Siamo vicini alla
santificazione. È inutile. La storia si ripete, si riproduce. Luigi XVI che
aveva assoldato Mirabeau, la più poderosa voce della Francia, che aveva ridotto
il popolo alla razione della miseria per i gavazzamenti borbonici, che aveva
tramutata la Corte in un bordello, e la regina in una ditta di libertinaggio
spettacoloso, cadute le teste di monsieur e di madame nel paniere
di Sanson, sbucarono i coristi dell'estimazione. I gaglioffi del calamaio
trovarono subito dei panegiristi, degli illustratori, dei beatificatori che
elevarono loro monumenti marmorei e scritti, perchè altri imbecilli
continuassero nella storia dei secoli a raccontare l'ingiustizia della «plebe»
francese. Così è della famiglia dei Romanov. Lo Czar che fu il più raffinato
simulatore della vita imperiale, il più indifferente degli uomini davanti alle
catastrofi nazionali, che aveva accumulato in sè tutti i mezzi di maciullare il
genere umano, che aveva inflitto le sue perversioni a centottanta milioni
d'uomini per un ciclo di 24 anni, che si era buttato sui cervelli aperti alla
vita nuova, grandiosa e ascensionale per farne una poltiglia sanguinosa, ha già
trovato un manipolo di pennivendoli che dà la stura al bottiglione della pietà,
della compassione, della esaltazione. Nicola non è più il pederasta dei giorni
giovanili, il turpe vaccone di Rasputin, il degenerato del trono che
sguinzagliava i mercenari del Don per decimare le folle in processione a colpi
di revolver e di scudiscio cosacco, che puniva banditescamente coloro che
domandavano quello che c'è già da mezzo secolo nelle monarchie europee, che
trucemente sopprimeva gli ebrei come immondizia, è già nelle mani di chi si
serve dell'inchiostro della venerazione.
Il povero Nicola fu un infelice,
un disgraziato, un santo. La colpa fu dei suoi consiglieri. Lui non sapeva
niente. Poveraccio! L'assolutismo in cui teneva il regno era dei suoi
cortigiani. La tracotanza mascalzonesca con cui trattava le deputazioni che si
curvavano al «piccolo padre» per ottenere qualche pertugio o una buffata di
libertà era dei suoi Protopopof.
Circondate pure di benevolenza
l'infame omicidiario imperiale che ha compiuto tanti delitti sociali da non
avere parole per crocifiggerlo! Voi rimarrete sempre gli stessi buffoni della
stampa antisociale. Uno di essi si è domandato in un suo libercolo:
L'assassinio del povero Nicola segnerà uno svolto nella storia della Russia?
Forse, ha risposto lo scriba. Altro che forse. La Russia del ci-devant Nicola è stata decomposta. Non esiste più. L'hanno trasformata.
La morte di questo paltoniere imperiale, per i giornalisti russi, fuggiti sul
continente, è stata inutile per la nazione. Non ci sarebbe stato che un
imperatore in esilio. Egli era ormai l'impotenza. Voi approvate il verdetto che
condanni qualunque rivoluzionario e trovate la pena toccata a Nicola
ingiustificata! Canaglie! Basterebbero queste semplici parole per fucilarlo
sette volte. Allo esordio del trono egli ha regalato alla nazione questo
complimento
«Il potere assoluto che ho
ricevuto dalle mani di mio padre lo rimetterò intatto ai miei eredi».
Qualunque morte abbia fatto la famiglia imperiale
ci lascia indifferenti. Per gente che ha fatto tanto male non agli individui,
ma alla nazione, non abbiamo compassione. Siamo di metallo. I dolori imperiali
non ci fanno impallidire. Per corazzarci, non abbiamo che da voltarci indietro
e camminare fra gli orrori dinastici. La vita dello Czar è stata una crociata
contro la civiltà, contro le classi e le masse. Egli e i suoi hanno fatto
piangere miliardi di famiglie per gli uomini e le donne di casa periti nei
pozzi siberici e negli strazi senza nome in un ergastolo. Sì, sì, lo sappiamo.
L'ex Romanov una volta imprigionato non è stato riottoso. Si è sottomesso alle
ingiunzioni dei nuovi reggitori. Così egli ha scritto a uno dei suoi amici tre
mesi dopo la detronizzazione: «Non mi dolgo, aggiungeva, della mia sorte».
Doveva dolersene? Era stato chiuso nel fasto del suo palazzo di Zarkoie Selo,
dove la sola privazione era quella di non vedere la oscena consorte. Per lui
deve essere stata una sosta ai piaceri. Un po' di sobrietà lo avrà risanato. La
frase «io non mi dolgo della mia sorte» ha intenerito tutta l'aristocrazia e
tutta l'alta burocrazia al largo.
Noi leggevamo le scipitaggini
con la bocca piena di sarcasmo. Nella fortezza Pietro e Paolo si lamentava pure
che l'erede al trono, malato e stramalato, fosse rinchiuso con il padre, in un
luogo dove era malcurato e malnutrito. Ma noi per consolarci di questa
apparente crudeltà non avremmo che da ricordarci dei suoi penitenziari
preventivi a tubo, dove i rivoluzionari soffrivano le pene dell'inferno. Gli
rincresceva altresì di avere con lui la consorte, la più malcontenta, la più
maldicente, la più concupiscente, la più rasputiana e la più svergognata del
mondo. Nessuna fu più impudica e più feroce di lei che godeva dei massacri
umani, come della carne dei suoi amanti! Per rimetterci i nervi a posto non
abbiamo che da correre col pensiero alla Ragozinnikova, appesa dal carnefice
per avere ammazzato il direttore delle carceri che affrontava i prigionieri
politici e li sottometteva a bastonate, a scaracchi, a vergate, a pugni che
scombussolavano il fusto umano. L'ex monarca era fuori di sè quando vedeva le
sue figlie, le grandi duchesse, deboli, anemiche in un'atmosfera mefitica o
pestilenziale. Ma l'ex Czar non doveva dolersene, lui, che non ha mai avuto
pensieri per le figlie cadute nelle mani dei suoi sgherri! Egli le ha fatte
crepare negli orrori a migliaia. Ne cito solo qualcuna. Galla Benedictova,
fucilata per la sommossa di Kronstadt nel 1906. Nastia Mamaeva, fucilata allo
stesso modo per la stessa insurrezione. Maria Spiridonova è ancora viva. È
stata liberata dalla rivoluzione. Come la nonna della rivoluzione è stata
liberata dalla Siberia decrepita e disfatta. Sono i néi delle colpe di Nicola.
Per pacificare la nostra anima corriamo alle stragi in massa, ai progroms,
e poi giustifichiamo le inezie del governo bolscevico. Ricordiamoci solo degli
orrori cosacchi per i processionisti che andavano al Palazzo d'Inverno con le
icone delle loro maestà! A migliaia sono stati baionettati e fucilati dal
furore militare!
Tutto il suo regno, dal nord al
sud, dall'est all'ovest è pieno di montagne di cadaveri. Egli fu un mostro.
Con lo Czar coloro che si
radunavano o credevano di avere qualche diritto venivano considerati
delinquenti e caricati dalla cavalleria spietata!
«È un grande favore — diceva il
massimo prigioniero, in S. Pietro e Paolo, dei Romanov — quello di lasciarmi
nel mezzo dei miei cari. Io ho tanto voglia di vivere della vita pacifica di un
borghese inoffensivo»! Quanti avevano la stessa voglia in Siberia e nelle
fortezze czariste, dove imperavano il randello, la tortura e il digiuno!
Chi abbia assistito alla fine
della famiglia imperiale non è ancora saputo. Quello che sappiamo è di un
testimone sospetto. Il principe Lvof. Ne ha confidati i particolari in Francia,
e Pichon li ha portati alla Camera. «Signori — ha detto agli onorevoli — la Convenzione Nazionale ha fatto cadere la testa di un re. Voi udrete come i bolscevichi hanno
fatto cadere tutti i membri della famiglia imperiale di Russia. Senza che alcun
tribunale pronunciasse una sentenza su di loro, i bolscevichi li hanno riuniti
tutti assieme in una sola stanza, dove li hanno fatti sedere l'uno accanto
all'altro e baionettati per tutta la notte, per finirli all'indomani, l'uno
dopo l'altro, a colpi di revolvers. L'imperatore, l'imperatrice, le grandi
duchesse, lo czarevich, la dama d'onore e la lettrice dell'imperatrice e tutti
quelli che avevano relazione con la famiglia imperiale sono stati finiti così,
quantunque la stanza fosse un vero lago di sangue. Ecco cosa si è fatto sotto
il regime bolscevico».
Per assicurare l'assemblea che
la sua narrazione fosse sincera, il ministro antibolscevico ha detto che il
principe Lvof era un nome universalmente onorato. Egli era stato imprigionato
in Pietro e Paolo, torturato e minacciato di morte. La sua cella era vicina a
quella in cui si trovavano i membri dell'antico regime.
Noi non sopprimiamo la storia,
ma siamo sicuri che il principe non era in condizione nè di vedere nè di sapere
quello che si faceva in un'altra cella, per quanto vicina. Non bisognerebbe mai
essere stati in prigione per ingoiare le supposizioni del principe. Le celle sono
fatte in un modo dove l'uno non può vedere l'altro. Avrebbe potuto udirne le
grida se i carcerieri del sistema bolscevico fossero stati tanto idioti da far
assistere alla tragedia un uomo che doveva rivedere le stelle. Buffone! Per la
verità aggiungerò questo. Che gli «aguzzini, chiamati così, bolscevichi» quando
i Romanov sono entrati nell'edificio spaventoso hanno domandato loro se avevano
bisogno di qualche cosa, come se fossero entrati in un Hôtel.
— Un po' di vodka, rispose
l'ex-monarca. E gli fu portata in una bottiglia. Se la tracannò in un bicchiere
di cristallo.
Nessuno dei suoi milioni di
imprigionati ha mai avuto un simile trattamento.
Il ministro degli esteri
francese deve essere di buona bocca. Beve tutto... Chi può dimostrare che viene
dalla Russia, può fargli trangugiare che l'orso bianco è divenuto rosso.
Continuando alla Camera gli orrori bolscevichi ha detto: «Tutte le libertà sono
soppresse, tanto per gli operai, che per i contadini, che per i borghesi. La
voce della nazione è assolutamente soffocata. Questo despotismo, più terribile
del militarismo prussiano, è sostenuto da un pugno di energumeni, causa della
fame spaventosa che conduce il paese a una rovina completa!»
E in Francia non c'erano le code
alle botteghe come ci sono state in Italia, in Austria e in Germania?
Fortuna che Pichon non è uno
storico come lo era Thiers!
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