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Paolo Valera
La catastrofe degli czars

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  • Rasputin.
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Rasputin.

 

Io sfondo delle porte aperte. Il porcone è di tutti. Tutti ne hanno parlato, tutti si sono impadroniti della sua turpe esistenza, dal giorno della sua nascita al giorno della sua morte. Rasputin è stato biografato da una specie di diarista che ne registrava i pensieri, le voluttà peccaminose, le confessioni, le parole memorabili. Durante l'impero, l'ex-religioso Eliodoro aveva condensato alla chetichella gli episodi più chiassosi della vita di Grigori Rasputin — l'ultimo «santo» dell'ultimo Romanov. Nel libro di questo fattista religioso c'era una fortuna. Avrebbe avute tirature zoliane. Se ne cercava il manoscritto con somme favolose. La czarina lo faceva rincorrere da tutti i suoi limiers senza badare a spese. Gli editori imperiali offrivano 200, 300 mila rubli. Un ministro russo è andato al mezzo milione. Non si badava a somme. Ma l'autore non era preparato a cedere il suo collo al boia. Andò via, prese il largo, uscì dalla Russia e non permise neanche all'estero di dare una capatina ai suoi manoscritti. Un editore americano è andato oltre l'offerta del ministro Rasputin, che gli aveva scritto molte lettere documentali, gli aveva messo alle calcagna spioni, capaci di impadronirsi di lui anche sul suolo straniero. Non è che dopo la morte del pornografo imperiale che i suoi giustizieri hanno potuto indurre Eliodoro a cederlo o a pubblicarlo in Pietrogrado. Andò a ruba. Uscì simultaneamente in quattro lingue. Per la reggia fu uno scandalo senza precedenti. Il diarista non aveva avuto pietà veli. Latude, dalla Bastiglia, aveva fatto credere di essere pieno di «rivelazioni» sui personaggi della reggia, specialmente sulla Pompadour. Gli è costata la ripresa della Bastiglia. Il biografo di Rasputin non era un parolaio. Aveva caricato un 420 di fatti che dovevano far saltare la famiglia reale. Fu così. Il libro non appena in vendita fu di tutti. Tutti lo leggevano, tutti ne parlavano, tutti si domandavano se potevano essere fandonie della speculazione. Vi si facevano nomi, vi si narravano scene oscene, vi si trovavano le donne della più alta nobiltà e della più alta borghesia svestite, messe in letto col santocchione che troneggiava al palazzo di Zarkoie-Selo. Era tutto un troiaio. Era una mina che andava a urtare la nave imperiale per affondarla. Di più. Era un potente contributo alla storia della casa dinastica che doveva finire come è finita alla sepoltura.

Grigori Rasputin al palazzo imperiale era sommo. Al dorso dello Czar egli dirigeva la Duma, frantumava gli avversari della casa imperiale, bandiva dalla Corte i gentiluomini, i cortigiani che non gli piacevano, sostituiva i ministri, metteva alla porta dell'impero chiunque nuocesse al suo arrivismo, alla sua ascensione. L'imperatrice era dominata dal «santo». Si appendeva alle sue labbra, non trovava requie che quando posava la testa sulle spalle del ciarlatano e godeva mezzo mondo a farsi portare a letto sulle sue poderose braccia. Sovente se lo trascinava nel letto nuziale e ve lo teneva fino all'aurora, fino alla stanchezza, fino all'esaurimento. La Duma strepitava. Moderati, cadetti, ottobristi, travaglisti hanno denunciato il carnaio imperiale. L'opinione pubblica era turbolenta. Soffiava nel palazzo della coppia criminale come una burrasca di collera. Lo Czar fustigato dalla tempesta era uscito dalla sua indifferenza e aveva pregato l'illustre faccendiere di ritornare alla sua Siberia fino a tempi migliori. L'imperatrice piangeva dirottamente. Si strappava i capelli come una rivendugliola dei mercati. Non voleva staccarsene. Lo Czar dovette essere sordo. Lo caricò di regali e lo fece partire. Rasputin conosceva il suo prestigio. Egli sapeva che in palazzo non si sarebbe potuto vivere senza la di lui presenza. Egli si sentiva indispensabile. Andava e diceva a se stesso che non sarebbe arrivato a Mosca senza il telegramma che lo avrebbe richiamato. Fu così. Due giorni dopo era al suo posto. Egli vi era ritornato più fiero, più sovrano del sovrano, più dittatore di prima. Lo Czar non lasciava trapelare a nessuno, i suoi sentimenti. Ascoltava coloro che glielo rimproveravano in silenzio. Un giorno gli è arrivato un amico del padre dell'imperatore, luogotenente generale del Caucaso, tutto impressionato della cronaca scandalosa che imperversava nel territorio della sua influenza. Adesso, gli disse, bisogna che io te ne parli. Sai tu che coi tuoi Rasputin la tua casa andrà in malora? Tu giuochi il trono di tuo figlio! Il vecchio servitore fu eloquente. Credeva di avere turbato il monarca affondato nel divano con il mento in una mano. Pensieroso, scoppiò in singhiozzi. «Perchè Dio, disse, mi ha affidato un còmpito così grave?» Il luogotenente se ne andò commosso della commozione dello Czar di tutte le Russie.

All'indomani, invitato a colazione, rivide lo Czar in una parte del parco che giuocava col figlio e con Rasputin! Il paesano sadico, vestito da santone, vinceva tutti. Egli era onnipotente.

Un altro giorno lo scoperse nel gabinetto di lavoro dove lo Czar, facendo delle firme che costavano alla nazione 450 lire al minuto. Rasputin discuteva con l'imperatore!

La sua dimestichezza con l'ultimo Romanov era tale che anche in viaggio si telegrafavano a vicenda come colleghi. Erano scambi di frasi sguaiate e confidenziali, avvertimenti o congratulazioni. Malgrado il libertinaggio del monaco, le sue galanterie troiesche e le sue seduzioni, lo Czar rimaneva il suo intimo amico. Non parliamo poi della moglie. L'imperatrice Alessandra Feodorowna era la sua ganza. Rasputin la chiamava la sua «mamà». Eliodoro, il descrittore, diceva che l'Imperatrice era folle di lui. Si era perfino posta negli appartamenti la concubina di Rasputin per averlo più sovente con lei. La concubina era una malmaritata, certa Vyrubov; figlia maggiore di un «dignitario» di Corte, divenuta la più intima della Czarina e ammazzata con lei in Pietro e Paolo, la Bastiglia di Pietrogrado.

Udite le confessioni del concupiscente monaco. «Quando vado dagli Czar passo tutta la giornata nella camera dell'imperatrice. L'abbraccio, essa mi stringe al petto, posa il capo sulla mia spalla e io me la porto in braccio per la stanza, come una bambina. Questo le piace e lo faccio molte volte. Vado anche di frequente nella camera dei ragazzi che mi adorano e coi quali gioco tutto il giorno. Quando vado dall'imperatore incontro qualche volta dei re stranieri. Una volta ne vidi uno nel gabinetto dello Czar ma non ho saputo chi fosse. Non l'hanno nominato. Ho salutato e sono andato dall'imperatrice.

«Il re del Montenegro mi ha visto in sogno. Era ammalato. Stava molto male. Ha visto in sogno un contadino che gli ha detto: sta di buon animo, fra tre giorni sarai guarito. E così è avvenuto. Lo ha scritto a sua figlia Militza. Questa ha preso il mio ritratto e glielo ha mandato. Il re del Montenegro ha risposto che il contadino era proprio Rasputin».

In un'altra parte del libro il monaco dissoluto che aveva conquistato e fatto strage delle donne di Corte e intorno la Corte, delibando, deflorando, stuprando, palpeggiando, gualcendo le carni delle giovani, delle maritate, delle divorziate e delle incontinenti, confessa la sua potenza politica.

— Non immaginartidiceva a Eliodoro — che sia facile parlare allo Czar e a sua moglie. No, è difficile. Talvolta si hanno le labbra gonfie di sangue e crespate. Essi mi consultano su tutto, sulla guerra e sulla Duma, sui ministri. Lo Czar e la Czarina non possono fare senza di me, quantunque sia loro penoso di udire le rimostranze di un contadino (mujik). Mi ascoltano. La «mamma» mi considera un «santo». Più che un santo: un grand'uomo. Una volta lo Czar dice questo e io dico quest'altro. Il rossore sale alle sue guance, trema di collera, ma ubbidisce. Egli non può alitare senza di me. Egli mi dice sempre: Grigori, vieni spesso a trovarci. Quando tu sei qui, noi siamo contenti, gioiosi, consolati. Vieni, non domandarmi però nulla. Tu sai che io ti voglio bene e che io sarò sempre pronto a fare ciò che tu vorrai, ma mi è talvolta difficile aderire ai tuoi desiderî, perchè tu domandi una cosa e i ministri un'altra, ed essi non t'amano, specialmente Stolypine.

«Il tesoro della Corte è a mia disposizione. Solo, l'imperatrice è un po' avara. Se le si domandano mille rubli essa non dice niente; li , ma se le ne chiedono dieci mila, per esempio, discute. Ella vuol sapere dove andrà a finire il denaro. Se glielo si spiega ne anche venti mila. Una volta l'imperatore mi disse:

Grigori, Stolypine mi spiace per la sua insolenza. Che devo fare?

— Tu non hai che da soggiogarlo con la tua semplicità.

— Come?

Indossa una semplice blusa da paesano e ricevilo quando viene con un documento.

È ciò che fece. Stolypine entrò, vide lo Czar e disse:

— Come vostra maestà è vestita modestamente!

Lo Czar rispose:

Dio stesso si compiace della semplicità.

Queste parole tapparono la bocca a Stolypine e lo resero più docile».

A noi, miscredenti o atei o antisuperstiziosi, queste rivelazioni sembrano invenzioni cerebrali di Rasputin. Non ai russi. Di bassi Rasputin ce ne sono in tutti i ceti. In suburra, nei bassi fondi, negli ambienti delle persone rispettabili e su su fino alla gerarchia massima del mondo sociale. Non c'è regnante russo che non abbia avuto il suo Rasputin. Quello di Nicola I si chiamava Ivan Korcicia. Quello di Alessandro III, morto a Livadia, in Crimea, era il famigerato prete Giovanni di Kronstad. Nelle due capitali sono venerate le sètte dei flagellanti come nei conventi italiani. Se ottenete di assistere alle rappresentazioni notturne nella chiesa del convento di Monforte vi strofinate gli occhi. Voi vedrete una ressa di uomini ignoranti e nudi che si cinghia, si scudiscia le carni per liberarsi dalle tentazioni. In borghesia trovate tutto. L'indovina che vi predice il futuro con un mazzo di carte. La donna che lascia cadere l'albume in una tazza di cristallo boemo e dai filamenti ne trae il vostro avvenire. Vi dice tutto. Se siete amata, se avrete fortuna, se erediterete per la gioventù o per la vecchiaia.

Rasputin era un novatore atavico. Portava nel suo sangue una caterva di preditori. Si era messo nella testa di avere una missione, di spegnere nella donna l'animalità sessuale. La sua teoria era pratica. Andava in letto e diceva alle signore che si sottomettevano all'azione, che per vuotarsi dei sensi maligni bisognava peccare. Vinceva le tentazioni delle signore altolocate con la fornicazione. Subìta la prova, divenivano invulnerabili come il guaritore. La donna si abbandonava e ubbidiva. La penitente era provocata con tutti i lenocinii della parola e del tatto. Egli la convertiva con i suggimenti, con gli allettamenti, con i titillamenti. Se resisteva a tutti questi piaceri carnali la donna era guarita. Si alzava rigenerata. Rasputin era sboccato. Molto sboccato. Si serviva del dizionario indecente dei libertini. Era un porcellone. Stuprava le orecchie delle vergini e delle sverginate. Provocava. Gli esempi rasputiniani sono infiniti. Una volta si è messo in letto fra due monache portate fuori da un convento claustrale. Le ha delibate e le ha restituite al convento come atte alla prova del fuoco. Più volte si immergeva nel bagno con più di una donna, le quali erano incaricate di provocarlo e constatare la sua passività. «La lotta contro la carne non era più per lui un godimento cristiano. — A me carezzare una donna diceva — non fa nulla. Per sottrarmi al peccato non faccio altro che guidare il desiderio dal ventre al cervello». Era il suo antidoto. La donna che lo palpeggiava si alzava libera da tutti i diavoli della tentazione. La sua profilassi aveva ottenuto un successone. Le donne se lo contendevano. Facevano ressa alla casa dove sedava le passioni. Gli do la parola: «Una volta sono partito da Pietroburgo con la moglie del generale Loktin, con Mary, Elena e qualche altra. Siamo andati al convento di Verkoturle. Il priore mi ha ceduto la sua cella ed è andato altrove a pregare. Le donne hanno voluto che mi spogliassi per toccare il mio corpo nudo e purificarsi. Che fare con delle stupide donne? Non c'è da discutere. Ti spoglierebbero loro stesse. Poi le ho condotte tutte al bagno. Quando fummo tutti spogliati ho detto loro che sono senza passioni. Esse si sono inchinate e hanno baciato il mio corpo». Che volete? le donne impazzivano intorno a lui. «L'altra notte la Mary e la Loktin si strapparono i capelli per il diritto di coricarsi a destra piuttosto che a sinistra del mio letto».

Della sua influenza non è dubbio. È in tutti i libri. Ha un posto più largo della coppia imperiale. È creduto il dominatore di questa lunga alba del secolo XX. Alla gente sennata faceva ribrezzo. Non pochi signori e signore stomacati di lui volevano farlo sparire con un delitto. Ma si sapeva che Rasputin era pedinato e protetto dalla polizia segreta. Si arrischiava l'impiccagione. Gli si mandavano centinaia di lettere al giorno piene di minacce e di insolenze. Si è complottato contro di lui. Una sola volta, alla vigilia della guerra, una brutta donna ch'egli mandava all'inferno col «Vattene!» gli ha piantato il coltello all'addome: ferita che lo ha tenuto fra la vita e la morte per qualche giorno. Poco dopo ha potuto telegrafare all'imperatrice «Una canaglia mi ha piantato il suo pugnale nel ventre. Ma grazie a Dio sono vivo. Grigori». Gli ha risposto lo Czar: «Siamo afflitti di ciò che vi accadde». Più tardi: «Siamo felici della riuscita operazione». Tuttavia l'odio cresceva per Rasputin. Egli faceva il ministro, prorogava o scioglieva la Duma. movimentava i generali, e si occupava più lui dell'impero che l'imperatore. Un ministro dell'interno andava dicendo che il posto dell'impostore sarebbe stato più con lo Czar celeste che con lo Czar terrestre. I granduchi e l'alta aristocrazia che avevano fiutato il vento nazionale, e che esecravano il ciurmadore che li teneva lontani dalla reggia, pensarono che per salvare il trono era indispensabile la morte di Grigori, uno zoticone che aveva stregato l'imperatore e l'imperatrice. Il principe Jussupov assunse il compito di distruggerlo. Diceva ai capi della Duma che tutti i mali legislativi venivano da Rasputin: l'infame consigliere dello Czar e della Czarina. «La sua influenza sull'imperatore e sull'imperatrice è straordinaria. Se si dicesse al sovrano che tutto il paese e tutto l'esercito lo hanno abbandonato, ma che Rasputin è con lui, egli guarderebbe tranquillamente l'avvenire. È Rasputin che nomina i ministri e dirige gli affari di Stato. Vi assicuro che l'imperatore consentirebbe a un Ministero responsabile, a una costituzione, se Rasputin fosse all'altro mondo. Con lui non c'è niente da fare. L'imperatore è completamente nelle sue mani. Ecco perchè siamo decisi a farlo sparire. Egli deve sparire. Sparirà.

— Come?

— Egli è vendibile: o comperarlo o ucciderlo.

— Chi lo ucciderà, principe?

— I cento neri.

Ci fu una discussione che ascese fino agli epiteti. I membri della Duma dicevano che ai neri non si poteva accordare l'impunità dell'omicidio e nessun bianco onesto avrebbe accettato il còmpito del sicario.

— Avete ragione, agirò io stesso.

Perchè non la si credesse una congiura di palazzo, volle che fosse presente alla tragedia un deputato e si scelse l'onorevole Puritkevic.

Sulla morte del taumaturgo ci sono parecchie versioni. Il principe nella sera del 17 dicembre 1916 aveva invitato a cena i congiurati: due dei quali sarebbero andati a prendere Rasputin alla sua abitazione. Al palazzo vi era ricevimento. Sedevano a tavola il granduca Dmitri Pavlovic, il principe Jussupov, la ballerina Coralli, il deputato Puritkevic e un ufficiale. Durante la cena scoppiò una contesa. Uno dei commensali fece fuoco su Rasputin. Il secondo colpo fu tirato dall'onorevole. Il sudicione cadde riverso.

Al palazzo di Tauride la versione era che Rasputin fosse stato assassinato in automobile. La terza versione è questa: che i congiurati tirassero a sorte a chi toccava ammazzarlo. Smontato dall'automobile i giustizieri lo avrebbero trascinato nel giardino e , con due palle, lo avrebbero finito. Il cadavere sarebbe stato ricaricato e gettato nella piccola Neva. Egli era stato colpito alla testa e al petto.

Grigori Rasputin aveva cinquant'anni. Di statura superiore alla media. La sera della sua fine vestiva un camiciotto celeste ricamato sulla camicia bianca. Calcava alti stivaloni di capretto. Teneva al collo una costosa catena d'oro. Capelli castani. Baffi e barba frateschi. Dentatura d'avorio. Viso e camicia chiazzati di sangue.

Si crede fosse ubbriaco fradicio. Gli si sono trovati nello stomaco venti cucchiaiate di liquido bruno puzzante fortemente di alcool.

L'assassinio del sudicione siberiano è passato per il regno come una bufera che spazzasse via l'antico regime pieno di ulceri e di cancri imperiali. L'odore della carogna pescata nel fiume ammorbava tutte le città attraversate dal turbine. Nasceva una gioia segreta. La morte del ciarlatano aveva l'importanza della morte del «piccolo padre» che aveva tentato di schiantare il dorsale alla Russia nuova. Il vento furioso si arrestava per i cervelli come per sloggiarvi l'antica paura dei giorni del despota. L'anima si consolava. La rivoluzione ruggiva. Non era più che a pochi passi. Campane, suonate a stormo. L'imperatore del terrore è morente. In tutte le città fuochi di gioia.

 




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