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Giulio Douhet
Il dominio dell'aria

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  • LIBRO PRIMO
    • PARTE PRIMA     LA NUOVA FORMA DELLA GUERRA
      • CAP. VI   IL DOMINIO DELL'ARIA
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CAP. VI

 

IL DOMINIO DELL'ARIA

 

Dominare l'aria significa trovarsi in grado di impedire al nemico di volare, conservando a se stessi tale facoltà. Mezzi aerei, capaci di trasportare in volo quantità più o meno grandi di proiettili, esistono. La costruzione di una adeguata quantità di tali mezzi aerei non richiede risorse eccezionali. Materie attive, esplodenti, incendiarie e venefiche si fabbricano correntemente. Una flotta aerea atta a rovesciare centinaia e centinaia di tonnellate di tali materie attive è di agevole costituzione. L'ordine di grandezza delle offese aeree, sia dal lato materiale che dal lato morale, è superiore all'ordine di grandezza di tutte le altre offese conosciute.

Chi possegga il dominio dell'aria e disponga di una adeguata forza offensiva, mentre da un lato preserva tutto il proprio territorio ed il proprio mare dalle offese aeree nemiche e toglie all'avversario la possibilità di qualsiasi azione ausiliaria aerea (concorso degli aerei alle operazioni di terra e di mare), dall'altro si trova in grado di esercitare sul nemico azioni offensive di un ordine di grandezza terrificante, contro le quali all'avversario non resta alcun modo di reagire. Mediante tali azioni offensive può tagliare l'esercito e la marina nemica dalle loro basi ed esercitare nell'interno del paese avversario distruzioni d'ogni genere, atte a spezzare rapidamente la resistenza materiale e morale.

Tutto ciò rappresenta una possibilità attuale, non avvenire. E questa possibilità attuale dice che conquistare il dominio significa vincere, ed essere battuti nell'aria significa essere vinti e costretti ad accettare quelle qualsiasi condizioni che al nemico piaccia imporre.

Tale è la conclusione alla quale siamo giunti, partendo da dati di fatto positivi ed attuali e procedendo con un ragionamento logico e serrato.

Tuttavia, siccome da questa conclusione derivano, logicamente, conseguenze di altissimo valore pratico, ma contrastanti, in modo assoluto, al comune modo di vedere, è necessario che ci arrestiamo ancora un momento prima di proseguire.

È intuitivo che l'adozione di un mezzo che permette all'uomo di liberarsi dalla costrizione della superficie, deve indurre conseguenze affatto nuove, senza tradizioni, anzi contrastanti colle tradizioni di ciò che era indissolubilmente legato alla superficie.

D'altra parte, quando, partendo da dati di fatto positivi e sicuri, e ragionando logicamente, direi quasi matematicamente, si giunge a determinate conclusioni, queste conclusioni bisogna accettare quali sono, anche se si presentano in modo originale, anche se si trovano in contraddizione con precedenti abiti mentali o con tradizioni derivate da altri fatti, altrettanto positivi e sicuri, ma di ordine completamente diverso. Altrimenti si giunge a negare la ragione umana.

Così fa il contadino che si ostina a coltivare il suo podere in un certo modo perché così facevano i suoi vecchi, nonostante abbia agio di osservare che, ad esempio, l'uso dei concimi chimici e delle macchine raddoppia o triplica il rendimento della terra. Ma questa pervicacia tradizionale non porta ad altro risultato se non a metterlo in una condizione di inferiorità rispetto ai suoi concorrenti.

Io enunciai il valore del dominio dell'aria dodici anni fa, quando i primi aeroplani cominciavano a starnazzare, non a volare. Da allora cercai di mettere in rilievo l'arma nuova, dissi che l'arma aerea doveva venire considerata la terza sorella dell'Esercito e della Marina; dissi che avremmo visto le migliaia di aeroplani ed avremmo avuto i ministeri dell'aria. Dissi che il dirigibile doveva morire di fronte al nuovo mezzo che avrebbe certamente dominato. E tutto ciò che dissi allora si andò mano mano verificando, esattamente.

Ma non predissi nulla. Mi limitai semplicemente a prendere in esame il nuovo problema, ed a ragionare su dati di fatto positivi, e non esitai ad esporre le conseguenze che trassi dai miei ragionamenti, nonostante che, allora, potessero sembrare, come sembrarono, paradossali. Possedevo la certezza matematica che i fatti mi avrebbero dato ragione. Forse questa certezza derivò in me da un abito mentale positivistico generato dallo studio delle scienze esatte.

Quando, ragionando colla ferrea logica del calcolo, vi fu chi poté assicurare dell'esistenza di un pianeta sconosciuto, fornendo i dati necessari all'astronomo per scoprirlo; quando, ragionando matematicamente, si giunse a scoprire le onde elettro-magnetiche, fornendo ad Hertz i dati per rilevare sperimentalmente; si deve aver fede nella potenza del ragionamento umano, come vi ebbero fede l'astronomo che scoprì materialmente Nettuno, ed Hertz quando cercò di far scoccare la scintilla nell'anello aperto. Ben altrimenti astruse erano queste verità di quelle che, ragionando, io poteva sicuramente affermare.

Ora io domando ai miei lettori che si arrestino a considerare colla propria mente quanto ho esposto - l'argomento lo merita - per giungere ad una conclusione personale esatta e precisa.

Il problema non ammette mezze soluzioni. È o non è. Io dico: bisogna, nella preparazione della Difesa nazionale, mutare completamente indirizzo, perché la forma delle eventuali guerre a venire sarà completamente diversa da quella del passato.

Dico: la grande guerra rappresenta un punto singolare della curva raffigurante l'evoluzione della forma delle guerre; da questo punto tale curva muta completamente direzione, sotto l'impulso di fattori completamente nuovi e completamente differenti da quelli che fino ad ora la determinarono; perciò il passato non c'insegna nulla per l'avvenire, e questo deve venire creato di sana pianta.

Dico: se non si tiene conto di ciò, il Paese verrà sottoposto ad una quantità di sacrifici per apprestare la sua difesa, sacrifici che riusciranno inutili o di un reddito infimo, perché le sue difese non si dimostreranno adatte allo scopo.

Queste affermazioni bisogna negare, se non si intende tener conto di quanto prospetto.

Io domando: è vero o non è vero che il più forte esercito schierato sulle Alpi e la più forte marina battente i nostri mari non potrebbero fare alcunché di praticamente efficace per impedire ad un nemico, all'uopo preparato, di tagliare le nostre Armate e le nostre Squadre dalle loro comunicazioni e di apportare lo scompiglio ed il terrore in tutta Italia?

A questa domanda bisogna rispondere: non è vero, se non si intende predisporre i mezzi adatti, all'infuori dell'Esercito e della Marina, per impedire tali azioni possibili ad un eventuale nostro nemico. A tale domanda, da lungo tempo, io ho risposto: è vero; ed è perciò che ho affrontato e studiato il problema che presentano le nuove forme ed i nuovi mezzi di guerra.

 

Nota. - Nel 1909 scrivevo:

«A noi, che abbiamo vissuto finora inesorabilmente aderenti alla superficie terrestre; a noi, che abbiamo sorriso, quasi con compassione, agli sforzi dei pochi precursori che credevamo illusi, mentre erano dei veggenti; a noi, che possediamo solo eserciti e marine, deve necessariamente sembrare strano che l'atmosfera sia per diventare un campo di lotta non meno importante della terra e del mare. Ma, a questa idea, dobbiamo abituarci fin d'ora, ed alle nuovissime lotte, fin d'ora, prepararci.

«Se possono esistere nazioni non baciate dall'onda del mare, non ne possono esistere che non siano sfiorate dalla carezza dell'aria; avremo dunque, nell'avvenire, tre campi di lotta ben distinti e ben definiti, invece di due: in ognuno di essi la lotta, per quanto con mezzi diversi, dovrà essere coordinata ad un solo scopo, e questo scopo sarà sempre lo stesso: vincere.

«Attualmente, abbiamo la piena coscienza dell'importanza del dominio del mare; non meno importante sarà, fra breve, la conquista del dominio dell'aria, perché solo possedendo il dominio dell'aria, e solo allora, noi potremo usufruire dei vantaggi che si compendiano nella frase: dall'alto si vede bene e si colpisce facilmente, vantaggi di cui non potremo godere pienamente i benefici finché non avremo costretto il nemico a rimanere sulla superficie.

«Si combatterà dunque, ed aspramente, per il dominio dell'aria. E perciò le nazioni civili apparecchieranno e raccoglieranno i mezzi adatti; e, siccome in ogni lotta, a parità di altre condizioni, prevale il numero, così, come è avvenuto e avviene per gli Eserciti e le Marine da guerra, avverrà, per le forze aeree, una gara incessante e frenata solo da contingenze di ordine economico, ed, in causa di questa gara inevitabile, le flotte aeree andranno, man mano, ingrossando ed acquistando importanza. «L'Esercito e la Marina non devono, dunque, vedere negli aerei dei mezzi ausiliari capaci di essere utili in certe determinate circostanze, no: Esercito e Marina debbono, invece, vedere negli aerei il nascere di un terzo fratello, più giovane, ma non meno importante, della grande famiglia guerresca» (I problemi dell'aeronavigazione. Maggiore G. Douhet. Estratto dal giornale: «La preparazione», Roma, 1910).

Oggi, dopo la grande guerra, non ho una parola da modificare a quanto scrissi undici anni fa: il tempo ha confermato le mie deduzioni, non ostante che il concetto del dominio dell'aria non si sia ancora affermato chiaramente.

Di ciò la colpa non è mia, e tale concetto, come non poteva mancare, va oggi affermandosi rapidamente. Specialmente fuori d'Italia.

 

 

 




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