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Paolo Valera
La catastrofe degli czars

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  • L'inferno bolscevico.
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L'inferno bolscevico.

 

Se il bolscevismo non fosse inseguito dallo sterquilinio verbale della piccola e della grossa borghesia, lo direi un idolo di gesso o un cadavere sociale in attesa dei becchini. Non c'è bocca sguaiata, che non gli abbia vomitato sopra la purulenza dello stomaco borghese. Tutti gli spostati dell'antico regime sbraitavano, urlavano come se fossero stati svaligiati del sangue infetto delle loro vene. Ma il bolscevismo non si è soffermato alle strida della ciurmaglia disoccupata che credeva ogni giorno di riconquistare le masse dei contadini poveri e degli operai ormai leninizzati fino al bulbo capillare. Le onde procellose del nuovo regime hanno invaso tutti gli ambienti. I caotici disordini erano cessati. Il corso della borghesia (il Prospetto Newsk) non aveva più la stessa fisonomia. Prima era affollato di signore, di signori, di ufficiali, di giornalisti, di borsisti, di fannulloni eleganti, ecc. Adesso il luogo è più rispettabile. Non ci sono più mezzani dalle mani inguantate che collaboravano a sostenere l'impero. La stampa dei liberali è andata al macero. I liberali non hanno più posto negli impieghi dello Stato. La rivoluzione ha distrutto la coalizione dei Kerenski e dei Zeretelli, politicastri che non rappresentavano più davanti al popolo vincente che la sfiducia del Paese. I loro giornali non diffondevano il leninismo che come una campagna progromistica e controrivoluzionaria. Ma è venuto il conflitto. Nel Palazzo Tauridesede della Duma — si è iniziata la controrivoluzione con la «marsigliese». Subito dopo entrò nello stesso Palazzo il reggimento Volinia — quello stesso che aveva marciato in ottobre sotto le bandiere democratiche. La tribuna è stata invasa dagli oratori circospetti o dalla parola che nascondeva il pensiero. La sommossa, secondo loro, era stata domata e i bolscevichi dichiarati controrivoluzionari. ! Era in ogni oratore l'odio dell'impotenza. Ci fu un momento di risurrezione borghese. Allievi-ufficiali, ufficiali, truppe d'assalto, cavalieri dell'ordine di S. Giorgio rappresentavano l'ora involutoria. Malmenavano le folle, e si tentava di disorganizzarle. Arresti a casaccio. Trotski aveva preceduto gli altri. Egli era ospite delle prigioni di Kreski, dove i prigionieri erano divisi in delinquenti comuni e delinquenti bolscevichi. Ai delinquenti politici era permesso la lettura dei giornali e l'occorrente per scrivere. L'accusa generale per loro era «la rivolta armata». Lo scompiglio nei quartieri del lavoro fu breve. Il proletariato rivoluzionario, riprese subito la sua marcia trionfale. L'onda bolscevica si diffuse dai centri cittadini a tutta la Russia. Spinta da teste forti e abituate alle concezioni bolsceviche la marcia continuava. I controrivoluzionarî delle piccole teste borghesi rinculavano ogni giorno. Per loro si suonava a morte. La Guardia Rossa era in circolazione. Ne lasciamo la continuazione a Leo Trotski, magnifico riassuntore del leninismo al potere.

«Per noi — scriveva Trotski, in un suo opuscolo che riassume a grandi tratti gli avvenimenti più importanti che condussero al potere il bolscevismo — per noi, l'ostacolo principale fu la mancanza di uomini che fossero in grado di guidare le azioni militari. Persino gli ufficiali che avevano coscienziosamente accompagnato i loro soldati alle posizioni, rifiutavano il posto di comandante supremo dell'esercito.

«Dopo avere lungamente cercato, ci risolvemmo per la seguente combinazione. La conferenza della guarnigione nominò una Commissione di 5 persone e ad essa fu affidato il controllo supremo su tutte le operazioni contro le truppe controrivoluzionarie che marciavano da Pietrogrado. Questa Commissione si mise poi d'accordo col colonnello di Stato Maggiore Muravjoff, che, all'epoca del Governo Kerenski, stava all'opposizione e che ora, di propria iniziativa, aveva offerto i suoi servigi al Governo dei Soviets.

«Nella fredda notte del 30 ottobre andammo in automobile con Muravjoff alle posizioni. Lungo la strada maestra incontrammo carri che portavano viveri, foraggi, materiale da guerra per la frontiera e l'artiglieria. Più di una volta i soldati della Guardia Rossa fermarono la nostra automobile ed esaminarono il nostro lasciapassare. Fin dai primi giorni della rivoluzione d'ottobre erano state requisite tutte le automobili della città. Senza speciale permesso dello Smolni, nessun automobile poteva passare per le strade della città o dei dintorni. La sorveglianza della Guardia Rossa era superiore a ogni elogio. I suoi militi stavano raccolti intorno ai piccoli falò, ore ed ore, col fucile in mano. E lo spettacolo di quegli operai armati, raccolti intorno ai falò sulla neve, era il miglior simbolo della rivoluzione proletaria.

«Nelle posizioni furono collocati molti cannoni.

«Non mancavano nemmeno proiettili. L'urto decisivo avvenne nello stesso giorno fra Krasnoie-Selo e Zarkoie-Selo. Dopo accanita lotta di artiglieria i cosacchi che andarono avanti finchè non trovarono ostacoli, retrocedettero a corsa. In tutto quel tempo erano stati ingannati con racconti menzogneri intorno alle brutalità e alle crudeltà dei bolscevichi che volevano consegnare la Russia all'imperatore di Germania! Si era loro dato ad intendere che quasi tutta la guarnigione di Pietrogrado aspettasse con impazienza i cosacchi come liberatori. La prima seria resistenza portò lo scompiglio nelle loro file e condannò al fallimento l'impresa di Kerenski.

«La ritirata dei cosacchi di Krasnof ci diede la possibilità d'impadronirci della stazione radiotelegrafica di Zarkoie-Selo. Immediatamente, demmo un radiotelegramma intorno alla nostra vittoria sulle truppe di Kerenski.

«I nostri amici dell'estero ci dissero che la stazione radiotelegrafica tedesca non aveva accolto, per ordine superiore, quel nostro radiotelegramma.

«La prima reazione del Governo germanico, agli eventi di ottobre, si manifestò con la paura che questi eventi potessero provocare fermento anche in Germania. Nell'Austria-Ungheria fu accolta una parte del nostro radiotelegramma, e, a quanto sappiamo, esso servì per tutta l'Europa come fonte di informazione che lo sventurato tentativo di Kerenski, di impadronirsi nuovamente del potere, aveva avuto una misera fine. Fra i cosacchi di Krasnof principiò il fermento. Essi cominciarono a mandare pattuglie a Pietrogrado e persino delegazioni alla Smolni. Ivi essi avevano la possibilità di convincersi che nella capitale regnava ordine perfetto, e che questo ordine veniva mantenuto dalla guarnigione, da quella guarnigione, che, fino all'ultimo uomo, era tutta quanta per il Governo dei Soviets. La demoralizzazione fra i cosacchi prese forme tanto più acute, in quanto che apparve allora chiara ai loro occhi tutta l'insensatezza del loro proposito di prendere Pietrogrado con l'aiuto di poco più di 1000 uomini di cavalleria.... I rinforzi dal fronte, a loro promessi, non si fecero vedere.

«Le truppe di Krasnof si ritirarono a Gacina. Quando, all'indomani, ci recammo in quel luogo, lo Stato Maggiore di Krasnof era già stato fatto prigioniero dai suoi cosacchi. La nostra guarnigione di Gacina occupò tutte le posizioni importanti. I cosacchi, al contrario, sebbene non fossero stati disarmati, si trovavano in uno stato tale, da non essere in grado di opporre più altra resistenza. Una cosa sola desideravano: che li lasciassero ritornare, al più presto possibile, alle loro case, al Don, o almeno al fronte.

«Il palazzo di Gacina offriva uno spettacolo curioso. A tutti gli ingressi stavano corpi di guardia rinforzati. Alla porta principale artiglieria e automobili blindate. Nelle sale del palazzo, adorne di preziosi dipinti, erano marinai, soldati e militi della Guardia Rossa. Sulle tavole, fatte di materiale prezioso, stavano vestiti di soldati, pipe, scatole di sardine vuote. In una delle sale vi era lo Stato Maggiore del generale Krasnof. Per terra erano sparsi, qua e , mantelli, berretti, materassi. Il rappresentante del Comitato Militare Rivoluzionario, che ci accompagnava, entrò nella stanza dello Stato Maggiore, si appoggiò al fucile, il cui calcio, sbattuto fragorosamente a terra fece sentire il polso dell'uomo. «Generale Krasnof, disse con voce vibrata, ella e il suo Stato Maggiore sono arrestati dal Governo dei Soviets». A ognuna delle due porte erano state poste immediatamente sentinelle armate della Guardia Rossa. Kerenski non c'era. Egli era di nuovo fuggito, come già l'altra volta dal Palazzo d'Inverno. Intorno al modo di questa fuga riferisce lo stesso Krasnof nella dichiarazione scritta, da lui fatti il novembre. Noi citiamo questo interessante documento senza omettere nulla»:

 

novembre 1917, ore 7 di sera.

Verso le 3 del pomeriggio fui fatto chiamare dal comandante supremo dell'esercito, Kerenski. Egli era molto agitato e nervoso.

Generale, disse Kerenski, lei mi ha tradito.... I suoi cosacchi dicono con sicurezza che mi arresteranno e mi consegneranno ai marinai.

— Già, risposi io, se ne parla, e io so che lei non incontrerà simpatia presso nessuno.

— Gli ufficiali parlano anch'essi in questa maniera?

— Specialmente gli ufficiali sono malcontenti di lei.

— Che cosa debbo fare? Devo dunque por fine alla mia esistenza?

— Se ella è uomo d'onore, andrà subito con bandiera bianca a Pietrogrado e si annuncerà al Comitato Rivoluzionario, col quale, nella sua qualità di capo del Governo, deve parlare.

Va bene, sarà fatto, generale.

— Le darò una scorta e pregherò che l'accompagni un marinaio.

— No, non voglio marinai. C'è qui Dybenko?

— Non so chi sia.

— Il mio nemico.

Bene, che farci? Ella giuoca una grande carta e deve avere anche del fegato.

— Sì, ma io voglio partire di notte.

Perchè? Sarebbe una fuga. Vada via in pieno giorno, e farà vedere che lei non scappa.

Va bene, mi dia una scorta sicura.

Benissimo.

Me ne andai, feci venire il cosacco Russkoff, del decimo reggimento cosacchi del Don, e gli ordinai di scegliere otto cosacchi per la scorta del capo supremo dell'esercito.

Un'ora e mezzo dopo vennero i cosacchi e annunciarono che Kerenski non c'era. Egli era fuggito. Feci dare l'allarme e ordinai di cercarlo. Credo che non abbia abbandonato Gacina e che si tenga nascosto in qualche luogo.

Il Comandante del III Corpo

Maggiore Generale Krasnof.

 

I borghesi e la classe al disopra della borghesia hanno gli occhi di ingrandimento. Non vedono che i loro strazi, che liste di proscrizioni, che ostaggi, che invasioni nei loro palazzi, che divisioni dei loro possedimenti, che vittime del bolscevismo. Un ufficiale che venda i giornali per la strada, è per loro un documento di crudeltà rivoluzionaria. Il giorno in cui le banche sono state bolscevichizzate, cioè sottratte all'antico regime per passarle sotto la direzione dei Commissari incaricati dal Soviet, non ci furono più che sostantivi di deplorazione disperata. Tutti gli epiteti cloacali sono stati per Lenine e Trotskii. Se li avessero potuti lardellare a colpi di baionetta non avrebbero esitato. C'era in giro il furore borghese. In un altro momento li avrebbero strangolati.

La Banca di Stato è stata trascinata nell'orbita della nazionalizzazione come tutte le banche russe. Le banche estere, come il Credito Lionnais e la National City Bank di New York, hanno potuto conservare la fisionomia antica, limitata alla liquidazione.

Fra i rivoltosi si sono trovati frotte di impiegati bancari che hanno incrociato le braccia, credendo di arrestare il progresso della solidificazione della Repubblica federativa. Il bolscevismo invece di fucilarli in massa li ha fatti ritornare al telonio.

Duole a tutti che un rivoluzionario come Pietro Kropotkine sia stato incarcerato dal bolscevismo. A 76 anni si dovrebbe essere incolumi. Ma Kropotkine è un altro uomo. È un combattente della penna. È un uomo che ha insegnato anarchia tutta la vita. Che ha incominciato con la parola di rivoltoso e che ha continuato con una serie di opuscoli e di libri pieni di idee per la turbolenza sociale. Per il proletariato russo il vittimizzato dallo Czar non era più che uno sconosciuto come Plekhanof. Kropotkine scriveva in inglese e in francese da 40 anni. Non erano che gli amici intimi che vedevano qualche sua lettera. Era anche lui un assente. Il profugo russo se torna in patria si trova più isolato che nei paesi del suo esilio. La fama del giovine Borodin che andava per i campi e nelle officine a propagandare, si era dissipata come una nube. Paggio, ciambellano, principe, geografo, storico, collaboratore di Reclus, e delle più importanti riviste inglesi e americane si era fatta un'altra fama. Chiamato in rivoluzione borghese da Kerenski non ha potuto o saputo piegarsi alla rivoluzione proletaria. Egli si è trovato disambientato, incapace con la sua rigidezza di piegare alle idee che hanno trionfato. I Soviets sono stati obbligati a disarmarlo perchè la sua penna non fornicasse cogli alleati del patto di Londra. I bolscevichi non si aspettavano il grande rivoluzionario con la prosa degli antagonisti o dei versagliesi russi.

Due rivoluzioni, l'una patriottica e l'altra proletaria, non passano senza fare storia.

Tanto la rivoluzione di Kerenski, quanto quella di Lenin non hanno trionfato senza spargimento di sangue, senza arresti, senza esecuzioni marziali, senza scambi di pugnalate e revolverate. Tre mesi dopo dalla prima rivoluzione non ci furono disordini misfatti, delitti. Lo ha detto Vandervelde, ministro belga. Ma lui ha esagerato, come esagerano i quotidiani della menzogna. Quello che c'è stato c'è stato. Nei momenti iniziali si può trovare un cadavere allungato sul marciapiede come si può vedere un edificio in fiamme. Sono episodi di tutti i giorni e di tutte le rivoluzioni. I castelli baronali inglesi venivano incendiati. Da chi? Dalla rivoluzione che divorava il feudalismo. Non meravigliamoci. Un fatterello il la a tutta una classe. Si ordina la fermata dei trams. In rivoluzione il cervello è incandescente. La resistenza ne fa scaraventare uno nella Neva. In una officina si sono trovati tre cadaveri di operai che non avevano voluto incrociare le braccia in fretta. Momenti di linciaggio. La solidarietà è indispensabile. In altre fabbriche altre scene, come nella fabbrica dei tabacchi. Qua un gravoche che invola, un uomo che si fa servire lasciando il conto da pagare alla rivoluzione. È naturale. Non si capovolgono i costumi senza incidenti. Se la storia rivoluzionaria mancasse di episodi sanguinosi sarebbe una farsa. Un edificio odioso come la Bastiglia lo si incendia. È fiammata di tutte le rivoluzioni. Non si sta in forse. O demolirlo o dargli fuoco.

A Parigi, i poliziotti del vecchio regime, venivano padre» che ha espiato, non meritavano che la strangolazione sommaria1. Gente crudele. L'enorme prigione di Brest-Litowsky bruciava. Giusto. Aveva la vastità di un'isola. Libertà ai prigionieri e fuoco all'edificio.

Gli ostaggi hanno elevata la paura fino alla disperazione. I borghesi grossi e piccoli che applaudivano agli arresti e alle uccisioni proletarie, davano fuori come pazzi non appena appariva una lista di qualche centinaio di sospetti messi al sicuro. Balfour, in Irlanda, aveva calcate le carceri di sospetti e la borghesia lo congratulava. Non c'è rivoluzione che non abbia nelle proprie pieghe ostaggi. Ne ha avuti quella dei chartisti; ne hanno avuti quelle del '48; ne ha avuto quella dei Danton c dei Desmoulins; ne ha avuto quella comunarda; doveva averne quella di Pietrogrado che ha superato le sue consorelle.

Ci sono figure odiose. Luoghi che terrorizzano come Pietro e Paolo. Come le sedi della polizia dell'antico regime. Come Zarkoie Selocentro di tutte le viltà russe. Perchè non è stato divorato dalle fiamme come un edificio orribile — come un bordello imperiale? Per la solita conservazione. In tempo di pace si andrà a vederlo come un santuario:

«Questa fu l'ultima abitazione della famiglia di Nicola

Noi siamo per la scomparsa dei monumenti che irritano il pensiero. Vogliamo la vita epurata. Non più fottisterî imperiali, non più bastiglie, non più Siberia penale. La storia registri, ma la vista non sia turbata dai tristi ricordi. I sofferenti, quelli che hanno patito, s'indignano delle conservazioni. Nei giorni della liberazione più che mai. Le vittime se ne ricordano più degli altri. Ed ecco l'arsenale preso d'assalto ed il suo direttore, generale Malaupoff, stramazzato al suolo. Il palazzo di giustizia non può sussistere alla rivoluzione. È dove la gente è stata suppliziata dalle sentenze. È dove il giudice è stato un manigoldo. Abbasso! Mano alle picche!

A sentire la gente il bolscevismo è sinonimo di tutte le ladrerie e di tutte le trufferie. Non c'è più proprietà. Tutto è espropriato. Tutto è tolto ai padroni e tutto è dato ai nullatenenti. I pitocchi sono divenuti i nuovi ricchi. I contadini poveri i nuovi latifondisti. Bugie! La proprietà non è che regolata un po' più di prima. È proprietà dei Soviets. È messa a disposizione dei bisognosi. È vuotata del suo contenuto capitalistico. Il principio della legalità è rispettato.

Quando il Governo ha trasportato la sua sede da Pietrogrado a Mosca, vi è giunto con una moltitudine d'impiegati. Lenine non ha disturbato i cittadini. Ha requisito solo gli alberghi e non invase che gli edifici inabitati. Così è il decreto del 28 ottobre 1917. «Le municipalità autonome, hanno il diritto di sequestrare tutti i locali inoccupati e disabitati. Le municipalità autonome hanno diritto di installare negli alloggi disponibili i cittadini che non sanno dove accasarsi o che vivono negli alloggi affollati e malsani». Non si può essere più galantuomini. Senza questo miglioramento sarebbe inutile passare dalla borghesia al bolscevismo.

Il ritiro dei conti correnti dalle banche nazionalizzate è stato limitato a 150 rubli la settimana. Non fu un furto, fu una limitazione. I depositi nelle cassette di sicurezza alle banche li ha fatti passare dalle banche di speculazione alla Banca di Stato con l'obbligo ai proprietari di presentarsi all'invito con le chiavi per le revisioni. L'argento e i titoli sono divenuti dei conti correnti e l'oro monetato è passato alla confisca. Coloro che si sono rifiutati di presentarsi alla revisione, dopo tre giorni dalla convocazione, sono stati considerati malintenzionati e la loro proprietà è passata alla Banca di Stato come proprietà del popolo.

Le operazioni di banca furono dichiarate monopolio di Stato e le Banche private delle Società per azioni fuse con la Banca di Stato, la quale, con il Consiglio, ne ha la direzione.

Le vecchie società borghesi, monarchiche e repubblicane, continuano a mantenere la più rancida istituzione dei popoli che stanno consumandosi fino alla corda senza svecchiarsi. Il bolscevismo non ha esitato, dopo tre mesi di regno, ad abolire l'eredità a beneficio della nazione.

L'eredità è divenuta nazionale. Era indecente che gli eredi vivessero alle spalle di chi aveva lavorato, sgobbato, risparmiato, fatto l'aguzzino, magari, per mettere da parte. L'immoralità scandalosa è finita, Chi ha, non ha più per erede che la Repubblica dei Soviets. E per evitare che il Governo sovietista sia truffato con la consegna dei tesori a mano, sono proibiti i doni, tra i vivi del testatore, di un valore superiore a 10.000 rubli.

La proprietà fondiaria ha pure perduto la sua fisonomia autocratica con questo semplice articolo: «I diritti sulla grande proprietà fondiaria sono annullati e senza riscatto. Tutto è passato alla fusione. Le terre degli appannaggi, dei monasteri, delle chiese con tutto il bestiame e il materiale agricolo sono amministrati dai Comitati agrarii cantonali del Soviet del distretto fino all'assemblea costituente».

L'individuo, in bolscevismo, non è un valore sociale che quando è coi suoi simili. Il berretto frigio, individualizzava. Il bolscevismo collettivizza. Gli avvocati separati non sono più niente. L'antico Foro è morto. Non esistono che i Collegi defensionali raccomandati dai Soviets. Così è della stampa. Ne abbiamo già parlato. La libertà di stampa esiste. Ma essa deve movimentarsi nei quadri socialisti e non in quelli della società capitalista o borghese. Ecco l'ideale di Lenine. E Trotski ha detto:

«Saranno sospesi gli organi della stampa:

che faranno appello alla resistenza aperta al Governo degli operai e dei paesani;

che semineranno torbidi snaturando calunniosamente i fatti;

che inviteranno ad azioni criminose, vale a dire ad azioni passibili dei tribunali criminali.

La sospensione provvisoria o definitiva non può essere esecutiva che nell'ordine del Consiglio dei Commissari del popolo.

Queste misure non hanno che un carattere provvisorio e saranno abolite da un ukase speciale quando la vita sarà rientrata nelle condizioni normali».

Come nei tempi della grande rivoluzione del berretto frigio sono stati aboliti i titoli nobiliari. Non si poteva abolire la proprietà e l'eredità per poi lasciar vivere i titolati dagli Czar o dalla repubblica politica di Kerenski. Tutti alla fogna!

Vedete gli uomini di due rivoluzioni in uno stesso episodio. Luigi XVI ha pianto quando la guardia civica della prigione del Temple lo ha avvertito che doveva buttare nel vaso da notte la chincaglieria del suo petto. Alcuni aristocratici del suo tempo hanno sepolto le decorazioni, nella speranza di disseppellirle in un periodo di ristorazione.

Il bolscevismo non è stato così reciso con il matrimonio. Il Governo non riconosce che il matrimonio civile. Del matrimonio religioso non se ne è occupato. «È affare vostro», ha detto loro. La legge laica non permette matrimoni che al maschio che ha 18 anni e alla femmina che ne ha sedici. Ci sono stati in provincia dei Soviets che volevano l'abolizione dell'uno e dell'altro, per lasciare che venisse in scena l'amor libero e cioè l'appaiamento spontaneo. Il pregiudizio o la tradizione è stata più forte che l'abitudine di coattizzare la coppia in una casa a vita: sorgente di omicidii e di adulterii infiniti.

E adesso ho finito. Lenine è in questo momento in una lotta accanita tra il bolscevismo e la massa sciovinista, slavofila, monarchica e czarista. Non c'è bisogno di profezie. La vittoria del proletariato è ormai completa. Non bisogna però credere che Lenine sia cresciuto in una notte come il fungo dopo la pioggia. La sua organizzazione bolscevica fu di tutti i Congressi passati. È lui che ha avuta la concezione di bolscevizzare tutte le nazioni simultaneamente e che ha proposto di diffonderne il progetto fra le nazioni. Alla conferenza del 1916 propose con la Rosa Luxemburg un ordine del giorno che doveva far cessare la conflagrazione europea con l'incrociamento delle braccia dei lavoratori di tutto il mondo. Sono loro, i bolscevichi, che sono stati chiamati da tutti i governi disfattisti clandestini che noi socialisti chiamavamo zimmerwaldiani, i quali, come sapete, esigevano la pace rapida senza annessioni e contribuzioni. Il disfattismo non è delinquenza. È il disfacimento delle leggi dannose al popolo.

 

FINE.

 




1 Così nel testo. La frase è incomprensibile forse per un salto di riga. Non mi risulta che esista un’altra edizione di questo testo per poter fare un confronto. [Nota per l’edizione elettronica Manuzio]




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