrimoniale. Ahi! gli
ultimi ricordi di quel tempo andato e di quelle gioie terminate erano così per
sempre sepolti.
Don Bonomo si rassegnò.
Una volta per settimana continuò le proprie visite al camposanto su la fossa di
Pepa, disse alla povera donna una quantità di messe funebri e, fatta fabbricare
da Zancastro una croce di legno, vi pose egli medesimo questa epigrafe:
HIC.
IACET.
.
PEPA. POLLINETTI.
IE.
. SUS. PER. ANIMAM. SUAM. AMEN.
Intanto alla mattina si
alzava alla solita ora per leggere il breviario: andava a trovare le capre
verso mezzodì, a merenda faceva una passeggiata e all'avemaria mangiava la cena
preparata da Moschetto. Le campane suonavano a distesa entrambe sopra il suo
capo: ed egli, seduto a tavola, beveva malinconicamente il freddo vinello di
Salò mormorando a voce bassa:
- Oh! Pepa! chi
l'avrebbe detto? Eccomi cappellano. Se tu potessi ritornare!
*
* *
Fu dopo un anno di
questa solitudine che, improvvisamente, Don Bonomo ebbe un incontro poco
gradevole. Un pomeriggio, uscendo per la passeggiata, s'imbattè a faccia a faccia
con Petronilla.
Sempre bianca e paffuta
ella sedeva a piedi scalzi sul margine d'un sentiero, lasciando che le pecore
brucassero l'erba tra le pietra del monte.
- Vi saluto, Bonomo -
ella disse con un sorriso confidenziale e leggiermente ironico.
Don Bonomo, e ne fu
tutto addolorato, sentì tremarsi le ginocchia.
- E che! - soggiunse. -
Tu sei ancora ad Anona? Già ti credeva partita. Che fai qui? A quanto sembra
stai bene. Come è che non ti vedo mai?
Petronilla con falsa
timidezza abbassò gli occhi.
- Oh! caro il mio
Bonomo, non mi posso rallegrare della sorte. Ho trovato un posto da papà Merlo
e prendo tre franchi al mese, ma nè pure una mancia.
Il discorso languiva.
Entrambi erano imbarazzàti. Finalmente Don Bonomo, fissandola in faccia con
aria di schietto rimprovero, mormorò:
- E in chiesa non vieni
mai? Tu trascuri la tua anima, Petronilla.
Petronilla picchiando
per terra il bastone rispose:
- Giust'appunto: questa
sera aveva fissato di venire da voi, in casa vostra.
Don Bonomo,
senz'aggiungere verbo, si allontanò con la testa sconvolta e il sangue in
fiamme.
- Che volete da cena,
Don Bonomo? - domandò Moschetto quando lo vide comparire.
Ma Don Bonomo,
taciturno, infilò un uscio dopo l'altro e andò a rincantucciarsi nel salotto
nuovo.
Che sarebbe venuta a
fare Petronilla? in sua casa? di sera? dopo tanti mesi che non si parlavano
più? ma perchè mai gli aveva detto ch'era poco lieta della propria condizione,
lasciandogli intendere che desiderava cambiarla?
Il povero prete,
inquietissimo, fece venti volte il giro della camera a grandi passi. Con le
palme dietro il dorso e la testa curva sul petto, egli tradiva, nel guardo, nel
portamento, nel gesto, una insolita apprensione. O che Petronilla calcolasse di
ritornare al presbiterio? e se ciò accadesse? la miseria, il bisogno l'avevano
dunque piegata? ora che non si potrebbe più concludere nulla? Sedette; lesse e
rilesse il brevario; tentò distrarsi; uscì nel piccolo orto e lo mise in
iscompiglio: poi siccome la sera s'avvicinava passò in chiesa, l'attraversò
lentamente, si diresse al coro e vi s'inginocchiò al suolo in atto
desolatissimo. Una luce pallida di vespro nuvoloso pioveva dai vetri del
finestrone; nella penombra gli stalli ergevano le braccia nere, tarlate e unte
d'olio; in fondo, presso il campanile, una donna scopava il pavimento. Don
Bonomo aperse un libro di preghiere e pensò.
Quella sciagurata non
rifletteva mica ai pericoli in cui lo porrebbe? ed alle ciarle del paese non si
doveva proprio avere un riguardo? ed egli conserverebbe sempre, con l'aiuto del
Signore, la forza d'animo necessaria a vincere ogni tentazione? In seminario,
più che su tutto il resto, avevano insistito sul bisogno di premunirsi contro
le seduzioni della terra; ma per quale fanciullesca leggierezza colei verrebbe
a disturbarlo, a metterlo su l'orlo dell'abisso, insomma a renderlo infelice?
Vedersela davanti ogni giorno! così bella, così giovane, così cara! dopo averla
amata! dopo averle proposto un matrimonio!
- Pepa - gemeva Don
Bonomo con la fronte tra le palme: - Pepa, se è vero che la mia pace sta per
essere distrutta, intercede pro me, libera me a malo!
*
* *
Cadde la sera nè Don
Bonomo si moveva dalla sua posizione. Ad un tratto comparve il sagrestano e a
voce forte, quasi impaziente, lo avverti ch'egli era atteso nel plebisterio. Il
prete si alzò scosso a quelle parole che rimbombavano come squilli nel coro e
si ritirò a testa bassa, con un acre odore d'incenso nella veste. Dalla cucina
invece arrivava un buon profumo di tordi allo spiedo; e Don Bonomo si consolò
riflettendo che Moschetto era diventato un bravo figliuolo.
In sala Petronilla
aspettava sul canapè comperato a Clusone pochi giorni prima. Ella portava il
suo vecchio abito di lana azzurra, non aveva scarpe e teneva intorno alla
schiena, cadente con civetteria, uno scialle frusto ereditato dalla povera
Pepa. I suoi occhioni celesti luccicavano da quel cantuccio e le sue mani si
nascondevano sotto il grembiale.
- Addio Petronilla -
disse Don Bonomo quando la scorse; - la giovanetta senza nè meno alzarsi
ripetè:
- Addio, Bonomo.
Ella non poteva perdere
le antiche abitudini e, nella sua ignoranza, le riusciva impossibile chiamare
il cappellano in altra maniera.
Ma Don Bonomo, tremando
un poco dall'emozione, ruppe il ghiaccio per il primo.
- E dunque?
Mille domande si
racchiudevano in quest'unica domanda. Il povero diavolo sentivasi venir freddo
e dovette appoggiarsi alla tavola per non cadere indietro. Il momento era
solenne. Un'imprudenza sarebbe pur bastata a rovinarlo: e nel suo cuore di
vedovo, nel suo mondano cuore non sufficientemente preparato al sacrifizio,
tumultuavano le memorie degli anni trascorsi, della famiglia antica, degli
antichi affetti. Levò di tasca la grande pezzuola a scacchi e si asciugò la
fronte calva. Ma, siccome la fanciulla guardandolo sfacciatamente sembrava
lieta di prolungar la sua penosa agonia, egli si avvicinò al divano, sedette
adagio adagio, le prese con calore la mano e ripetè le tre parole:
- E dunque, Petronilla?
Petronilla svincolò
sùbito la propria destra. Era calma e seria.
- Dunque - rispose, -
-prendo marito.
Don Bonomo non respirava
più.
Nello stesso tempo su la
porta presentossi Moschetto recando seco dalla cucina un'altra ondata di odore;
egli, pallido come un morto, stava alla soglia con un paiuolo nella destra ed
una pentola nella sinistra. La fanciulla, senza muovere labbro, lo segnò a
dito. La mimica era espressiva.
Don Bonomo abbassò la
fronte, permise che parlassero tutti e due insieme, concesse quello che vollero
e si sbarazzò di Petronilla dopo aver combinato con lei che le nozze avrebbero
luogo tra un mese al più tardi. Egli stesso diede parola che pe'l giorno del
matrimonio consegnerebbe a Moschetto sei franchi ed a lei un abito completo
della povera Pepa. Era tutto quanto potesse fare.
Petronilla quindi, piena
di gioia, partì sbattendo gli usci e saltellando in modo che le sue vesti
alzarono nuvole di polvere; Moschetto rimase con la bocca aperta al medesimo
posto e Don Bonomo, affievolito, stanco, di pessimo umore, sarebbe scoppiato in
lagrime.
Suonò l'avemaria; le
campane rimbombavano entro il loro castello e il plesbiterio ne tremava.
- Orvia, spero che mi
porterai da cena - mormorò il cappellano a Moschetto.
Ma i tordi, dimenticati
in cucina, avevano côlto l'occasione per volar via; qualche gatto affamato li
aveva forse messi in salvo e Don Bonomo dovè accontentarsi di mangiar la
polenta sola. Egli si accomodò a tavola con gli occhi chiusi, da persona
rassegnata, e fattosi il segno della croce esclamò più volte:
- Sia rispettata la
volontà del cielo!
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