CAP.
XIX
AVIAZIONE
AUSILIARIA
Con l'espressione Aviazione
ausiliaria dell'Esercito e della Marina ho appunto chiamato quel complesso
di mezzi aviatorii che sono utilizzati rispettivamente dall'Esercito e dalla
Marina per agevolare od integrare le loro azioni, nel campo della zona di
azione.
Se l'aviazione
ausiliaria dell'Esercito e l'aviazione ausiliaria della Marina fanno parte
integrante dell'Esercito e della Marina:
1. Debbono comprendersi,
rispettivamente, nei bilanci dell'Esercito e della Marina;
2. Debbono venir messe
alla diretta dipendenza, rispettivamente, dell'uno e dell'altra, in modo completo
ed assoluto, a cominciare dall'organizzazione per finire coll'impiego.
Non c'è nessuna ragione
perché l'aviazione ausiliaria dell'Esercito - e tutto ciò che si riferisce a
questa sta, analogamente, per quella della Marina - gravi su di un bilancio a
parte. Al contrario: l'aviazione ausiliaria dell'Esercito deve risultare
proporzionata alla forza ed alla formazione di questo, ciò che non potrebbe
avvenire se dovesse proporzionarsi ad un bilancio indipendente.
Competente a determinare
l'organizzazione dell'aviazione ausiliaria dell'Esercito è l'ente cui compete
determinare l'organizzazione dell'Esercito, e non altri, perché è questo ente
che possiede tutti i dati necessari a stabilire quali e quanti debbono essere i
mezzi aviatorii atti ad agevolare ed integrare le azioni delle armi terrestri.
Non c'è nessuna ragione che questo ente, mentre determina, ad esempio, la
formazione delle unità di artiglieria, non includa in tali formazioni, oltre le
bocche da fuoco, le munizioni, il carreggio, ecc., anche gli aeroplani
necessari al controllo del tiro.
L'aviazione ausiliaria
dell'Esercito, facendo parte integrante ed inscindibile di questo, deve essere
messa alla dipendenza diretta di esso, sia dal lato disciplinare che di impiego
e di istruzione. Se si ritiene utile di dare ai Comandi di grandi unità, ad
esempio, mezzi aerei di ricognizione, tali mezzi debbono venir messi alla
diretta dipendenza dei Comandi di grandi unità che rispettivamente dovranno
servirsene, affinché, fino dal tempo di pace, i Comandi stessi possano rendersi
esatto conto di quanto dai mezzi aviatorii di cui dispongono possono richiedere
e pretendere, e perché le unità aviatorie, a loro volta, possano, mediante il
continuo contatto, affiatarsi in modo da fornire il massimo rendimento.
Ciò, oltre a
corrispondere a logici concetti organizzativi e di impiego, evita dannosi
dualismi, facili a prodursi allorché l'aviazione ausiliaria risulta pressoché
indipendente dall'Esercito.
Per giungere ad adottare
questo primo principio di organizzazione è necessario vincere un preconcetto
che finora ha gravato sulle relazioni fra aviazione ed Esercito, e cioè che
l'aviazione sia qualche cosa di tecnico da doversi lasciare in mano di tecnici
specialisti; preconcetto originato dalla cosa nuova, della cui essenza non si
sono occupati, appunto, che pochi specialisti.
Vincere questa
resistenza è facile quando si ponga il problema nei suoi termini esatti.
L'aviazione militare si
vale di mezzi tecnici e di personale che deve possedere una speciale istruzione
tecnica, ma in quanto arma, deve rispondere a requisiti d'impiego come arma.
L'aviazione di artiglieria ha bisogno di apparecchi che volino e di personale
che sappia guidare gli apparecchi che volano, ma impiega gli apparecchi ed il
personale a scopo di controllo del tiro, perciò gli uni e l'altro debbono,
volando, rispondere a questo scopo: non rispondendovi, risulterebbero,
all'artiglieria, perfettamente inutili.
È l'artiglieria che,
conoscendo le sue necessità, deve dire quali requisiti debbono presentare gli
apparecchi per rispondervi, ed è ad essa che spetta impartire l'istruzione
speciale che abilita il personale della sua aviazione e coadiuvarla nel modo
migliore.
Così l'artiglieria,
studiato il problema, potrebbe dire, ad esempio: - mi occorrono apparecchi che
permettano la facile osservazione, che siano provvisti di radiotelegrafia a
bordo, che possano atterrare su campi ristretti, ecc.; - ed esaminati alla
stregua delle sue necessità gli apparecchi che le fossero presentati, dovrebbe
scegliere l'apparecchio che, a suo giudizio, meglio risponde ai suoi scopi.
I tecnici d'aviazione
non dovrebbero rispondere che delle qualità aeronautiche dell'apparecchio,
sulle quali solo essi sono competenti, non mai essere abilitati a giudicare
delle qualità di impiego, sulle quali non lo possono essere.
Potrebbe darsi che per
determinati servizi l'Esercito richiedesse apparecchi possedenti requisiti non
ancora concretati, requisiti, dirò così, desiderabili. In questo caso,
starebbe ai tecnici di aviazione di studiare il modo di rispondere ai requisiti
desiderabili. Ciò fornirebbe alla tecnica un indirizzo ai suoi studi,
evitandole di divagare nella concretazione di apparecchi, all'atto pratico,
inutilizzabili.
Per non chiedere dagli
apparecchi requisiti di impiego assurdi - ad esempio, che l'apparecchio si
fermi nell'aria - è sufficiente possedere, sull'argomento, quelle nozioni di
carattere generale che costituiscono il comune patrimonio di coltura; ed è
certo che, quando a chi è destinato a impiegare l'aviazione fosse devoluta la
responsabilità della sua scelta, la coltura aeronautica non tarderebbe a
divenire comune.
In definitiva, i tecnici
d'aviazione non dovrebbero provvedere se non apparecchi che volino bene, nella
misura e nella qualità che loro venisse richiesta, ed a fornire al personale
l'istruzione prettamente aviatoria per la condotta e l'uso degli apparecchi. In
questo modo ognuno rimarrebbe nella propria competenza ed assumerebbe la piena
responsabilità dei suoi atti, e si eviterebbe qualsiasi dannosa interferenza.
Avendo dichiarato che
l'organizzazione dell'Aviazione ausiliaria dell'Esercito è di competenza
dell'Ente che presiede alla organizzazione dell'Esercito, non entrerò
assolutamente nel merito di essa: dirò solo, e per evitare una obbiezione di
carattere prematuro, che, come avrò agio di dimostrare, il fatto di assegnare
all'Esercito la sua aviazione ausiliaria non implica affatto una
moltiplicazione di organi.
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