CAP.
VI
IL DOMINIO
DELL'ARIA
Dominare l'aria
significa trovarsi in grado di impedire al nemico di volare, conservando a se
stessi tale facoltà. Mezzi aerei, capaci di trasportare in volo quantità più o
meno grandi di proiettili, esistono. La costruzione di una adeguata quantità di
tali mezzi aerei non richiede risorse eccezionali. Materie attive, esplodenti,
incendiarie e venefiche si fabbricano correntemente. Una flotta aerea atta a
rovesciare centinaia e centinaia di tonnellate di tali materie attive è di
agevole costituzione. L'ordine di grandezza delle offese aeree, sia dal lato
materiale che dal lato morale, è superiore all'ordine di grandezza di tutte le
altre offese conosciute.
Chi possegga il dominio
dell'aria e disponga di una adeguata forza offensiva, mentre da un lato
preserva tutto il proprio territorio ed il proprio mare dalle offese aeree
nemiche e toglie all'avversario la possibilità di qualsiasi azione ausiliaria
aerea (concorso degli aerei alle operazioni di terra e di mare), dall'altro si
trova in grado di esercitare sul nemico azioni offensive di un ordine di
grandezza terrificante, contro le quali all'avversario non resta alcun modo di
reagire. Mediante tali azioni offensive può tagliare l'esercito e la marina
nemica dalle loro basi ed esercitare nell'interno del paese avversario
distruzioni d'ogni genere, atte a spezzare rapidamente la resistenza materiale
e morale.
Tutto ciò rappresenta
una possibilità attuale, non avvenire. E questa possibilità attuale dice che conquistare
il dominio significa vincere, ed essere battuti nell'aria significa essere
vinti e costretti ad accettare quelle qualsiasi condizioni che al nemico
piaccia imporre.
Tale è la conclusione
alla quale siamo giunti, partendo da dati di fatto positivi ed attuali e
procedendo con un ragionamento logico e serrato.
Tuttavia, siccome da
questa conclusione derivano, logicamente, conseguenze di altissimo valore
pratico, ma contrastanti, in modo assoluto, al comune modo di vedere, è
necessario che ci arrestiamo ancora un momento prima di proseguire.
È intuitivo che
l'adozione di un mezzo che permette all'uomo di liberarsi dalla costrizione
della superficie, deve indurre conseguenze affatto nuove, senza tradizioni,
anzi contrastanti colle tradizioni di ciò che era indissolubilmente legato alla
superficie.
D'altra parte, quando,
partendo da dati di fatto positivi e sicuri, e ragionando logicamente, direi
quasi matematicamente, si giunge a determinate conclusioni, queste conclusioni
bisogna accettare quali sono, anche se si presentano in modo originale, anche
se si trovano in contraddizione con precedenti abiti mentali o con tradizioni
derivate da altri fatti, altrettanto positivi e sicuri, ma di ordine
completamente diverso. Altrimenti si giunge a negare la ragione umana.
Così fa il contadino che
si ostina a coltivare il suo podere in un certo modo perché così facevano i
suoi vecchi, nonostante abbia agio di osservare che, ad esempio, l'uso dei
concimi chimici e delle macchine raddoppia o triplica il rendimento della
terra. Ma questa pervicacia tradizionale non porta ad altro risultato se non a
metterlo in una condizione di inferiorità rispetto ai suoi concorrenti.
Io enunciai il valore
del dominio dell'aria dodici anni fa, quando i primi aeroplani cominciavano a starnazzare,
non a volare. Da allora cercai di mettere in rilievo l'arma nuova, dissi che
l'arma aerea doveva venire considerata la terza sorella dell'Esercito e della
Marina; dissi che avremmo visto le migliaia di aeroplani ed avremmo avuto i
ministeri dell'aria. Dissi che il dirigibile doveva morire di fronte al nuovo
mezzo che avrebbe certamente dominato. E tutto ciò che dissi allora si andò
mano mano verificando, esattamente.
Ma non predissi nulla.
Mi limitai semplicemente a prendere in esame il nuovo problema, ed a ragionare
su dati di fatto positivi, e non esitai ad esporre le conseguenze che trassi
dai miei ragionamenti, nonostante che, allora, potessero sembrare, come
sembrarono, paradossali. Possedevo la certezza matematica che i fatti mi
avrebbero dato ragione. Forse questa certezza derivò in me da un abito mentale
positivistico generato dallo studio delle scienze esatte.
Quando, ragionando colla
ferrea logica del calcolo, vi fu chi poté assicurare dell'esistenza di un
pianeta sconosciuto, fornendo i dati necessari all'astronomo per scoprirlo;
quando, ragionando matematicamente, si giunse a scoprire le onde
elettro-magnetiche, fornendo ad Hertz i dati per rilevare sperimentalmente; si
deve aver fede nella potenza del ragionamento umano, come vi ebbero fede
l'astronomo che scoprì materialmente Nettuno, ed Hertz quando cercò di far
scoccare la scintilla nell'anello aperto. Ben altrimenti astruse erano queste
verità di quelle che, ragionando, io poteva sicuramente affermare.
Ora io domando ai miei
lettori che si arrestino a considerare colla propria mente quanto ho esposto -
l'argomento lo merita - per giungere ad una conclusione personale esatta e
precisa.
Il problema non ammette
mezze soluzioni. È o non è. Io dico: bisogna, nella preparazione della Difesa
nazionale, mutare completamente indirizzo, perché la forma delle eventuali
guerre a venire sarà completamente diversa da quella del passato.
Dico: la grande guerra
rappresenta un punto singolare della curva raffigurante l'evoluzione della
forma delle guerre; da questo punto tale curva muta completamente direzione,
sotto l'impulso di fattori completamente nuovi e completamente differenti da
quelli che fino ad ora la determinarono; perciò il passato non c'insegna nulla
per l'avvenire, e questo deve venire creato di sana pianta.
Dico: se non si tiene
conto di ciò, il Paese verrà sottoposto ad una quantità di sacrifici per
apprestare la sua difesa, sacrifici che riusciranno inutili o di un reddito
infimo, perché le sue difese non si dimostreranno adatte allo scopo.
Queste affermazioni
bisogna negare, se non si intende tener conto di quanto prospetto.
Io domando: è vero o non
è vero che il più forte esercito schierato sulle Alpi e la più forte marina
battente i nostri mari non potrebbero fare alcunché di praticamente efficace
per impedire ad un nemico, all'uopo preparato, di tagliare le nostre Armate e
le nostre Squadre dalle loro comunicazioni e di apportare lo scompiglio ed il
terrore in tutta Italia?
A questa domanda bisogna
rispondere: non è vero, se non si intende predisporre i mezzi adatti,
all'infuori dell'Esercito e della Marina, per impedire tali azioni possibili ad
un eventuale nostro nemico. A tale domanda, da lungo tempo, io ho risposto: è vero;
ed è perciò che ho affrontato e studiato il problema che presentano le nuove
forme ed i nuovi mezzi di guerra.
Nota. - Nel 1909
scrivevo:
«A noi, che abbiamo
vissuto finora inesorabilmente aderenti alla superficie terrestre; a noi, che
abbiamo sorriso, quasi con compassione, agli sforzi dei pochi precursori che
credevamo illusi, mentre erano dei veggenti; a noi, che possediamo solo
eserciti e marine, deve necessariamente sembrare strano che l'atmosfera sia per
diventare un campo di lotta non meno importante della terra e del mare. Ma, a
questa idea, dobbiamo abituarci fin d'ora, ed alle nuovissime lotte, fin d'ora,
prepararci.
«Se possono esistere
nazioni non baciate dall'onda del mare, non ne possono esistere che non siano
sfiorate dalla carezza dell'aria; avremo dunque, nell'avvenire, tre campi di
lotta ben distinti e ben definiti, invece di due: in ognuno di essi la lotta,
per quanto con mezzi diversi, dovrà essere coordinata ad un solo scopo, e
questo scopo sarà sempre lo stesso: vincere.
«Attualmente, abbiamo la
piena coscienza dell'importanza del dominio del mare; non meno importante sarà,
fra breve, la conquista del dominio dell'aria, perché solo possedendo il
dominio dell'aria, e solo allora, noi potremo usufruire dei vantaggi che si
compendiano nella frase: dall'alto si vede bene e si colpisce facilmente,
vantaggi di cui non potremo godere pienamente i benefici finché non avremo
costretto il nemico a rimanere sulla superficie.
«Si combatterà dunque,
ed aspramente, per il dominio dell'aria. E perciò le nazioni civili
apparecchieranno e raccoglieranno i mezzi adatti; e, siccome in ogni lotta, a
parità di altre condizioni, prevale il numero, così, come è avvenuto e avviene
per gli Eserciti e le Marine da guerra, avverrà, per le forze aeree, una gara
incessante e frenata solo da contingenze di ordine economico, ed, in causa di
questa gara inevitabile, le flotte aeree andranno, man mano, ingrossando ed
acquistando importanza. «L'Esercito e la Marina non devono, dunque, vedere negli aerei dei
mezzi ausiliari capaci di essere utili in certe determinate circostanze, no:
Esercito e Marina debbono, invece, vedere negli aerei il nascere di un terzo
fratello, più giovane, ma non meno importante, della grande famiglia guerresca»
(I problemi dell'aeronavigazione. Maggiore G. Douhet. Estratto dal
giornale: «La preparazione», Roma, 1910).
Oggi, dopo la grande
guerra, non ho una parola da modificare a quanto scrissi undici anni fa: il
tempo ha confermato le mie deduzioni, non ostante che il concetto del dominio
dell'aria non si sia ancora affermato chiaramente.
Di ciò la colpa non è
mia, e tale concetto, come non poteva mancare, va oggi affermandosi
rapidamente. Specialmente fuori d'Italia.
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