Se il bolscevismo non fosse
inseguito dallo sterquilinio verbale della piccola e della grossa borghesia, lo
direi un idolo di gesso o un cadavere sociale in attesa dei becchini. Non c'è
bocca sguaiata, che non gli abbia vomitato sopra la purulenza dello stomaco
borghese. Tutti gli spostati dell'antico regime sbraitavano, urlavano come se
fossero stati svaligiati del sangue infetto delle loro vene. Ma il bolscevismo
non si è soffermato alle strida della ciurmaglia disoccupata che credeva ogni
giorno di riconquistare le masse dei contadini poveri e degli operai ormai
leninizzati fino al bulbo capillare. Le onde procellose del nuovo regime hanno
invaso tutti gli ambienti. I caotici disordini erano cessati. Il corso della
borghesia (il Prospetto Newsk) non aveva più la stessa fisonomia. Prima era
affollato di signore, di signori, di ufficiali, di giornalisti, di borsisti, di
fannulloni eleganti, ecc. Adesso il luogo è più rispettabile. Non ci sono più
mezzani dalle mani inguantate che collaboravano a sostenere l'impero. La stampa
dei liberali è andata al macero. I liberali non hanno più posto negli impieghi
dello Stato. La rivoluzione ha distrutto la coalizione dei Kerenski e dei
Zeretelli, politicastri che non rappresentavano più davanti al popolo vincente
che la sfiducia del Paese. I loro giornali non diffondevano il leninismo che
come una campagna progromistica e controrivoluzionaria. Ma è venuto il
conflitto. Nel Palazzo Tauride — sede della Duma — si è iniziata la
controrivoluzione con la «marsigliese». Subito dopo entrò nello stesso Palazzo
il reggimento Volinia — quello stesso che aveva marciato in ottobre sotto le
bandiere democratiche. La tribuna è stata invasa dagli oratori circospetti o
dalla parola che nascondeva il pensiero. La sommossa, secondo loro, era stata
domata e i bolscevichi dichiarati controrivoluzionari. Là là! Era in ogni
oratore l'odio dell'impotenza. Ci fu un momento di risurrezione borghese.
Allievi-ufficiali, ufficiali, truppe d'assalto, cavalieri dell'ordine di S.
Giorgio rappresentavano l'ora involutoria. Malmenavano le folle, e si tentava
di disorganizzarle. Arresti a casaccio. Trotski aveva preceduto gli altri. Egli
era ospite delle prigioni di Kreski, dove i prigionieri erano divisi in
delinquenti comuni e delinquenti bolscevichi. Ai delinquenti politici era
permesso la lettura dei giornali e l'occorrente per scrivere. L'accusa generale
per loro era «la rivolta armata». Lo scompiglio nei quartieri del lavoro fu
breve. Il proletariato rivoluzionario, riprese subito la sua marcia trionfale.
L'onda bolscevica si diffuse dai centri cittadini a tutta la Russia. Spinta da teste forti e abituate alle concezioni bolsceviche la marcia continuava. I
controrivoluzionarî delle piccole teste borghesi rinculavano ogni giorno. Per
loro si suonava a morte. La Guardia Rossa era in circolazione. Ne lasciamo la
continuazione a Leo Trotski, magnifico riassuntore del leninismo al potere.
«Per noi — scriveva Trotski, in
un suo opuscolo che riassume a grandi tratti gli avvenimenti più importanti che
condussero al potere il bolscevismo — per noi, l'ostacolo principale fu la
mancanza di uomini che fossero in grado di guidare le azioni militari. Persino
gli ufficiali che avevano coscienziosamente accompagnato i loro soldati alle
posizioni, rifiutavano il posto di comandante supremo dell'esercito.
«Dopo avere lungamente cercato,
ci risolvemmo per la seguente combinazione. La conferenza della guarnigione
nominò una Commissione di 5 persone e ad essa fu affidato il controllo supremo
su tutte le operazioni contro le truppe controrivoluzionarie che marciavano da
Pietrogrado. Questa Commissione si mise poi d'accordo col colonnello di Stato
Maggiore Muravjoff, che, all'epoca del Governo Kerenski, stava all'opposizione
e che ora, di propria iniziativa, aveva offerto i suoi servigi al Governo dei
Soviets.
«Nella fredda notte del 30
ottobre andammo in automobile con Muravjoff alle posizioni. Lungo la strada
maestra incontrammo carri che portavano viveri, foraggi, materiale da guerra
per la frontiera e l'artiglieria. Più di una volta i soldati della Guardia
Rossa fermarono la nostra automobile ed esaminarono il nostro lasciapassare. Fin
dai primi giorni della rivoluzione d'ottobre erano state requisite tutte le
automobili della città. Senza speciale permesso dello Smolni, nessun automobile
poteva passare per le strade della città o dei dintorni. La sorveglianza della
Guardia Rossa era superiore a ogni elogio. I suoi militi stavano raccolti
intorno ai piccoli falò, ore ed ore, col fucile in mano. E lo spettacolo di
quegli operai armati, raccolti intorno ai falò sulla neve, era il miglior
simbolo della rivoluzione proletaria.
«Nelle posizioni furono
collocati molti cannoni.
«Non mancavano nemmeno
proiettili. L'urto decisivo avvenne nello stesso giorno fra Krasnoie-Selo e
Zarkoie-Selo. Dopo accanita lotta di artiglieria i cosacchi che andarono avanti
finchè non trovarono ostacoli, retrocedettero a corsa. In tutto quel tempo
erano stati ingannati con racconti menzogneri intorno alle brutalità e alle
crudeltà dei bolscevichi che volevano consegnare la Russia all'imperatore di Germania! Si era loro dato ad intendere che quasi tutta la guarnigione
di Pietrogrado aspettasse con impazienza i cosacchi come liberatori. La prima
seria resistenza portò lo scompiglio nelle loro file e condannò al fallimento
l'impresa di Kerenski.
«La ritirata dei cosacchi di
Krasnof ci diede la possibilità d'impadronirci della stazione radiotelegrafica
di Zarkoie-Selo. Immediatamente, demmo un radiotelegramma intorno alla nostra
vittoria sulle truppe di Kerenski.
«I nostri amici dell'estero ci
dissero che la stazione radiotelegrafica tedesca non aveva accolto, per ordine
superiore, quel nostro radiotelegramma.
«La prima reazione del Governo
germanico, agli eventi di ottobre, si manifestò con la paura che questi eventi
potessero provocare fermento anche in Germania. Nell'Austria-Ungheria fu
accolta una parte del nostro radiotelegramma, e, a quanto sappiamo, esso servì
per tutta l'Europa come fonte di informazione che lo sventurato tentativo di
Kerenski, di impadronirsi nuovamente del potere, aveva avuto una misera fine.
Fra i cosacchi di Krasnof principiò il fermento. Essi cominciarono a mandare
pattuglie a Pietrogrado e persino delegazioni alla Smolni. Ivi essi avevano la
possibilità di convincersi che nella capitale regnava ordine perfetto, e che
questo ordine veniva mantenuto dalla guarnigione, da quella guarnigione, che,
fino all'ultimo uomo, era tutta quanta per il Governo dei Soviets. La
demoralizzazione fra i cosacchi prese forme tanto più acute, in quanto che
apparve allora chiara ai loro occhi tutta l'insensatezza del loro proposito di
prendere Pietrogrado con l'aiuto di poco più di 1000 uomini di cavalleria.... I
rinforzi dal fronte, a loro promessi, non si fecero vedere.
«Le truppe di Krasnof si
ritirarono a Gacina. Quando, all'indomani, ci recammo in quel luogo, lo Stato
Maggiore di Krasnof era già stato fatto prigioniero dai suoi cosacchi. La
nostra guarnigione di Gacina occupò tutte le posizioni importanti. I cosacchi,
al contrario, sebbene non fossero stati disarmati, si trovavano in uno stato
tale, da non essere in grado di opporre più altra resistenza. Una cosa sola
desideravano: che li lasciassero ritornare, al più presto possibile, alle loro
case, al Don, o almeno al fronte.
«Il palazzo di Gacina offriva
uno spettacolo curioso. A tutti gli ingressi stavano corpi di guardia
rinforzati. Alla porta principale artiglieria e automobili blindate. Nelle sale
del palazzo, adorne di preziosi dipinti, erano marinai, soldati e militi della
Guardia Rossa. Sulle tavole, fatte di materiale prezioso, stavano vestiti di
soldati, pipe, scatole di sardine vuote. In una delle sale vi era lo Stato
Maggiore del generale Krasnof. Per terra erano sparsi, qua e là, mantelli,
berretti, materassi. Il rappresentante del Comitato Militare Rivoluzionario,
che ci accompagnava, entrò nella stanza dello Stato Maggiore, si appoggiò al
fucile, il cui calcio, sbattuto fragorosamente a terra fece sentire il polso
dell'uomo. «Generale Krasnof, disse con voce vibrata, ella e il suo Stato
Maggiore sono arrestati dal Governo dei Soviets». A ognuna delle due porte
erano state poste immediatamente sentinelle armate della Guardia Rossa.
Kerenski non c'era. Egli era di nuovo fuggito, come già l'altra volta dal
Palazzo d'Inverno. Intorno al modo di questa fuga riferisce lo stesso Krasnof
nella dichiarazione scritta, da lui fatti il 1° novembre. Noi citiamo questo
interessante documento senza omettere nulla»:
1°
novembre 1917, ore 7 di sera.
Verso le 3 del pomeriggio fui
fatto chiamare dal comandante supremo dell'esercito, Kerenski. Egli era molto
agitato e nervoso.
— Generale, disse Kerenski, lei
mi ha tradito.... I suoi cosacchi dicono con sicurezza che mi arresteranno e mi
consegneranno ai marinai.
— Già, risposi io, se ne parla,
e io so che lei non incontrerà simpatia presso nessuno.
— Gli ufficiali parlano
anch'essi in questa maniera?
— Specialmente gli ufficiali
sono malcontenti di lei.
— Che cosa debbo fare? Devo
dunque por fine alla mia esistenza?
— Se ella è uomo d'onore, andrà
subito con bandiera bianca a Pietrogrado e si annuncerà al Comitato
Rivoluzionario, col quale, nella sua qualità di capo del Governo, deve parlare.
— Va bene, sarà fatto, generale.
— Le darò una scorta e pregherò
che l'accompagni un marinaio.
— No, non voglio marinai. C'è
qui Dybenko?
— Non so chi sia.
— Il mio nemico.
— Bene, che farci? Ella giuoca una
grande carta e deve avere anche del fegato.
— Sì, ma io voglio partire di
notte.
— Perchè? Sarebbe una fuga. Vada
via in pieno giorno, e farà vedere che lei non scappa.
— Va bene, mi dia una scorta
sicura.
— Benissimo.
Me ne andai, feci venire il
cosacco Russkoff, del decimo reggimento cosacchi del Don, e gli ordinai di
scegliere otto cosacchi per la scorta del capo supremo dell'esercito.
Un'ora e mezzo dopo vennero i
cosacchi e annunciarono che Kerenski non c'era. Egli era fuggito. Feci dare
l'allarme e ordinai di cercarlo. Credo che non abbia abbandonato Gacina e che
si tenga nascosto in qualche luogo.
Il Comandante del III Corpo
Maggiore Generale Krasnof.
I borghesi e la classe al disopra della borghesia
hanno gli occhi di ingrandimento. Non vedono che i loro strazi, che liste di
proscrizioni, che ostaggi, che invasioni nei loro palazzi, che divisioni dei
loro possedimenti, che vittime del bolscevismo. Un ufficiale che venda i
giornali per la strada, è per loro un documento di crudeltà rivoluzionaria. Il
giorno in cui le banche sono state bolscevichizzate, cioè sottratte all'antico
regime per passarle sotto la direzione dei Commissari incaricati dal Soviet,
non ci furono più che sostantivi di deplorazione disperata. Tutti gli epiteti
cloacali sono stati per Lenine e Trotskii. Se li avessero potuti lardellare a
colpi di baionetta non avrebbero esitato. C'era in giro il furore borghese. In
un altro momento li avrebbero strangolati.
La Banca di Stato è stata trascinata nell'orbita della nazionalizzazione come tutte le banche
russe. Le banche estere, come il Credito Lionnais e la National City Bank di New York, hanno potuto conservare la fisionomia antica, limitata alla
liquidazione.
Fra i rivoltosi si sono trovati
frotte di impiegati bancari che hanno incrociato le braccia, credendo di
arrestare il progresso della solidificazione della Repubblica federativa. Il
bolscevismo invece di fucilarli in massa li ha fatti ritornare al telonio.
Duole a tutti che un
rivoluzionario come Pietro Kropotkine sia stato incarcerato dal bolscevismo. A
76 anni si dovrebbe essere incolumi. Ma Kropotkine è un altro uomo. È un
combattente della penna. È un uomo che ha insegnato anarchia tutta la vita. Che
ha incominciato con la parola di rivoltoso e che ha continuato con una serie di
opuscoli e di libri pieni di idee per la turbolenza sociale. Per il
proletariato russo il vittimizzato dallo Czar non era più che uno sconosciuto
come Plekhanof. Kropotkine scriveva in inglese e in francese da 40 anni. Non
erano che gli amici intimi che vedevano qualche sua lettera. Era anche lui un
assente. Il profugo russo se torna in patria si trova più isolato che nei paesi
del suo esilio. La fama del giovine Borodin che andava per i campi e nelle
officine a propagandare, si era dissipata come una nube. Paggio, ciambellano,
principe, geografo, storico, collaboratore di Reclus, e delle più
importanti riviste inglesi e americane si era fatta un'altra fama. Chiamato in
rivoluzione borghese da Kerenski non ha potuto o saputo piegarsi alla
rivoluzione proletaria. Egli si è trovato disambientato, incapace con la sua
rigidezza di piegare alle idee che hanno trionfato. I Soviets sono stati
obbligati a disarmarlo perchè la sua penna non fornicasse cogli alleati del
patto di Londra. I bolscevichi non si aspettavano il grande rivoluzionario con
la prosa degli antagonisti o dei versagliesi russi.
Due rivoluzioni, l'una
patriottica e l'altra proletaria, non passano senza fare storia.
Tanto la rivoluzione di
Kerenski, quanto quella di Lenin non hanno trionfato senza spargimento di
sangue, senza arresti, senza esecuzioni marziali, senza scambi di pugnalate e
revolverate. Tre mesi dopo dalla prima rivoluzione non ci furono nè disordini
nè misfatti, nè delitti. Lo ha detto Vandervelde, ministro belga. Ma lui ha
esagerato, come esagerano i quotidiani della menzogna. Quello che c'è stato c'è
stato. Nei momenti iniziali si può trovare un cadavere allungato sul
marciapiede come si può vedere un edificio in fiamme. Sono episodi di tutti i
giorni e di tutte le rivoluzioni. I castelli baronali inglesi venivano
incendiati. Da chi? Dalla rivoluzione che divorava il feudalismo. Non
meravigliamoci. Un fatterello dà il la a tutta una classe. Si ordina la
fermata dei trams. In rivoluzione il cervello è incandescente. La resistenza ne
fa scaraventare uno nella Neva. In una officina si sono trovati tre cadaveri di
operai che non avevano voluto incrociare le braccia in fretta. Momenti di
linciaggio. La solidarietà è indispensabile. In altre fabbriche altre scene,
come nella fabbrica dei tabacchi. Qua un gravoche che invola, là un uomo
che si fa servire lasciando il conto da pagare alla rivoluzione. È naturale.
Non si capovolgono i costumi senza incidenti. Se la storia rivoluzionaria
mancasse di episodi sanguinosi sarebbe una farsa. Un edificio odioso come la Bastiglia lo si incendia. È fiammata di tutte le rivoluzioni. Non si sta in forse. O
demolirlo o dargli fuoco.
A Parigi, i poliziotti del
vecchio regime, venivano padre» che ha espiato, non meritavano che la
strangolazione sommaria1. Gente crudele. L'enorme prigione di
Brest-Litowsky bruciava. Giusto. Aveva la vastità di un'isola. Libertà ai
prigionieri e fuoco all'edificio.
Gli ostaggi hanno elevata la
paura fino alla disperazione. I borghesi grossi e piccoli che applaudivano agli
arresti e alle uccisioni proletarie, davano fuori come pazzi non appena
appariva una lista di qualche centinaio di sospetti messi al sicuro. Balfour,
in Irlanda, aveva calcate le carceri di sospetti e la borghesia lo
congratulava. Non c'è rivoluzione che non abbia nelle proprie pieghe ostaggi.
Ne ha avuti quella dei chartisti; ne hanno avuti quelle del '48; ne ha avuto
quella dei Danton c dei Desmoulins; ne ha avuto quella comunarda; doveva averne
quella di Pietrogrado che ha superato le sue consorelle.
Ci sono figure odiose. Luoghi
che terrorizzano come Pietro e Paolo. Come le sedi della polizia dell'antico
regime. Come Zarkoie Selo — centro di tutte le viltà russe. Perchè non è stato
divorato dalle fiamme come un edificio orribile — come un bordello imperiale?
Per la solita conservazione. In tempo di pace si andrà a vederlo come un
santuario:
«Questa fu l'ultima abitazione
della famiglia di Nicola!»
Noi siamo per la scomparsa dei
monumenti che irritano il pensiero. Vogliamo la vita epurata. Non più fottisterî
imperiali, non più bastiglie, non più Siberia penale. La storia registri, ma la
vista non sia turbata dai tristi ricordi. I sofferenti, quelli che hanno
patito, s'indignano delle conservazioni. Nei giorni della liberazione più che
mai. Le vittime se ne ricordano più degli altri. Ed ecco l'arsenale preso
d'assalto ed il suo direttore, generale Malaupoff, stramazzato al suolo. Il
palazzo di giustizia non può sussistere alla rivoluzione. È dove la gente è
stata suppliziata dalle sentenze. È dove il giudice è stato un manigoldo.
Abbasso! Mano alle picche!
A sentire la gente il
bolscevismo è sinonimo di tutte le ladrerie e di tutte le trufferie. Non c'è
più proprietà. Tutto è espropriato. Tutto è tolto ai padroni e tutto è dato ai
nullatenenti. I pitocchi sono divenuti i nuovi ricchi. I contadini poveri i
nuovi latifondisti. Bugie! La proprietà non è che regolata un po' più di prima.
È proprietà dei Soviets. È messa a disposizione dei bisognosi. È vuotata del
suo contenuto capitalistico. Il principio della legalità è rispettato.
Quando il Governo ha trasportato
la sua sede da Pietrogrado a Mosca, vi è giunto con una moltitudine
d'impiegati. Lenine non ha disturbato i cittadini. Ha requisito solo gli
alberghi e non invase che gli edifici inabitati. Così è il decreto del 28
ottobre 1917. «Le municipalità autonome, hanno il diritto di sequestrare tutti
i locali inoccupati e disabitati. Le municipalità autonome hanno diritto di
installare negli alloggi disponibili i cittadini che non sanno dove accasarsi o
che vivono negli alloggi affollati e malsani». Non si può essere più
galantuomini. Senza questo miglioramento sarebbe inutile passare dalla
borghesia al bolscevismo.
Il ritiro dei conti correnti
dalle banche nazionalizzate è stato limitato a 150 rubli la settimana. Non fu
un furto, fu una limitazione. I depositi nelle cassette di sicurezza alle
banche li ha fatti passare dalle banche di speculazione alla Banca di Stato con
l'obbligo ai proprietari di presentarsi all'invito con le chiavi per le
revisioni. L'argento e i titoli sono divenuti dei conti correnti e l'oro
monetato è passato alla confisca. Coloro che si sono rifiutati di presentarsi
alla revisione, dopo tre giorni dalla convocazione, sono stati considerati
malintenzionati e la loro proprietà è passata alla Banca di Stato come
proprietà del popolo.
Le operazioni di banca furono
dichiarate monopolio di Stato e le Banche private delle Società per azioni fuse
con la Banca di Stato, la quale, con il Consiglio, ne ha la direzione.
Le vecchie società borghesi, monarchiche
e repubblicane, continuano a mantenere la più rancida istituzione dei popoli
che stanno consumandosi fino alla corda senza svecchiarsi. Il bolscevismo non
ha esitato, dopo tre mesi di regno, ad abolire l'eredità a beneficio della
nazione.
L'eredità è divenuta nazionale.
Era indecente che gli eredi vivessero alle spalle di chi aveva lavorato,
sgobbato, risparmiato, fatto l'aguzzino, magari, per mettere da parte.
L'immoralità scandalosa è finita, Chi ha, non ha più per erede che la Repubblica dei Soviets. E per evitare che il Governo sovietista sia truffato con la consegna
dei tesori a mano, sono proibiti i doni, tra i vivi del testatore, di un valore
superiore a 10.000 rubli.
La proprietà fondiaria ha pure
perduto la sua fisonomia autocratica con questo semplice articolo: «I diritti
sulla grande proprietà fondiaria sono annullati e senza riscatto. Tutto è
passato alla fusione. Le terre degli appannaggi, dei monasteri, delle chiese
con tutto il bestiame e il materiale agricolo sono amministrati dai Comitati
agrarii cantonali del Soviet del distretto fino all'assemblea costituente».
L'individuo, in bolscevismo, non
è un valore sociale che quando è coi suoi simili. Il berretto frigio,
individualizzava. Il bolscevismo collettivizza. Gli avvocati separati non sono
più niente. L'antico Foro è morto. Non esistono che i Collegi defensionali
raccomandati dai Soviets. Così è della stampa. Ne abbiamo già parlato. La
libertà di stampa esiste. Ma essa deve movimentarsi nei quadri socialisti e non
in quelli della società capitalista o borghese. Ecco l'ideale di Lenine. E
Trotski ha detto:
«Saranno sospesi gli organi
della stampa:
che faranno appello alla
resistenza aperta al Governo degli operai e dei paesani;
che semineranno torbidi
snaturando calunniosamente i fatti;
che inviteranno ad azioni
criminose, vale a dire ad azioni passibili dei tribunali criminali.
La sospensione provvisoria o
definitiva non può essere esecutiva che nell'ordine del Consiglio dei
Commissari del popolo.
Queste misure non hanno che un
carattere provvisorio e saranno abolite da un ukase speciale quando la vita
sarà rientrata nelle condizioni normali».
Come nei tempi della grande
rivoluzione del berretto frigio sono stati aboliti i titoli nobiliari. Non si
poteva abolire la proprietà e l'eredità per poi lasciar vivere i titolati dagli
Czar o dalla repubblica politica di Kerenski. Tutti alla fogna!
Vedete gli uomini di due
rivoluzioni in uno stesso episodio. Luigi XVI ha pianto quando la guardia
civica della prigione del Temple lo ha avvertito che doveva buttare nel vaso da
notte la chincaglieria del suo petto. Alcuni aristocratici del suo tempo hanno
sepolto le decorazioni, nella speranza di disseppellirle in un periodo di
ristorazione.
Il bolscevismo non è stato così
reciso con il matrimonio. Il Governo non riconosce che il matrimonio civile.
Del matrimonio religioso non se ne è occupato. «È affare vostro», ha detto
loro. La legge laica non permette matrimoni che al maschio che ha 18 anni e
alla femmina che ne ha sedici. Ci sono stati in provincia dei Soviets che
volevano l'abolizione dell'uno e dell'altro, per lasciare che venisse in scena
l'amor libero e cioè l'appaiamento spontaneo. Il pregiudizio o la tradizione è
stata più forte che l'abitudine di coattizzare la coppia in una casa a vita: sorgente
di omicidii e di adulterii infiniti.
E adesso ho finito. Lenine è in
questo momento in una lotta accanita tra il bolscevismo e la massa sciovinista,
slavofila, monarchica e czarista. Non c'è bisogno di profezie. La vittoria del
proletariato è ormai completa. Non bisogna però credere che Lenine sia
cresciuto in una notte come il fungo dopo la pioggia. La sua organizzazione
bolscevica fu di tutti i Congressi passati. È lui che ha avuta la concezione di
bolscevizzare tutte le nazioni simultaneamente e che ha proposto di diffonderne
il progetto fra le nazioni. Alla conferenza del 1916 propose con la Rosa Luxemburg un ordine del giorno che doveva far cessare la conflagrazione europea con
l'incrociamento delle braccia dei lavoratori di tutto il mondo. Sono loro, i
bolscevichi, che sono stati chiamati da tutti i governi disfattisti clandestini
che noi socialisti chiamavamo zimmerwaldiani, i quali, come sapete, esigevano
la pace rapida senza annessioni e contribuzioni. Il disfattismo non è
delinquenza. È il disfacimento delle leggi dannose al popolo.
FINE.
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