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Paolo Valera
La catastrofe degli czars

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Intermezzo.

 

Si sente che il bolscevismo è su di un terreno solido. Progredisce tutti i giorni. Ma come nella grande rivoluzione francese, nella grande rivoluzione russa i cambiamenti sociali producono i brontoloni, gli spostati, gli uomini e le donne che non vedono nei movimenti nuovi che disastri personali. L'ambiente vecchio non si lascia distruggere dal nuovo in un attimo. Fu così anche ai tempi della Convenzione. Alcuni si spaventavano, si coricavano o andavano a tavola con il veleno in tasca. Alcuni preferivano la morte furtiva del suicidio alla morte drammatica della fucilata. I gusti sono gusti. Così in Russia. I mutamenti tramutano i cervelli. C'è sempre gente che ritornerebbe all'antico regime. I morti causati dalla paura sono parecchi, ma non li mandiamo alla postertà, perchè sono Carneadi. La riottosità nella repubblica dei Soviets è stata quotidiana. Tutti i giorni uno, due, tre, dieci casi. Gli stessi portinai obbligati dalle polizie czariste a fare da informatori, da spie, da delatori degli inquilini delle case in custodia, si sono trovati a disagio nel nuovo regime per delle inezie. Alla vigilia del Primo Maggio il governo leninista aveva dato ordine che porte e finestre dovessero essere chiuse durante il passaggio del corteo proletario. Apriti cielo! Si scomodavano! Non erano abituati al disturbo. Non diciamo che si siano rivoltati, ma si tormentavano, non volevano occuparsene. Solo l'energia leninista li ha messi subito nella condizione di essere più giudiziosi. Ci pare che lo steso Taine abbia trovato nel passaggio da una società all'altra quest'ambiente di contraddizione. I pregiudizi sono terribili. Andate a Mosca, nella nuova capitale, nella città santa, dove si incoronavano gli Czar, dove si sono bombardate le guardie rosse e gli eserciti kerenskiani, e voi non riuscirete a svezzare le menti ortodosse dalle fole celesti e dai santi protettori. È una popolazione che ha vissuto in un cerchio di settantacinque chilometri di religione e si ostina a sciupare il tempo nelle preghiere liturgiche affollando le 450 chiese cittadine. Salvo la gente emancipata, la gente bigotta non si sottomette alla estirpazione della fattucchieria come all'estrazione di un dente. Resiste e rimane nel suo cretinismo. Bisogna vedere il chiasso che hanno fatto un po' tutte le popolazioni obbligate a fare posto nelle loro abitazioni alle guardie rosse o alle turbe dei nuovi impiegati municipali. Con Nicola, si curvavano. Arrivavano le truppe e si dava loro il vino migliore, le lenzuola odorose e tutti i conforti immaginabili. Con i soldati imperiali erano servizievoli, bonari, pronti a tutti i sacrifici. Senza l'ingiunzione dei maggioritarî i santocchioni di questi giorni non avrebbero dato loro che parole sgarbate e virulente. A Mosca vi sono state molte beghe per gli spostamenti sociali. Correva voce che le statue dell'antico regime e più propriamente le statue imperiali dovessero essere demolite a martellate. Apriti cielo! Sono venuti in scena tutti i critici d'arte. Tutti gli Ugo Ojetti con le mani nei cappelli, giuravano che la posterità non avrebbe mai perdonato agli iconoclasti della rivoluzione bolscevica! Così il regno che ha detronizzato e bandito i Romanov è stato obbligato a curvarsi allo sconcio di vedere sulle piazze o nei quadrivii Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Alessandro II, Alessandro III, Nicola II e tutti gli altri personaggi di un trono sconquassato. Fu una viltà. Perchè non sono ancora nella Neva i sarcofaghi dei signori Romanov? Per la solita condiscendenza ai soliti scalmanati della conservazione storica. La razza non è estinta che buttando via tutto l'esibizionismo monarchico offerto all'adorazione o al culto degli asini. Non sappiamo ancora come la pensino sugli imperatori di granito Lenine e Trotski. Sappiamo solo che le moltitudini hanno fatto a tocchi la brutta figura del generale Skobeleff, di infame memoria, mentre è stata lasciata intatta quella di Alessandro III, il più spietato livragatore di giornali del suo regno. Con lui la stampa era incatenata, l'indipendenza della stampa era il bavaglio. Pietro il Grande lasciava che giungessero folate di libertà di stampa dalla civiltà occidentale e Alessandro non faceva che respingerle. Tuttavia non è stato possibile fondere il bronzo della statua di un tiranno per creare un personaggio più degno di monumentazione. La statua di Alessandro III è vicina alla chiesa del Salvatore, dove i pasquaioli fanaticamente gridavano: «Cristo è risorto! In verità egli è risuscitato!» Stupidi! Le contraddizioni fra un periodo che cade e un periodo che sorge sono immense. A Mosca si rende omaggio alle madonne, ai santi, agli czars. A Pietrogrado, invece, si processiona con i motti sulle bandiere rosse del Primo Maggio: «Viva l'Internazionale! Viva la risurrezione della Russia popolare e indipendente! Viva il diritto del popolo!» La censura, tanto odiata in borghesia, non ha subìto la strage che si sperava e meritava in .rivoluzione. Non si capisce un cervello che fruga in quello degli altri per buttar via i pensieri che non sembrano adatti all'ambiente in cui si vive. I sognatori della libertà di stampa si sono dimenticati che la libertà è sinonimo di verità, hanno scritto i leninisti. Una notizia falsa può costare la vita di un popolo. I giornali della prima e della seconda capitale servili rendevano servigi ai passati padroni. In rivoluzione non hanno saputo acconciarvisi. Dicevano il contrario di quello che avveniva. Coniugavano un verbo per un altro. Requisire diveniva sotto la loro penna «rubare», dividere o sequestrare, appropriare, truffare e simili. Tutti i giorni fomentavano il disgusto per il cambiamento della forma governativa o sociale. Che fare per vivere in pace con le teorie della libertà dì stampa? Lenine o Trotski ha incominciato con la persuasione. Poi si è provato con le multe. Poi li ha sospesi a tempo. Poi li ha fatti scomparire completamente con una razzia generale. Giornali che a poco a poco andavano all'assassinio dalla Repubblica sociale non potevano subire nelle ore rivoluzionarie che la pena di morte. Il vilipendio personale, passi. Ma l'urlo al furto tutte le volte che i Soviets s'impadroniscono di una banca, è mettersi nel girone dei massacrabili. Il governo di Lenine e di Trotski ha dovuto violentare se stesso e fare il mestiere boiaccia di Alessandro III, mandando i giornali della controrivoluzione nei loro ambienti naturali. Si è fatto così anche durante la grande rivoluzione francese. Il direttore del Père Duchesne, che andava in collera in un ambiente giacobino per suscitare il leninismo di quel tempo, ha subito la ghigliottina. Pare che nei periodi insurrezionali la libertà di stampa non possa acclimatarsi. Nessuno capisce che la libertà di stampa in tempi come questi, deve circolare nell'ambiente socialista e non nell'ambiente capitalista o borghese. La esperienza è questa. Noi la registriamo.

Lenine ha dovuto sopprimere, l'uno dopo l'altro: Nach Vieck, Rietch, Novy Loutch, Nach Gazetta, Vperod, Vsegda Vperiod, Vetchernaia Zaria, Viola Nachi Wiedomosti, Narodnoe Slovo, Rodina e molti altri. A centinaia. Erano canaglieschi. Inventavano notizie. Un fuscello diventava una trave. Un cadavere di procuratore, diventava il crollo del bolscevismo, come quando è caduto il conte di Mirbach, ambasciatore tedesco. Gorki dà fuori, perde la pazienza, scrive articoli veementi o collerici contro i due direttori del nuovo regime, ed ecco che tutta la stampa avversaria si impadronisce delle sue parole, s'appende alla fune dei campanili borghesi e suona a funerale. Il bolscevismo ha un piede nella fossa. Allora bisogna che una Pravda (Verità) diventi ufficiale, che in ogni provincia ne nasca una per la salvezza della documentazione rivoluzionaria. In fuga dunque i becchini del giornalismo.

Le contraddizioni fra un regime e l'altro sono eterne. Nessun giornale borghese, in tempi czaristici, si è mai curato dei paria della terra. Li hanno lasciati vangare e vangare facendo una vita da bestia da soma. Con Nicola e col padre di Nicola, i settanta o ottanta milioni di coltivatori pagavano circa il 90 per cento sui prodotti e tutti gli scribi si acconciavano alla dottrina cristiana del quieto vivere. Adesso, divenuti padroni dei terreni che coltivano per una esistenza elevata, gli scribi venduti descrivono i villani e i paesani come gente che bascisce sulla marra. Ah, canaglie! Trotski, segretario di stato per gli esteri, non ha transatto con la stampa borghese. Il giornalista borghese che bussasse al suo uscio viene mandato via. Non viene ricevuto. Dite al tale, diceva a chi glielo annunciava, che non lo ricevo. Ne ho abbastanza delle sue corrispondenze all'Illustration o al Temps o al Figaro di Parigi o al Corriere della Sera di Milano o al Giornale d'Italia di Roma! Per loro, noi massimalisti, siamo gaglioffi, usurpatori, grassatori, plebe da macello, pazzi da manicomio e via.

La sede governativa in Mosca è una fortezza dove risiedono Lenine e i commissarii del popolo. Nessuno entra, specialmente dopo l'attentato, senza permessi speciali. L'edificio granitico è custodito e sentinellato dalle guardie rosse. Prima di giungervi bisogna passare da due posti di controllo e presentare delle carte in regola. Non ci si presta due volte per il coltello o la rivoltella. Tuttavia c'è sempre una moltitudine che fa coda come alle botteghe in tempi di carestia. La fortezza contiene cannoni imperiali di 39 mila chilogrammi. In alto è una campana incredibile dei tempi dell'imperatrice Anna. Basterebbe essa sola per inondare una nazione di monete di rame. Pesa 262 mila chilogrammi. Qui è dove si capisce che la demolizione delle statue non è ancora entrata nel cervello rivoluzionario. La statua di Alessandro II, assassinato dai nichilisti, è sotto l'ampio baldacchino sorretto da colonne di bronzo, e tutta nascosta da un ampio velo fitto e nero. Il falso liberatore non è più visibile ai visitatori. In un'altr'ala è il ministero della guerra — sede governativa di Trotski — il quale, giorni sono, ha passato in rivista la truppa rossa. Egli occupa un superbo edificio che fu di un pittore russo che vi ha lasciato una collezione di acqueforti e dei quadri di valore. Il nuovo ministero di Trotski è di mattoni rossi, costruito in uno stile modernissimo e veramente russo, ornato di disegni di ceramica, dai colori scarlatti. Le scale sono larghe, lungo le quali scorre una balaustrata. I muri sono tappezzati di carta chiarissima. Il numero dell'ufficio che mette nell'intimità di Trotski è il 30. Ammobigliato modernamente. Tutto è ampio. Parquets di quercia. Finestroni dai quali si vede tutta Mosca. Illuminazione a profusione. Riceve chi riceve. I rifiuti non sono manipolati dall'ipocrisia.

— Dite al signore che non lo ricevo.

Uomo eminentemente d'azione, pur essendo un intellettuale calmo. Non conosce furori parossistici e non ha bocca per gli insulti. La cronaca borghese ne ha fatto fuori un linciatore con in mano la nagaika del cosacco. Sciocchi! I massimalisti sono tutti possessori di questa preziosa qualità mentale. È lui che ha voluto che la sovranità risiedesse nei Soviets e che il Comitato centrale fosse esecutivo. Lenine qualche volta è più rigido di lui. Lo abbiamo veduto quand'egli ha strappato le penne di mano ai giornalisti borghesi. Non dovete più scrivere! Con lui i giornali della Rivoluzione bolscevica sono aumentati sotto un controllo che non conosce eufemismi. I giornali ufficiali sono le Izvestia, la Pravda e l'Operaio del Soldato per la sera. L'opposizione educata non è stata soppressa. Vivono il Dielo Naroda, la Gazzetta Operaia, la Volta Naroda, l'Edinosvo.

Un ordine del giorno di Trotski al fronte e inviato al Comitato centrale dà la sua fisionomia intellettuale:

«La Russia rivoluzionaria e il potere dei Soviets hanno diritto di essere fieri del loro distaccamento di Poulkovo in marcia, sotto il comando del colonnello Walden. Gloria immortale a coloro che sono caduti! Gloria ai combattenti della rivoluzione, ai soldati ed agli ufficiali fedeli al popolo!

«Viva la Russia rivoluzionaria, socialista e popolare!»

Dal giorno che Lenine e Trotski si sono impossessati del potere, la mediocrazia dei verbosi sterili è stata come sepolta. Con loro l'anima turbinosa della vera eloquenza nutrita di idee fece altri voli.

Chi non vive di pregiudizi e di odî di partito ammette subito la superiorità dei due nuovi costruttori. In un fiato hanno disperso i kerenskiani. I membri della Duma che volevano correre a Mosca ad agitarla per l'uomo in fuga (Kerenski) non hanno potuto parlare. Il presidente del Comitato dei contadini ha dovuto nascondersi. I ministri borghesi sono stati chiusi subito in prigione. Gotz è scappato. Bourtzef — il famoso smascheratore di poliziotti in veste di rivoluzionari — in gattabuia. Molti altri o conosciuti o celebri, per evitare l'arresto dovevano cambiare domicilio ogni sera. Non si è perduto tempo. Due controtorpediniere e una torpediniera giungevano in porto in nome dei rivoluzionari, e il Tribunale bolscevico aveva i giudici al lavoro di collaborazione leniniana. È bastata una notte perchè Lenine e Trotski mettessero in dissoluzione cinque commissariati del popolo per far posto ai massimalisti. Non avevano fatto che quello che aveva fatto Kerenski. Tuttavia sono stati subito messi in giro come terroristi! Vincere con l'orologio alla mano per disfarsi dei nemici, è considerato dalla mediocrazia kerenskiana del terrore. Proconsoli! È che in loro sono la forza, l'energia e l'intelligenza. Un giornalista borghese ha scritto: Si potrà dire tutto della rivoluzione russa. Non la si potrà accusare di lunghezza. La situazione cambia di ora in ora. Gli avvenimenti si succedono vertiginosamente. La libertà di stampa è stata abburattata dalla violenza verbale. Ha dato ai più eminenti dei Comitati una discussione che ha fatto intervenire le due sommità del bolscevismo. Qualcuno ha affermato che la stampa deve essere libera. Gli si è subito risposto che la libertà di stampa deve avere un altro significato nella bocca di un socialista. La rivoluzione che si compie in questo momento non esita a mettere la mano sulla proprietà privata individuale ed è su questo punto che bisogna esaminare la questione della stampa. La chiusura dei bottegai del giornalismo borghese non è stata fatta solo per delle necessità militari nel momento della sollevazione, ma essa costituisce pure una misura di transizione alla scopo di stabilire un regime nel dominio della stampa, regime sotto il quale i proprietarii delle tipografie e della carta non potrebbero essere i fabbricatori onnipotenti ed esclusivi della opinione pubblica. Bisogna perciò procedere alla confisca delle stamperie particolari e delle riserve di carta che devono divenire proprietà del Soviets della capitale e delle provincie, se i partiti devono avere i mezzi di stampare. Il ristabilimento della sedicente libertà di stampa, vale a dire il ritorno puro e semplice delle tipografie e della carta ai capitalisti, avvelenatori della coscienza pubblica popolare, costituirebbe una capitolazione inammissibile davanti la volontà del capitale, la resa di una delle conquiste più importanti della rivoluzione, altrimenti detta una misura di carattere controrivoluzionario.

Nessuno ha voluto il ritorno all'ancien régime. Trotski è andato più in là. È stato sublime. Ha portato sulla questione un faro di luce. In generale il diritto della libertà di stampa è degli oppressi. Quando la violenza è praticata dagli oppressori è immorale (cannibale!). Confiscate tutte le stamperie. I socialisti moderati gli gridarono di confiscare la tipografia della Pravda. Lui non si è lasciato intimorire. Ha soggiunto che il còmpito dei bolscevichi consiste nel trasformare le sorgenti e i mezzi di stampa in proprietà collettiva. Ogni gruppo di cittadini deve avere diritto alla stamperia e alla carta. Il monopolio della borghesia sulla stampa deve cessare. Senza di questa sarebbe inutile prendere il potere. Se nazionalizziamo le banche, possiamo tollerare l'esistenza dei giornali avversarii e dei banchieri? Il diritto ai caratteri di tipografia ed alla carta appartiene prima di tutto ai contadini ed agli operai, dopo ai partiti borghesi che sono in minoranza. L'antico regime deve morire. Bisogna capirla una volta per tutte. (Uragani d'applausi). Io constato che i soldati sono con me (grida dei socialisti di sinistra). Voi fate della demagogia! Circo moderno! Mi si grida. Circo moderno! Ora io affermo che ripeterei le mie parole davanti ai soldati. Io non ho due maniere di parlare.

Lenine dice che la guerra civile non è ancora terminata. Noi bolscevichi, abbiamo sempre detto che giunti al potere avremmo soppresso tutti i giornali borghesi. Tollerare i giornali borghesi significa cessare di essere socialisti. Quando si fa la rivoluzione non si può tenere il piede in due scarpe. O rinculare o andare avanti. Colui che parla di libertà di stampa torna indietro e arresta il treno che corre a tutto vapore verso il socialismo. Noi abbiamo scosso il giogo della borghesia come la prima rivoluzione ha scosso il giogo dello czarismo. Se la prima rivoluzione aveva il diritto di eliminare i giornali czaristi, noi abbiamo il diritto di eliminare i giornali borghesi. Non è possibile separare la questione della libertà della stampa dalle altre questioni della lotta di classe. Noi abbiamo promesso di eliminare questi giornali e noi lo faremo. L'immensa maggioranza del popolo è con noi. Lavoratori, rompetela con l'antica libertà della stampa. È un'arma per Kaledine.

Lenine, dal giorno dell'ascensione dei bolscevichi era dappertutto e in ogni luogo. Lo si sentiva, lo si discuteva, lo si esaltava, lo si demoliva, lo si sconciava. Uno dei suoi sconciatori fu Bourtzef, il vecchio smascheratore di spie czariste nei panni dei rivoluzionari. Egli lo paragonava su per giù a una specie di Azev. Egli era Kerenskiano. Non tollerava altri. È naturale che venisse agguantato per il collo e precipitato in una prigione. La vecchiaia non dà diritto alla calunnia. I biasimatori di Kerenski per avere dato il permesso a Lenine e a Trotski di rimpatriare sono molti e in aumento. Essi vedono nella concessione il disastro del governo provvisorio. Baie! Sono i soliti rimpianti. Una nazione non è una famiglia o una casa privata. Per il passaggio da una frontiera non deve essere necessario la strada piantonata di doganieri. Non è necessario la vidimazione del passaporto. Lenine incarnava il movimento. Il tempo della rivoluzione politica era finito. Doveva venire necessariamente quella sociale, quella che esclude le due camere parlamentari per una federazione di Soviets.

C'è gente che crede i bolscevichi razzapaglia uscita dalle rattaie — scusatemi il neologismo — sociali. No, no, essi non pescano nelle acque torbide. Hanno tutti un passato. Lenine è uscito dai nidi della nobilità ereditaria. Sono tutti o quasi universitarii e tutti sono trilingue, quadrilingue. Taluni ne parlano e ne scrivono cinque o sei. Hanno tutti veduto il sole a scacchi. Molti sono stati in Siberia. Molti subirono più volte le Bastiglie.

Il vero nome di Lenine è Vladimiro Llitch Oulianov. È nato il 18 aprile 1870. Suo padre era direttore di scuole a Simbirsk e fu consigliere di Stato. Cresciuto, studiò legge all'Università di Kazan. Durante la vita studentesca flanellava e concionava nei caffè come Gambetta. Era in lui il seme del giustiziere della borghesia. Fu il suo incubo. Leggeva molto. Non appena a Pietroburgo si buttò a capofitto nei movimenti operai. Con la foga della convinzione riuscì a costituire una federazione per l'emancipazione dei lavoratori. Come tutti gli agitatori dei tempi di Nicola, fu mandato in catena a scontare cinque anni di Siberia. Scontata la pena corse a Londra ove, in mezzo a un Congresso di russi democratici, composto di mensceviki (minoritari) e di bolscevichi (maggioritari), ottenne la maggioranza, e ne divenne il capo. Aveva allora 33 anni. L'aiuto di Trotski data da quel giorno. Dal 1905 vediamo l'uno e l'altro sempre assieme. A Mosca, la capitale moscovita, costituirono il primo Soviet.

In Russia, ai tempi dello Czar, non si poteva essere che talpe o eroi. Il suo fratello Alessandro è stato appeso l'otto maggio del 1887 per l'attentato contro Alessandro III, nella fortezza di Schlusselburg — la più terribile delle bastiglie russe.

I maldicenti, compreso Boutzef, vorrebbero mettere Lenine a contatto con la polizia politica chiamata Okhrana, una organizzazione poliziesca terribile. Essa sola è stata una perturbazione sociale. C'è una nota di Lenine che dice: «Non è l'Okrana che si è servita di noi. Al contrario. Siamo noi che ci siamo serviti di lei». Si sa che in Russia, ai tempi degli ultimi czars, la polizia costava allo Stato ingenti somme di sola corruzione. Si può dire che non c'era quartiere senza spie. Ne nascevano decine tutti i giorni. Diciamo male. Non c'era quartiere senza spie. Spia il portinaio, spia il vetturale, spia il barbiere, spia il cameriere, spia la donna di servizio, spia la sarta, il cappellaio, il calzolaio, il lattaio, il prestinaio. Lo spionaggio era una istituzione statale. Tutti spie. Ce n'era per la coniugazione di un verbo intero. Io sono spia, io ero spia, io sono stato spia. E via e via. I ministri non erano che capi di polizia. Lottavano con l'opinione pubblica al dorso della polizia monturata o vestita in borghese. Plehve, come abbiamo detto, fu il più terribile. Il pensiero più gentile che egli abbia avuto è stato questo: «Voglio annegare la rivoluzione nel sangue degli ebrei». I suoi progroms hanno indemoniato tutta l'Europa e tutte le Americhe. Gli ebrei, per lui, erano dei cani rognosi. Egli ne ha torturati sei milioni. Fu atroce. Ne fece «progromizzare» delle migliaia. L'odio per gli ebrei fu di tutti i ministri. L'antisemitismo imperiale era negli esecutori dei massacri. A Lodz perirono tanti ebrei da superare tutti quelli uccisi sulle barricate di Europa. Il despotismo con gente simile era sovrano. L'assolutismo trionfava dovunque.

Le escursioni fatte da Stepniak nel mondo sotterraneo, fanno fremere. Egli ha dovuto tremare. Grida di terrore giungevano al suo orecchio. Rantoli di morenti, risate frenetiche di giovani impazziti nelle mude dei Romanov. Ah che inferno! Le università erano tutte affollate di spie. Una polizia spiava l'altra. E quando tutte le caserme erano spiate, quando si credeva che i capi delle diaboliche organizzazioni erano spiate, c'era ancora una organizzazione che spiava per conto dello Czar. La moglie spiava il marito e il marito la moglie. Il maggiordomo era una spia. Il grande personaggio di palazzo una spia. Non c'era tregua allo spionaggio. Rasputin era una spia. Che nazione, la nazione degli Czars! Meglio la corda del boia.

Adesso la gente russa, pur essendo entrata nell'ambiente della purificazione, si sente un po' poliziotta, un po' spia. È la persecuzione della tradizione. Non ci si lava dell'antico regime in pochi minuti. Ci sono lazzaroni che denunciano il «dittatore» come una spia. Vogliono che sia anche lui uno spione. È una malattia che bisogna guarire coi contravveleni.

Nessuno degli studenti dell'Europa occidentale ha subìto le persecuzioni degli studenti russi. Bastonati, frustati, mandati nelle galere o appesi alla corda del carnefice. Il ministro Schipjaghin — l'autore della bastonatura di Kiew — è stato giustiziato dallo studente Balmaschef.

L'entrata in Russia di Trotski in un vagone piombato della Germania, ha fatto rimettere in circolazione tutta la bava poliziesca. Chiunque, in quel tempo, non poteva andare in Russia che in vagone piombato. Era una protezione per i non combattenti. Il trattato di Brest-Litowsk ha inviperito tutti i signori della guerra ad ogni costo. Vedono in Trotski una vigliaccheria. Egli si sarebbe venduto al tedesco. Invece non fu che lo sviluppo e il soggetto della teoria leniniana. La cessazione della guerra e la fraternizzazione militare. Calunnie! Calunnie! Non si diventa criminali senza portare in se un quintale di delinquenza.

Ritorniamo alla superficie del leninismo. Kerenski accusava il leninismo del disfacimento militare. Il disfacimnto era del resto nelle cose. La condizione delle truppe si era fatta sentire all'abdicazione, proprio come quando Napoleone III consegnava la spada al re di Prussia. Kerenski, idealista e patriotta, continuava a rincorrere il leninismo nell'esercito con vampate di rettorica. Ma il leninismo gli sfuggiva. C'erano sul registro otto o dieci milioni di soldati che avevano presa la via del ritorno. Era la caccia di tutti gli eserciti. Coloro che venivano sorpresi con la bocca piena di antipatia per la guerra, perivano. Così è avvenuto che i soldati a poco a poco si sfogavano sui superiori. Li fucilavano, li buttavano in mare.

Come negli ambienti militari, è avvenuto negli ambienti industriali. Fu come una simultaneità di linciaggio americano. Veduta la bestia feudale nell'atmosfera rivoluzionaria, il furore delle masse è andato al parossismo. La storia militare era la storia delle officine. Lotta identica fra superiori e inferiori, tra coloro che comandavano e coloro che ubbidivano. In tempo di schiavizzazione le moltitudini subivano l'oltraggio di essere considerate di ferro. Guai al ritardatario per dei dolori di capo o degli accidenti della esistenza. L'operaio doveva essere un orologio, la puntualità in cammino, una macchina dai movimenti automatici, un essere insensibile a tutte le ingiurie, a tutte le multe, a tutti i castighi, a tutti i licenziamenti, a tutti gli orari della quindicina.

Nell'atmosfera czaresca tutto era uniforme. Nessuno era cittadino. Tutti erano schiavi. Negli stabilimenti imperava il vassallaggio. La dominazione padronale si estendeva su tutti i subordinati, su tutti i sudditi del lavoro. L'oppressione era nell'aria. L'oppresso la sentiva nelle spalle. I capifabbrica non erano correttori di mestiere. Erano i mastini dei proprietari. Rigoristi implacabili, demolitori della classe soggetta, oltraggiatori dell'umanità. Nessuna bontà in loro, nessuna considerazione, nessuna scusa. Erano del feudalismo in azione, della tirannia ambulante, degli sgherri di fabbrica, che non sentivano che l'egemonia operaia era alle porte dei Poutiloff del regno.

E allora? Tutti abbiamo letto le sollevazioni dei negri contro i bianchi. Sono torrenti di colorati che sentono la forza della loro unità, del loro affratellamento. Si ricordano dei loro sorveglianti che li bastonavano o li caricavano dei ferri della schiavitù, che li nutrivano come bestie da soma e si voltavano indietro e li urtavano e li calcavano gli uni sugli altri e li linciavano come la massa americana lincia i bianchi e i neri del vituperio sociale. I capifabbrica del grande stabilimento russo si sono trovati circondati dalle loro vittime accese, convulse, con la testa piena delle loro ingiustizie. Ne nacque quello che doveva nascere. I più ignobili, i più abbietti, i più spietati sono passati dagli urti ai pugni, e dalla colluttazione alla lanterna, come gli aristocratici della Rivoluzione francese.

La diceria borghese ha diffuso per il mondo che vi fu una specie di Saint-Barthelemy, perchè molti dei capifabbrica e dei direttori non sono più reperibili. Ma essi saranno indubbiamente tra i fuggiaschi. Molti di loro si faranno vivi non appena la Russia entrerà nella calma. I cadaveri che si sono trovati appesi ai lampioni non saranno stati in tutta la Russia otto o dieci. Così ha detto anche Vandervelde che se ne è occupato. Una popolazione di centottanta milioni che vi dà in un momento rivoluzionario un numero così esiguo di appiccati alla lanterna, può dirsi pacifica, buona, mansueta.

 




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