Si sente che il bolscevismo è su
di un terreno solido. Progredisce tutti i giorni. Ma come nella grande
rivoluzione francese, nella grande rivoluzione russa i cambiamenti sociali
producono i brontoloni, gli spostati, gli uomini e le donne che non vedono nei
movimenti nuovi che disastri personali. L'ambiente vecchio non si lascia
distruggere dal nuovo in un attimo. Fu così anche ai tempi della Convenzione.
Alcuni si spaventavano, si coricavano o andavano a tavola con il veleno in
tasca. Alcuni preferivano la morte furtiva del suicidio alla morte drammatica
della fucilata. I gusti sono gusti. Così in Russia. I mutamenti tramutano i
cervelli. C'è sempre gente che ritornerebbe all'antico regime. I morti causati
dalla paura sono parecchi, ma non li mandiamo alla postertà, perchè sono
Carneadi. La riottosità nella repubblica dei Soviets è stata quotidiana. Tutti
i giorni uno, due, tre, dieci casi. Gli stessi portinai obbligati dalle polizie
czariste a fare da informatori, da spie, da delatori degli inquilini delle case
in custodia, si sono trovati a disagio nel nuovo regime per delle inezie. Alla
vigilia del Primo Maggio il governo leninista aveva dato ordine che porte e finestre
dovessero essere chiuse durante il passaggio del corteo proletario. Apriti
cielo! Si scomodavano! Non erano abituati al disturbo. Non diciamo che si siano
rivoltati, ma si tormentavano, non volevano occuparsene. Solo l'energia
leninista li ha messi subito nella condizione di essere più giudiziosi. Ci pare
che lo steso Taine abbia trovato nel passaggio da una società all'altra
quest'ambiente di contraddizione. I pregiudizi sono terribili. Andate a Mosca,
nella nuova capitale, nella città santa, dove si incoronavano gli Czar, dove si
sono bombardate le guardie rosse e gli eserciti kerenskiani, e voi non
riuscirete a svezzare le menti ortodosse dalle fole celesti e dai santi
protettori. È una popolazione che ha vissuto in un cerchio di settantacinque
chilometri di religione e si ostina a sciupare il tempo nelle preghiere
liturgiche affollando le 450 chiese cittadine. Salvo la gente emancipata, la
gente bigotta non si sottomette alla estirpazione della fattucchieria come
all'estrazione di un dente. Resiste e rimane nel suo cretinismo. Bisogna vedere
il chiasso che hanno fatto un po' tutte le popolazioni obbligate a fare posto
nelle loro abitazioni alle guardie rosse o alle turbe dei nuovi impiegati
municipali. Con Nicola, si curvavano. Arrivavano le truppe e si dava loro il
vino migliore, le lenzuola odorose e tutti i conforti immaginabili. Con i
soldati imperiali erano servizievoli, bonari, pronti a tutti i sacrifici. Senza
l'ingiunzione dei maggioritarî i santocchioni di questi giorni non avrebbero
dato loro che parole sgarbate e virulente. A Mosca vi sono state molte beghe
per gli spostamenti sociali. Correva voce che le statue dell'antico regime e
più propriamente le statue imperiali dovessero essere demolite a martellate.
Apriti cielo! Sono venuti in scena tutti i critici d'arte. Tutti gli Ugo Ojetti
con le mani nei cappelli, giuravano che la posterità non avrebbe mai perdonato
agli iconoclasti della rivoluzione bolscevica! Così il regno che ha
detronizzato e bandito i Romanov è stato obbligato a curvarsi allo sconcio di
vedere sulle piazze o nei quadrivii Ivan il Terribile, Pietro il Grande,
Alessandro II, Alessandro III, Nicola II e tutti gli altri personaggi di un
trono sconquassato. Fu una viltà. Perchè non sono ancora nella Neva i
sarcofaghi dei signori Romanov? Per la solita condiscendenza ai soliti
scalmanati della conservazione storica. La razza non è estinta che buttando via
tutto l'esibizionismo monarchico offerto all'adorazione o al culto degli asini.
Non sappiamo ancora come la pensino sugli imperatori di granito Lenine e
Trotski. Sappiamo solo che le moltitudini hanno fatto a tocchi la brutta figura
del generale Skobeleff, di infame memoria, mentre è stata lasciata intatta
quella di Alessandro III, il più spietato livragatore di giornali del suo regno.
Con lui la stampa era incatenata, l'indipendenza della stampa era il bavaglio.
Pietro il Grande lasciava che giungessero folate di libertà di stampa dalla
civiltà occidentale e Alessandro non faceva che respingerle. Tuttavia non è
stato possibile fondere il bronzo della statua di un tiranno per creare un
personaggio più degno di monumentazione. La statua di Alessandro III è vicina
alla chiesa del Salvatore, dove i pasquaioli fanaticamente gridavano: «Cristo è
risorto! In verità egli è risuscitato!» Stupidi! Le contraddizioni fra un
periodo che cade e un periodo che sorge sono immense. A Mosca si rende omaggio
alle madonne, ai santi, agli czars. A Pietrogrado, invece, si processiona con i
motti sulle bandiere rosse del Primo Maggio: «Viva l'Internazionale! Viva la
risurrezione della Russia popolare e indipendente! Viva il diritto del popolo!»
La censura, tanto odiata in borghesia, non ha subìto la strage che si sperava e
meritava in .rivoluzione. Non si capisce un cervello che fruga in quello degli
altri per buttar via i pensieri che non sembrano adatti all'ambiente in cui si
vive. I sognatori della libertà di stampa si sono dimenticati che la libertà è
sinonimo di verità, hanno scritto i leninisti. Una notizia falsa può costare la
vita di un popolo. I giornali della prima e della seconda capitale servili
rendevano servigi ai passati padroni. In rivoluzione non hanno saputo
acconciarvisi. Dicevano il contrario di quello che avveniva. Coniugavano un
verbo per un altro. Requisire diveniva sotto la loro penna «rubare», dividere o
sequestrare, appropriare, truffare e simili. Tutti i giorni fomentavano il
disgusto per il cambiamento della forma governativa o sociale. Che fare per
vivere in pace con le teorie della libertà dì stampa? Lenine o Trotski ha
incominciato con la persuasione. Poi si è provato con le multe. Poi li ha
sospesi a tempo. Poi li ha fatti scomparire completamente con una razzia
generale. Giornali che a poco a poco andavano all'assassinio dalla Repubblica
sociale non potevano subire nelle ore rivoluzionarie che la pena di morte. Il
vilipendio personale, passi. Ma l'urlo al furto tutte le volte che i Soviets
s'impadroniscono di una banca, è mettersi nel girone dei massacrabili. Il
governo di Lenine e di Trotski ha dovuto violentare se stesso e fare il
mestiere boiaccia di Alessandro III, mandando i giornali della
controrivoluzione nei loro ambienti naturali. Si è fatto così anche durante la
grande rivoluzione francese. Il direttore del Père Duchesne, che andava
in collera in un ambiente giacobino per suscitare il leninismo di quel tempo,
ha subito la ghigliottina. Pare che nei periodi insurrezionali la libertà di
stampa non possa acclimatarsi. Nessuno capisce che la libertà di stampa in
tempi come questi, deve circolare nell'ambiente socialista e non nell'ambiente
capitalista o borghese. La esperienza è questa. Noi la registriamo.
Lenine ha dovuto sopprimere,
l'uno dopo l'altro: Nach Vieck, Rietch, Novy Loutch, Nach Gazetta, Vperod,
Vsegda Vperiod, Vetchernaia Zaria, Viola Nachi Wiedomosti, Narodnoe Slovo,
Rodina e molti altri. A centinaia. Erano canaglieschi. Inventavano notizie.
Un fuscello diventava una trave. Un cadavere di procuratore, diventava il
crollo del bolscevismo, come quando è caduto il conte di Mirbach, ambasciatore
tedesco. Gorki dà fuori, perde la pazienza, scrive articoli veementi o
collerici contro i due direttori del nuovo regime, ed ecco che tutta la stampa
avversaria si impadronisce delle sue parole, s'appende alla fune dei campanili
borghesi e suona a funerale. Il bolscevismo ha un piede nella fossa. Allora
bisogna che una Pravda (Verità) diventi ufficiale, che in ogni
provincia ne nasca una per la salvezza della documentazione rivoluzionaria. In
fuga dunque i becchini del giornalismo.
Le contraddizioni fra un regime e l'altro sono
eterne. Nessun giornale borghese, in tempi czaristici, si è mai curato dei
paria della terra. Li hanno lasciati vangare e vangare facendo una vita da
bestia da soma. Con Nicola e col padre di Nicola, i settanta o ottanta milioni
di coltivatori pagavano circa il 90 per cento sui prodotti e tutti gli scribi
si acconciavano alla dottrina cristiana del quieto vivere. Adesso, divenuti
padroni dei terreni che coltivano per una esistenza elevata, gli scribi venduti
descrivono i villani e i paesani come gente che bascisce sulla marra. Ah,
canaglie! Trotski, segretario di stato per gli esteri, non ha transatto con la
stampa borghese. Il giornalista borghese che bussasse al suo uscio viene
mandato via. Non viene ricevuto. Dite al tale, diceva a chi glielo annunciava,
che non lo ricevo. Ne ho abbastanza delle sue corrispondenze all'Illustration
o al Temps o al Figaro di Parigi o al Corriere della Sera
di Milano o al Giornale d'Italia di Roma! Per loro, noi massimalisti,
siamo gaglioffi, usurpatori, grassatori, plebe da macello, pazzi da manicomio e
via.
La sede governativa in Mosca è
una fortezza dove risiedono Lenine e i commissarii del popolo. Nessuno entra,
specialmente dopo l'attentato, senza permessi speciali. L'edificio granitico è
custodito e sentinellato dalle guardie rosse. Prima di giungervi bisogna
passare da due posti di controllo e presentare delle carte in regola. Non ci si
presta due volte per il coltello o la rivoltella. Tuttavia c'è sempre una
moltitudine che fa coda come alle botteghe in tempi di carestia. La fortezza
contiene cannoni imperiali di 39 mila chilogrammi. In alto è una campana
incredibile dei tempi dell'imperatrice Anna. Basterebbe essa sola per inondare
una nazione di monete di rame. Pesa 262 mila chilogrammi. Qui è dove si capisce
che la demolizione delle statue non è ancora entrata nel cervello
rivoluzionario. La statua di Alessandro II, assassinato dai nichilisti, è sotto
l'ampio baldacchino sorretto da colonne di bronzo, e tutta nascosta da un ampio
velo fitto e nero. Il falso liberatore non è più visibile ai visitatori. In
un'altr'ala è il ministero della guerra — sede governativa di Trotski — il
quale, giorni sono, ha passato in rivista la truppa rossa. Egli occupa un
superbo edificio che fu di un pittore russo che vi ha lasciato una collezione
di acqueforti e dei quadri di valore. Il nuovo ministero di Trotski è di
mattoni rossi, costruito in uno stile modernissimo e veramente russo, ornato di
disegni di ceramica, dai colori scarlatti. Le scale sono larghe, lungo le quali
scorre una balaustrata. I muri sono tappezzati di carta chiarissima. Il numero
dell'ufficio che mette nell'intimità di Trotski è il 30. Ammobigliato
modernamente. Tutto è ampio. Parquets di quercia. Finestroni dai quali
si vede tutta Mosca. Illuminazione a profusione. Riceve chi riceve. I rifiuti
non sono manipolati dall'ipocrisia.
— Dite al signore che non lo
ricevo.
Uomo eminentemente d'azione, pur
essendo un intellettuale calmo. Non conosce furori parossistici e non ha bocca
per gli insulti. La cronaca borghese ne ha fatto fuori un linciatore con in
mano la nagaika del cosacco. Sciocchi! I massimalisti sono tutti
possessori di questa preziosa qualità mentale. È lui che ha voluto che la
sovranità risiedesse nei Soviets e che il Comitato centrale fosse esecutivo.
Lenine qualche volta è più rigido di lui. Lo abbiamo veduto quand'egli ha
strappato le penne di mano ai giornalisti borghesi. Non dovete più scrivere!
Con lui i giornali della Rivoluzione bolscevica sono aumentati sotto un
controllo che non conosce eufemismi. I giornali ufficiali sono le Izvestia,
la Pravda e l'Operaio del Soldato per la sera. L'opposizione
educata non è stata soppressa. Vivono il Dielo Naroda, la Gazzetta Operaia, la Volta Naroda, l'Edinosvo.
Un ordine del giorno di Trotski al fronte e inviato
al Comitato centrale dà la sua fisionomia intellettuale:
«La Russia rivoluzionaria e il potere dei Soviets hanno diritto di essere fieri del loro
distaccamento di Poulkovo in marcia, sotto il comando del colonnello Walden.
Gloria immortale a coloro che sono caduti! Gloria ai combattenti della
rivoluzione, ai soldati ed agli ufficiali fedeli al popolo!
«Viva la Russia rivoluzionaria, socialista e popolare!»
Dal giorno che Lenine e Trotski
si sono impossessati del potere, la mediocrazia dei verbosi sterili è stata
come sepolta. Con loro l'anima turbinosa della vera eloquenza nutrita di idee
fece altri voli.
Chi non vive di pregiudizi e di
odî di partito ammette subito la superiorità dei due nuovi costruttori. In un
fiato hanno disperso i kerenskiani. I membri della Duma che volevano correre a
Mosca ad agitarla per l'uomo in fuga (Kerenski) non hanno potuto parlare. Il
presidente del Comitato dei contadini ha dovuto nascondersi. I ministri
borghesi sono stati chiusi subito in prigione. Gotz è scappato. Bourtzef — il
famoso smascheratore di poliziotti in veste di rivoluzionari — in gattabuia.
Molti altri o conosciuti o celebri, per evitare l'arresto dovevano cambiare
domicilio ogni sera. Non si è perduto tempo. Due controtorpediniere e una
torpediniera giungevano in porto in nome dei rivoluzionari, e il Tribunale
bolscevico aveva i giudici al lavoro di collaborazione leniniana. È bastata una
notte perchè Lenine e Trotski mettessero in dissoluzione cinque commissariati
del popolo per far posto ai massimalisti. Non avevano fatto che quello che
aveva fatto Kerenski. Tuttavia sono stati subito messi in giro come terroristi!
Vincere con l'orologio alla mano per disfarsi dei nemici, è considerato dalla
mediocrazia kerenskiana del terrore. Proconsoli! È che in loro sono la forza,
l'energia e l'intelligenza. Un giornalista borghese ha scritto: Si potrà dire
tutto della rivoluzione russa. Non la si potrà accusare di lunghezza. La
situazione cambia di ora in ora. Gli avvenimenti si succedono vertiginosamente.
La libertà di stampa è stata abburattata dalla violenza verbale. Ha dato ai più
eminenti dei Comitati una discussione che ha fatto intervenire le due sommità
del bolscevismo. Qualcuno ha affermato che la stampa deve essere libera. Gli si
è subito risposto che la libertà di stampa deve avere un altro significato
nella bocca di un socialista. La rivoluzione che si compie in questo momento
non esita a mettere la mano sulla proprietà privata individuale ed è su questo
punto che bisogna esaminare la questione della stampa. La chiusura dei bottegai
del giornalismo borghese non è stata fatta solo per delle necessità militari
nel momento della sollevazione, ma essa costituisce pure una misura di
transizione alla scopo di stabilire un regime nel dominio della stampa, regime
sotto il quale i proprietarii delle tipografie e della carta non potrebbero
essere i fabbricatori onnipotenti ed esclusivi della opinione pubblica. Bisogna
perciò procedere alla confisca delle stamperie particolari e delle riserve di
carta che devono divenire proprietà del Soviets della capitale e delle
provincie, se i partiti devono avere i mezzi di stampare. Il ristabilimento
della sedicente libertà di stampa, vale a dire il ritorno puro e semplice delle
tipografie e della carta ai capitalisti, avvelenatori della coscienza pubblica
popolare, costituirebbe una capitolazione inammissibile davanti la volontà del
capitale, la resa di una delle conquiste più importanti della rivoluzione,
altrimenti detta una misura di carattere controrivoluzionario.
Nessuno ha voluto il ritorno
all'ancien régime. Trotski è andato più in là. È stato sublime. Ha
portato sulla questione un faro di luce. In generale il diritto della libertà
di stampa è degli oppressi. Quando la violenza è praticata dagli oppressori è
immorale (cannibale!). Confiscate tutte le stamperie. I socialisti moderati gli
gridarono di confiscare la tipografia della Pravda. Lui non si è
lasciato intimorire. Ha soggiunto che il còmpito dei bolscevichi consiste nel
trasformare le sorgenti e i mezzi di stampa in proprietà collettiva. Ogni
gruppo di cittadini deve avere diritto alla stamperia e alla carta. Il
monopolio della borghesia sulla stampa deve cessare. Senza di questa sarebbe
inutile prendere il potere. Se nazionalizziamo le banche, possiamo tollerare
l'esistenza dei giornali avversarii e dei banchieri? Il diritto ai caratteri di
tipografia ed alla carta appartiene prima di tutto ai contadini ed agli operai,
dopo ai partiti borghesi che sono in minoranza. L'antico regime deve morire.
Bisogna capirla una volta per tutte. (Uragani d'applausi). Io constato che i
soldati sono con me (grida dei socialisti di sinistra). Voi fate della
demagogia! Circo moderno! Mi si grida. Circo moderno! Ora io affermo che
ripeterei le mie parole davanti ai soldati. Io non ho due maniere di parlare.
Lenine dice che la guerra civile
non è ancora terminata. Noi bolscevichi, abbiamo sempre detto che giunti al
potere avremmo soppresso tutti i giornali borghesi. Tollerare i giornali
borghesi significa cessare di essere socialisti. Quando si fa la rivoluzione
non si può tenere il piede in due scarpe. O rinculare o andare avanti. Colui
che parla di libertà di stampa torna indietro e arresta il treno che corre a
tutto vapore verso il socialismo. Noi abbiamo scosso il giogo della borghesia
come la prima rivoluzione ha scosso il giogo dello czarismo. Se la prima
rivoluzione aveva il diritto di eliminare i giornali czaristi, noi abbiamo il
diritto di eliminare i giornali borghesi. Non è possibile separare la questione
della libertà della stampa dalle altre questioni della lotta di classe. Noi
abbiamo promesso di eliminare questi giornali e noi lo faremo. L'immensa
maggioranza del popolo è con noi. Lavoratori, rompetela con l'antica libertà
della stampa. È un'arma per Kaledine.
Lenine, dal giorno dell'ascensione
dei bolscevichi era dappertutto e in ogni luogo. Lo si sentiva, lo si
discuteva, lo si esaltava, lo si demoliva, lo si sconciava. Uno dei suoi
sconciatori fu Bourtzef, il vecchio smascheratore di spie czariste nei panni
dei rivoluzionari. Egli lo paragonava su per giù a una specie di Azev. Egli era
Kerenskiano. Non tollerava altri. È naturale che venisse agguantato per il
collo e precipitato in una prigione. La vecchiaia non dà diritto alla calunnia.
I biasimatori di Kerenski per avere dato il permesso a Lenine e a Trotski di
rimpatriare sono molti e in aumento. Essi vedono nella concessione il disastro
del governo provvisorio. Baie! Sono i soliti rimpianti. Una nazione non è una
famiglia o una casa privata. Per il passaggio da una frontiera non deve essere
necessario la strada piantonata di doganieri. Non è necessario la vidimazione
del passaporto. Lenine incarnava il movimento. Il tempo della rivoluzione
politica era finito. Doveva venire necessariamente quella sociale, quella che
esclude le due camere parlamentari per una federazione di Soviets.
C'è gente che crede i
bolscevichi razzapaglia uscita dalle rattaie — scusatemi il neologismo —
sociali. No, no, essi non pescano nelle acque torbide. Hanno tutti un passato.
Lenine è uscito dai nidi della nobilità ereditaria. Sono tutti o quasi
universitarii e tutti sono trilingue, quadrilingue. Taluni ne parlano e ne
scrivono cinque o sei. Hanno tutti veduto il sole a scacchi. Molti sono stati
in Siberia. Molti subirono più volte le Bastiglie.
Il vero nome di Lenine è
Vladimiro Llitch Oulianov. È nato il 18 aprile 1870. Suo padre era direttore di
scuole a Simbirsk e fu consigliere di Stato. Cresciuto, studiò legge
all'Università di Kazan. Durante la vita studentesca flanellava e concionava
nei caffè come Gambetta. Era in lui il seme del giustiziere della borghesia. Fu
il suo incubo. Leggeva molto. Non appena a Pietroburgo si buttò a capofitto nei
movimenti operai. Con la foga della convinzione riuscì a costituire una
federazione per l'emancipazione dei lavoratori. Come tutti gli agitatori dei
tempi di Nicola, fu mandato in catena a scontare cinque anni di Siberia.
Scontata la pena corse a Londra ove, in mezzo a un Congresso di russi
democratici, composto di mensceviki (minoritari) e di bolscevichi
(maggioritari), ottenne la maggioranza, e ne divenne il capo. Aveva allora 33
anni. L'aiuto di Trotski data da quel giorno. Dal 1905 vediamo l'uno e l'altro
sempre assieme. A Mosca, la capitale moscovita, costituirono il primo Soviet.
In Russia, ai tempi dello Czar, non
si poteva essere che talpe o eroi. Il suo fratello Alessandro è stato appeso
l'otto maggio del 1887 per l'attentato contro Alessandro III, nella fortezza di
Schlusselburg — la più terribile delle bastiglie russe.
I maldicenti, compreso Boutzef,
vorrebbero mettere Lenine a contatto con la polizia politica chiamata Okhrana,
una organizzazione poliziesca terribile. Essa sola è stata una perturbazione
sociale. C'è una nota di Lenine che dice: «Non è l'Okrana che si è
servita di noi. Al contrario. Siamo noi che ci siamo serviti di lei». Si sa che
in Russia, ai tempi degli ultimi czars, la polizia costava allo Stato ingenti
somme di sola corruzione. Si può dire che non c'era quartiere senza spie. Ne
nascevano decine tutti i giorni. Diciamo male. Non c'era quartiere senza spie.
Spia il portinaio, spia il vetturale, spia il barbiere, spia il cameriere, spia
la donna di servizio, spia la sarta, il cappellaio, il calzolaio, il lattaio,
il prestinaio. Lo spionaggio era una istituzione statale. Tutti spie. Ce n'era
per la coniugazione di un verbo intero. Io sono spia, io ero spia, io sono
stato spia. E via e via. I ministri non erano che capi di polizia. Lottavano
con l'opinione pubblica al dorso della polizia monturata o vestita in borghese.
Plehve, come abbiamo detto, fu il più terribile. Il pensiero più gentile che
egli abbia avuto è stato questo: «Voglio annegare la rivoluzione nel sangue
degli ebrei». I suoi progroms hanno indemoniato tutta l'Europa e tutte
le Americhe. Gli ebrei, per lui, erano dei cani rognosi. Egli ne ha torturati
sei milioni. Fu atroce. Ne fece «progromizzare» delle migliaia. L'odio
per gli ebrei fu di tutti i ministri. L'antisemitismo imperiale era negli
esecutori dei massacri. A Lodz perirono tanti ebrei da superare tutti quelli
uccisi sulle barricate di Europa. Il despotismo con gente simile era sovrano.
L'assolutismo trionfava dovunque.
Le escursioni fatte da Stepniak
nel mondo sotterraneo, fanno fremere. Egli ha dovuto tremare. Grida di terrore
giungevano al suo orecchio. Rantoli di morenti, risate frenetiche di giovani
impazziti nelle mude dei Romanov. Ah che inferno! Le università erano tutte
affollate di spie. Una polizia spiava l'altra. E quando tutte le caserme erano
spiate, quando si credeva che i capi delle diaboliche organizzazioni erano
spiate, c'era ancora una organizzazione che spiava per conto dello Czar. La
moglie spiava il marito e il marito la moglie. Il maggiordomo era una spia. Il
grande personaggio di palazzo una spia. Non c'era tregua allo spionaggio.
Rasputin era una spia. Che nazione, la nazione degli Czars! Meglio la corda del
boia.
Adesso la gente russa, pur
essendo entrata nell'ambiente della purificazione, si sente un po' poliziotta,
un po' spia. È la persecuzione della tradizione. Non ci si lava dell'antico
regime in pochi minuti. Ci sono lazzaroni che denunciano il «dittatore» come
una spia. Vogliono che sia anche lui uno spione. È una malattia che bisogna
guarire coi contravveleni.
Nessuno degli studenti
dell'Europa occidentale ha subìto le persecuzioni degli studenti russi.
Bastonati, frustati, mandati nelle galere o appesi alla corda del carnefice. Il
ministro Schipjaghin — l'autore della bastonatura di Kiew — è stato giustiziato
dallo studente Balmaschef.
L'entrata in Russia di Trotski
in un vagone piombato della Germania, ha fatto rimettere in circolazione tutta
la bava poliziesca. Chiunque, in quel tempo, non poteva andare in Russia che in
vagone piombato. Era una protezione per i non combattenti. Il trattato di
Brest-Litowsk ha inviperito tutti i signori della guerra ad ogni costo. Vedono
in Trotski una vigliaccheria. Egli si sarebbe venduto al tedesco. Invece non fu
che lo sviluppo e il soggetto della teoria leniniana. La cessazione della
guerra e la fraternizzazione militare. Calunnie! Calunnie! Non si diventa criminali
senza portare in se un quintale di delinquenza.
Ritorniamo alla superficie del
leninismo. Kerenski accusava il leninismo del disfacimento militare. Il
disfacimnto era del resto nelle cose. La condizione delle truppe si era fatta
sentire all'abdicazione, proprio come quando Napoleone III consegnava la spada
al re di Prussia. Kerenski, idealista e patriotta, continuava a rincorrere il
leninismo nell'esercito con vampate di rettorica. Ma il leninismo gli sfuggiva.
C'erano sul registro otto o dieci milioni di soldati che avevano presa la via
del ritorno. Era la caccia di tutti gli eserciti. Coloro che venivano sorpresi
con la bocca piena di antipatia per la guerra, perivano. Così è avvenuto che i
soldati a poco a poco si sfogavano sui superiori. Li fucilavano, li buttavano
in mare.
Come negli ambienti militari, è
avvenuto negli ambienti industriali. Fu come una simultaneità di linciaggio
americano. Veduta la bestia feudale nell'atmosfera rivoluzionaria, il furore
delle masse è andato al parossismo. La storia militare era la storia delle
officine. Lotta identica fra superiori e inferiori, tra coloro che comandavano
e coloro che ubbidivano. In tempo di schiavizzazione le moltitudini subivano
l'oltraggio di essere considerate di ferro. Guai al ritardatario per dei dolori
di capo o degli accidenti della esistenza. L'operaio doveva essere un orologio,
la puntualità in cammino, una macchina dai movimenti automatici, un essere
insensibile a tutte le ingiurie, a tutte le multe, a tutti i castighi, a tutti
i licenziamenti, a tutti gli orari della quindicina.
Nell'atmosfera czaresca tutto
era uniforme. Nessuno era cittadino. Tutti erano schiavi. Negli stabilimenti
imperava il vassallaggio. La dominazione padronale si estendeva su tutti i
subordinati, su tutti i sudditi del lavoro. L'oppressione era nell'aria.
L'oppresso la sentiva nelle spalle. I capifabbrica non erano correttori di
mestiere. Erano i mastini dei proprietari. Rigoristi implacabili, demolitori
della classe soggetta, oltraggiatori dell'umanità. Nessuna bontà in loro,
nessuna considerazione, nessuna scusa. Erano del feudalismo in azione, della
tirannia ambulante, degli sgherri di fabbrica, che non sentivano che l'egemonia
operaia era alle porte dei Poutiloff del regno.
E allora? Tutti abbiamo letto le
sollevazioni dei negri contro i bianchi. Sono torrenti di colorati che sentono
la forza della loro unità, del loro affratellamento. Si ricordano dei loro
sorveglianti che li bastonavano o li caricavano dei ferri della schiavitù, che
li nutrivano come bestie da soma e si voltavano indietro e li urtavano e li
calcavano gli uni sugli altri e li linciavano come la massa americana lincia i
bianchi e i neri del vituperio sociale. I capifabbrica del grande stabilimento
russo si sono trovati circondati dalle loro vittime accese, convulse, con la
testa piena delle loro ingiustizie. Ne nacque quello che doveva nascere. I più
ignobili, i più abbietti, i più spietati sono passati dagli urti ai pugni, e
dalla colluttazione alla lanterna, come gli aristocratici della Rivoluzione
francese.
La diceria borghese ha diffuso
per il mondo che vi fu una specie di Saint-Barthelemy, perchè molti dei
capifabbrica e dei direttori non sono più reperibili. Ma essi saranno
indubbiamente tra i fuggiaschi. Molti di loro si faranno vivi non appena la Russia entrerà nella calma. I cadaveri che si sono trovati appesi ai lampioni non saranno
stati in tutta la Russia otto o dieci. Così ha detto anche Vandervelde che se
ne è occupato. Una popolazione di centottanta milioni che vi dà in un momento
rivoluzionario un numero così esiguo di appiccati alla lanterna, può dirsi
pacifica, buona, mansueta.
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