Io sfondo delle porte aperte. Il
porcone è di tutti. Tutti ne hanno parlato, tutti si sono impadroniti della sua
turpe esistenza, dal giorno della sua nascita al giorno della sua morte.
Rasputin è stato biografato da una specie di diarista che ne registrava i
pensieri, le voluttà peccaminose, le confessioni, le parole memorabili. Durante
l'impero, l'ex-religioso Eliodoro aveva condensato alla chetichella gli episodi
più chiassosi della vita di Grigori Rasputin — l'ultimo «santo» dell'ultimo
Romanov. Nel libro di questo fattista religioso c'era una fortuna. Avrebbe
avute tirature zoliane. Se ne cercava il manoscritto con somme favolose. La
czarina lo faceva rincorrere da tutti i suoi limiers senza badare a
spese. Gli editori imperiali offrivano 200, 300 mila rubli. Un ministro russo è
andato al mezzo milione. Non si badava a somme. Ma l'autore non era preparato a
cedere il suo collo al boia. Andò via, prese il largo, uscì dalla Russia e non
permise neanche all'estero di dare una capatina ai suoi manoscritti. Un editore
americano è andato oltre l'offerta del ministro Rasputin, che gli aveva scritto
molte lettere documentali, gli aveva messo alle calcagna spioni, capaci di
impadronirsi di lui anche sul suolo straniero. Non è che dopo la morte del
pornografo imperiale che i suoi giustizieri hanno potuto indurre Eliodoro a
cederlo o a pubblicarlo in Pietrogrado. Andò a ruba. Uscì simultaneamente in
quattro lingue. Per la reggia fu uno scandalo senza precedenti. Il diarista non
aveva avuto nè pietà nè veli. Latude, dalla Bastiglia, aveva fatto credere di
essere pieno di «rivelazioni» sui personaggi della reggia, specialmente sulla
Pompadour. Gli è costata la ripresa della Bastiglia. Il biografo di Rasputin
non era un parolaio. Aveva caricato un 420 di fatti che dovevano far saltare la
famiglia reale. Fu così. Il libro non appena in vendita fu di tutti. Tutti lo
leggevano, tutti ne parlavano, tutti si domandavano se potevano essere fandonie
della speculazione. Vi si facevano nomi, vi si narravano scene oscene, vi si
trovavano le donne della più alta nobiltà e della più alta borghesia svestite,
messe in letto col santocchione che troneggiava al palazzo di Zarkoie-Selo. Era
tutto un troiaio. Era una mina che andava a urtare la nave imperiale per
affondarla. Di più. Era un potente contributo alla storia della casa dinastica
che doveva finire come è finita alla sepoltura.
Grigori Rasputin al palazzo imperiale
era sommo. Al dorso dello Czar egli dirigeva la Duma, frantumava gli avversari della casa imperiale, bandiva dalla Corte i gentiluomini, i cortigiani che non gli
piacevano, sostituiva i ministri, metteva alla porta dell'impero chiunque
nuocesse al suo arrivismo, alla sua ascensione. L'imperatrice era dominata dal
«santo». Si appendeva alle sue labbra, non trovava requie che quando posava la
testa sulle spalle del ciarlatano e godeva mezzo mondo a farsi portare a letto
sulle sue poderose braccia. Sovente se lo trascinava nel letto nuziale e ve lo
teneva fino all'aurora, fino alla stanchezza, fino all'esaurimento. La Duma strepitava. Moderati, cadetti, ottobristi, travaglisti hanno denunciato il carnaio
imperiale. L'opinione pubblica era turbolenta. Soffiava nel palazzo della
coppia criminale come una burrasca di collera. Lo Czar fustigato dalla tempesta
era uscito dalla sua indifferenza e aveva pregato l'illustre faccendiere di
ritornare alla sua Siberia fino a tempi migliori. L'imperatrice piangeva dirottamente.
Si strappava i capelli come una rivendugliola dei mercati. Non voleva
staccarsene. Lo Czar dovette essere sordo. Lo caricò di regali e lo fece
partire. Rasputin conosceva il suo prestigio. Egli sapeva che in palazzo non si
sarebbe potuto vivere senza la di lui presenza. Egli si sentiva indispensabile.
Andava e diceva a se stesso che non sarebbe arrivato a Mosca senza il
telegramma che lo avrebbe richiamato. Fu così. Due giorni dopo era al suo
posto. Egli vi era ritornato più fiero, più sovrano del sovrano, più dittatore
di prima. Lo Czar non lasciava trapelare a nessuno, i suoi sentimenti.
Ascoltava coloro che glielo rimproveravano in silenzio. Un giorno gli è
arrivato un amico del padre dell'imperatore, luogotenente generale del Caucaso,
tutto impressionato della cronaca scandalosa che imperversava nel territorio
della sua influenza. Adesso, gli disse, bisogna che io te ne parli. Sai tu che
coi tuoi Rasputin la tua casa andrà in malora? Tu giuochi il trono di tuo
figlio! Il vecchio servitore fu eloquente. Credeva di avere turbato il monarca
affondato nel divano con il mento in una mano. Pensieroso, scoppiò in
singhiozzi. «Perchè Dio, disse, mi ha affidato un còmpito così grave?» Il
luogotenente se ne andò commosso della commozione dello Czar di tutte le
Russie.
All'indomani, invitato a
colazione, rivide lo Czar in una parte del parco che giuocava col figlio e con
Rasputin! Il paesano sadico, vestito da santone, vinceva tutti. Egli era
onnipotente.
Un altro giorno lo scoperse nel
gabinetto di lavoro dove lo Czar, facendo delle firme che costavano alla
nazione 450 lire al minuto. Rasputin discuteva con l'imperatore!
La sua dimestichezza con
l'ultimo Romanov era tale che anche in viaggio si telegrafavano a vicenda come
colleghi. Erano scambi di frasi sguaiate e confidenziali, avvertimenti o
congratulazioni. Malgrado il libertinaggio del monaco, le sue galanterie
troiesche e le sue seduzioni, lo Czar rimaneva il suo intimo amico. Non
parliamo poi della moglie. L'imperatrice Alessandra Feodorowna era la sua
ganza. Rasputin la chiamava la sua «mamà». Eliodoro, il descrittore, diceva che
l'Imperatrice era folle di lui. Si era perfino posta negli appartamenti la
concubina di Rasputin per averlo più sovente con lei. La concubina era una
malmaritata, certa Vyrubov; figlia maggiore di un «dignitario» di Corte,
divenuta la più intima della Czarina e ammazzata con lei in Pietro e Paolo, la Bastiglia di Pietrogrado.
Udite le confessioni del
concupiscente monaco. «Quando vado dagli Czar passo tutta la giornata nella
camera dell'imperatrice. L'abbraccio, essa mi stringe al petto, posa il capo
sulla mia spalla e io me la porto in braccio per la stanza, come una bambina.
Questo le piace e lo faccio molte volte. Vado anche di frequente nella camera
dei ragazzi che mi adorano e coi quali gioco tutto il giorno. Quando vado
dall'imperatore incontro qualche volta dei re stranieri. Una volta ne vidi uno
nel gabinetto dello Czar ma non ho saputo chi fosse. Non l'hanno nominato. Ho
salutato e sono andato dall'imperatrice.
«Il re del Montenegro mi ha
visto in sogno. Era ammalato. Stava molto male. Ha visto in sogno un contadino
che gli ha detto: sta di buon animo, fra tre giorni sarai guarito. E così è
avvenuto. Lo ha scritto a sua figlia Militza. Questa ha preso il mio ritratto e
glielo ha mandato. Il re del Montenegro ha risposto che il contadino era
proprio Rasputin».
In un'altra parte del libro il
monaco dissoluto che aveva conquistato e fatto strage delle donne di Corte e
intorno la Corte, delibando, deflorando, stuprando, palpeggiando, gualcendo le
carni delle giovani, delle maritate, delle divorziate e delle incontinenti,
confessa la sua potenza politica.
— Non immaginarti — diceva a
Eliodoro — che sia facile parlare allo Czar e a sua moglie. No, è difficile.
Talvolta si hanno le labbra gonfie di sangue e crespate. Essi mi consultano su
tutto, sulla guerra e sulla Duma, sui ministri. Lo Czar e la Czarina non possono fare senza di me, quantunque sia loro penoso di udire le rimostranze di
un contadino (mujik). Mi ascoltano. La «mamma» mi considera un «santo».
Più che un santo: un grand'uomo. Una volta lo Czar dice questo e io dico
quest'altro. Il rossore sale alle sue guance, trema di collera, ma ubbidisce.
Egli non può alitare senza di me. Egli mi dice sempre: Grigori, vieni spesso a
trovarci. Quando tu sei qui, noi siamo contenti, gioiosi, consolati. Vieni, non
domandarmi però nulla. Tu sai che io ti voglio bene e che io sarò sempre pronto
a fare ciò che tu vorrai, ma mi è talvolta difficile aderire ai tuoi desiderî,
perchè tu domandi una cosa e i ministri un'altra, ed essi non t'amano,
specialmente Stolypine.
«Il tesoro della Corte è a mia
disposizione. Solo, l'imperatrice è un po' avara. Se le si domandano mille
rubli essa non dice niente; li dà, ma se le ne chiedono dieci mila, per
esempio, discute. Ella vuol sapere dove andrà a finire il denaro. Se glielo si
spiega ne dà anche venti mila. Una volta l'imperatore mi disse:
— Grigori, Stolypine mi spiace
per la sua insolenza. Che devo fare?
— Tu non hai che da soggiogarlo
con la tua semplicità.
— Come?
— Indossa una semplice blusa da
paesano e ricevilo quando viene con un documento.
È ciò che fece. Stolypine entrò,
vide lo Czar e disse:
— Come vostra maestà è vestita
modestamente!
Lo Czar rispose:
— Dio stesso si compiace della semplicità.
Queste parole tapparono la bocca
a Stolypine e lo resero più docile».
A noi, miscredenti o atei o
antisuperstiziosi, queste rivelazioni sembrano invenzioni cerebrali di
Rasputin. Non ai russi. Di bassi Rasputin ce ne sono in tutti i ceti. In suburra,
nei bassi fondi, negli ambienti delle persone rispettabili e su su fino alla
gerarchia massima del mondo sociale. Non c'è regnante russo che non abbia avuto
il suo Rasputin. Quello di Nicola I si chiamava Ivan Korcicia. Quello di
Alessandro III, morto a Livadia, in Crimea, era il famigerato prete Giovanni di
Kronstad. Nelle due capitali sono venerate le sètte dei flagellanti come nei
conventi italiani. Se ottenete di assistere alle rappresentazioni notturne
nella chiesa del convento di Monforte vi strofinate gli occhi. Voi vedrete una
ressa di uomini ignoranti e nudi che si cinghia, si scudiscia le carni per
liberarsi dalle tentazioni. In borghesia trovate tutto. L'indovina che vi
predice il futuro con un mazzo di carte. La donna che lascia cadere l'albume in
una tazza di cristallo boemo e dai filamenti ne trae il vostro avvenire. Vi
dice tutto. Se siete amata, se avrete fortuna, se erediterete per la gioventù o
per la vecchiaia.
Rasputin era un novatore
atavico. Portava nel suo sangue una caterva di preditori. Si era messo nella
testa di avere una missione, di spegnere nella donna l'animalità sessuale. La
sua teoria era pratica. Andava in letto e diceva alle signore che si
sottomettevano all'azione, che per vuotarsi dei sensi maligni bisognava peccare.
Vinceva le tentazioni delle signore altolocate con la fornicazione. Subìta la
prova, divenivano invulnerabili come il guaritore. La donna si abbandonava e
ubbidiva. La penitente era provocata con tutti i lenocinii della parola e del
tatto. Egli la convertiva con i suggimenti, con gli allettamenti, con i
titillamenti. Se resisteva a tutti questi piaceri carnali la donna era guarita.
Si alzava rigenerata. Rasputin era sboccato. Molto sboccato. Si serviva del
dizionario indecente dei libertini. Era un porcellone. Stuprava le orecchie
delle vergini e delle sverginate. Provocava. Gli esempi rasputiniani sono
infiniti. Una volta si è messo in letto fra due monache portate fuori da un
convento claustrale. Le ha delibate e le ha restituite al convento come atte alla
prova del fuoco. Più volte si immergeva nel bagno con più di una donna, le
quali erano incaricate di provocarlo e constatare la sua passività. «La lotta
contro la carne non era più per lui un godimento cristiano. — A me carezzare
una donna diceva — non fa nulla. Per sottrarmi al peccato non faccio altro che
guidare il desiderio dal ventre al cervello». Era il suo antidoto. La donna che
lo palpeggiava si alzava libera da tutti i diavoli della tentazione. La sua
profilassi aveva ottenuto un successone. Le donne se lo contendevano. Facevano
ressa alla casa dove sedava le passioni. Gli do la parola: «Una volta sono
partito da Pietroburgo con la moglie del generale Loktin, con Mary, Elena e
qualche altra. Siamo andati al convento di Verkoturle. Il priore mi ha ceduto
la sua cella ed è andato altrove a pregare. Le donne hanno voluto che mi
spogliassi per toccare il mio corpo nudo e purificarsi. Che fare con delle
stupide donne? Non c'è da discutere. Ti spoglierebbero loro stesse. Poi le ho
condotte tutte al bagno. Quando fummo tutti spogliati ho detto loro che sono
senza passioni. Esse si sono inchinate e hanno baciato il mio corpo». Che
volete? le donne impazzivano intorno a lui. «L'altra notte la Mary e la Loktin si strapparono i capelli per il diritto di coricarsi a destra piuttosto che
a sinistra del mio letto».
Della sua influenza non è
dubbio. È in tutti i libri. Ha un posto più largo della coppia imperiale. È
creduto il dominatore di questa lunga alba del secolo XX. Alla gente sennata
faceva ribrezzo. Non pochi signori e signore stomacati di lui volevano farlo
sparire con un delitto. Ma si sapeva che Rasputin era pedinato e protetto dalla
polizia segreta. Si arrischiava l'impiccagione. Gli si mandavano centinaia di
lettere al giorno piene di minacce e di insolenze. Si è complottato contro di
lui. Una sola volta, alla vigilia della guerra, una brutta donna ch'egli
mandava all'inferno col «Vattene!» gli ha piantato il coltello all'addome:
ferita che lo ha tenuto fra la vita e la morte per qualche giorno. Poco dopo ha
potuto telegrafare all'imperatrice «Una canaglia mi ha piantato il suo pugnale
nel ventre. Ma grazie a Dio sono vivo. Grigori». Gli ha risposto lo Czar:
«Siamo afflitti di ciò che vi accadde». Più tardi: «Siamo felici della riuscita
operazione». Tuttavia l'odio cresceva per Rasputin. Egli faceva il ministro,
prorogava o scioglieva la Duma. movimentava i generali, e si occupava più lui
dell'impero che l'imperatore. Un ministro dell'interno andava dicendo che il
posto dell'impostore sarebbe stato più con lo Czar celeste che con lo Czar
terrestre. I granduchi e l'alta aristocrazia che avevano fiutato il vento
nazionale, e che esecravano il ciurmadore che li teneva lontani dalla reggia,
pensarono che per salvare il trono era indispensabile la morte di Grigori, uno
zoticone che aveva stregato l'imperatore e l'imperatrice. Il principe Jussupov
assunse il compito di distruggerlo. Diceva ai capi della Duma che tutti i mali
legislativi venivano da Rasputin: l'infame consigliere dello Czar e della
Czarina. «La sua influenza sull'imperatore e sull'imperatrice è straordinaria.
Se si dicesse al sovrano che tutto il paese e tutto l'esercito lo hanno
abbandonato, ma che Rasputin è con lui, egli guarderebbe tranquillamente
l'avvenire. È Rasputin che nomina i ministri e dirige gli affari di Stato. Vi
assicuro che l'imperatore consentirebbe a un Ministero responsabile, a una
costituzione, se Rasputin fosse all'altro mondo. Con lui non c'è niente da
fare. L'imperatore è completamente nelle sue mani. Ecco perchè siamo decisi a
farlo sparire. Egli deve sparire. Sparirà.
— Come?
— Egli è vendibile: o comperarlo
o ucciderlo.
— Chi lo ucciderà, principe?
— I cento neri.
Ci fu una discussione che ascese
fino agli epiteti. I membri della Duma dicevano che ai neri non si poteva accordare
l'impunità dell'omicidio e nessun bianco onesto avrebbe accettato il còmpito
del sicario.
— Avete ragione, agirò io
stesso.
Perchè non la si credesse una
congiura di palazzo, volle che fosse presente alla tragedia un deputato e si
scelse l'onorevole Puritkevic.
Sulla morte del taumaturgo ci
sono parecchie versioni. Il principe nella sera del 17 dicembre 1916 aveva
invitato a cena i congiurati: due dei quali sarebbero andati a prendere
Rasputin alla sua abitazione. Al palazzo vi era ricevimento. Sedevano a tavola
il granduca Dmitri Pavlovic, il principe Jussupov, la ballerina Coralli, il
deputato Puritkevic e un ufficiale. Durante la cena scoppiò una contesa. Uno
dei commensali fece fuoco su Rasputin. Il secondo colpo fu tirato
dall'onorevole. Il sudicione cadde riverso.
Al palazzo di Tauride la
versione era che Rasputin fosse stato assassinato in automobile. La terza
versione è questa: che i congiurati tirassero a sorte a chi toccava ammazzarlo.
Smontato dall'automobile i giustizieri lo avrebbero trascinato nel giardino e
là, con due palle, lo avrebbero finito. Il cadavere sarebbe stato ricaricato e
gettato nella piccola Neva. Egli era stato colpito alla testa e al petto.
Grigori Rasputin aveva cinquant'anni.
Di statura superiore alla media. La sera della sua fine vestiva un camiciotto
celeste ricamato sulla camicia bianca. Calcava alti stivaloni di capretto.
Teneva al collo una costosa catena d'oro. Capelli castani. Baffi e barba
frateschi. Dentatura d'avorio. Viso e camicia chiazzati di sangue.
Si crede fosse ubbriaco
fradicio. Gli si sono trovati nello stomaco venti cucchiaiate di liquido bruno
puzzante fortemente di alcool.
L'assassinio del sudicione
siberiano è passato per il regno come una bufera che spazzasse via l'antico
regime pieno di ulceri e di cancri imperiali. L'odore della carogna pescata nel
fiume ammorbava tutte le città attraversate dal turbine. Nasceva una gioia
segreta. La morte del ciarlatano aveva l'importanza della morte del «piccolo
padre» che aveva tentato di schiantare il dorsale alla Russia nuova. Il vento
furioso si arrestava per i cervelli come per sloggiarvi l'antica paura dei
giorni del despota. L'anima si consolava. La rivoluzione ruggiva. Non era più
che a pochi passi. Campane, suonate a stormo. L'imperatore del terrore è
morente. In tutte le città fuochi di gioia.
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