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Paolo Valera
L'insurrezione chartista in Inghilterra

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  • I.   Prima di incominciare.
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I.

 

Prima di incominciare.

 

Che cos'è questo chartismo? — È della storia comune a tutte le nazioni che non hanno ancora — nel 1894! — inaugurato il sistema dell'uguaglianza economica, politica, sociale. Sono le classi che negano dei diritti alle masse. Sono gli eserciti del lavoro che si levano in piedi con dei vogliamo. È tutto un popolo di malcontenti che, prima di abbandonarsi ai tumulti o di consumare gli ultimi sforzi in una insurrezione armata, si è lasciato acciuffare pei capelli e provocare lungo un periodo tragico. Sono delle saccate di collera popolare, della collera insaccata per degli anni, della collera che si è scatenata pel cielo britannico come una minaccia collettiva.

La sola consolazione che trovate nei tumulti inglesi è che la vendetta sociale dopo il fatto compiuto non è così sentita come altrove. Qua e vi sbuca sempre fuori l'inglese, non importa di quale classe, che si curva dinanzi il verdetto dei molti, che si dichiara incapace di violare le libertà costituzionali, che giustifica l'omicidio quando desso è stato provocato dagli agenti della sicurezza pubblica, che si sopprime dal consorzio piuttosto che dar l'ordine di far fuoco sulla folla, che riconosce che la pazienza popolare, dopo tutto, ha un limite, che raddolcisce la sentenza anche nelle giornate della zuffa classicida, che non vuole sguinzagliare i salariati in montura sui salariati nella giacca macchiata e sdrucita dalla fatica, se prima non ha veduto le teste delle autorità locali — quasi sempre colpevoli! — inaffiate di sangue o rotte.

Tutta la storia del movimento chartista — il quale va dal 1837 al 1848 — è pieno di questi documenti.

Ma prima di gettarci a nuoto nel lago chartista, per capirlo bene, noi dobbiamo indugiare nel periodo che io chiamerei della provocazione. Perchè fu la resistenza delle classi dirigenti che obbligò il popolo diseredato di ogni diritto politico ad arrabattarsi per degli anni e a darsi poi, nei momenti della disperazione pubblica, al piccone della demolizione, alle fiaccole che incendiano i palazzi ducali, al saccheggio che sazia lo stomaco ulcerato dai digiuni e a cacciarsi in piazza come tanti tumulti che spaventano.

Giorgio III, come re, fu, moralmente, migliore di Giorgio IV — il bagasciere morto con dei cassetti pieni di guanti spaiati delle sue ganze e con al collo il fermaglio tempestato di brillanti della Fitzherbert — una specie di Rosina Vercellana al castello di Windsor. Ma la «plebe» dei tempi del regnante che governava, che pensava per tutti, veniva massacrata come quella di Giorgio IV e di Guglielmo IV, tutte le volte che incalzata dalla miseria andava sulla piattaforma colla gola rigurgitante di grida per un altro morsello di pane. Per convincervene vi basterebbe leggere il Weekly Register di Cobbett — il leone intellettuale che ruggiva pei derubati di quel tempo. Giorgio III morì nel gennaio del 1820. Ma aveva cessato di regnare da dieci anni. Durante la reggenza i vogliamo dei lavoratori venivano sbaragliati continuamente con delle mitragliate di no! Così durante i dieci anni incespicate nei massacri, come a Ely — al nord della contea di Cambridge — e come a Ely trovate sui banchi della giustizia i malsalariati a centinaia, e come a Ely trovate delle sentenze in blocco di trentaquattro condannati a morte.

Ma è inutile restringere il periodo della provocazione a un dato re. Esso è eterno. L'importante per noi è di avere un'idea generale dell'ambiente in cui vivevano le masse prima che la «Charta del Popolo» divenisse il pendaglio delle aspirazioni delle unioni politiche e operaie di quel tempo.

Chi ha letto Macaulay o chi conosce il XVII secolo non ha bisogno, per mettersi nella testa la condizione dei lavoratori e dei poveri del XIX, di sciupare il tempo. I capitoli di Macaulay e di Green si ripetono nelle storie d'Inghilterra di Harriet Martineau, di W. N. Molesworth, di Spencer Walpole e di Justin M'Carthy — il supposto leader degli antiparnellisti irlandesi alla Camera dei Comuni. La differenza tra le pagine dei primi e le pagine degli ultimi non è che nella data.

I salariati, i senza salarii, i pitocchi senza speranza di uscire dal naufragio sociale, formicolavano nelle courtsangiporti — e immelmavano nelle cellarsluride stanze sotto il suolo — degli abituri, come i loro antenati dei secoli XVI e XVII.

Le courts erano cosparse di detriti umani. Nelle cellars, dell'individuo non rimaneva che la bestia. Vivevano pigiati, ammonticchiati, in un'atmosfera pestifera. Coloro che avevano un letto o una parvenza di letto o uno sdraio qualunque non sentivano più il sesso. La famiglia intera vi si coricava sopra e vi dormiva abbracciata, pelle a pelle, incosciente che i bigotti ben pasciuti considerino questi gruppi orrori sociali.

La loro degradazione e la loro poverezza erano tali che il Walpole scrisse che un salario più alto avrebbe resa la loro esistenza spaventevole e un salario più basso intollerabile. Nessuno di loro aveva mai sentito dire che l'ultima fucilata a Waterloo aveva innalzato il regno unito a prima potenza del mondo. Essi erano una generazione di allampanati, di carcasse, come e peggio di prima.

Nell'esercito imperava ancora il flogging (castigo corporale). La pitoccaglia in montura, che aveva immortalato Wellington, veniva curvata sull'asino di legno e cinghiata e frustata a schiena nuda fino a quando il dorsale non era più che una poltiglia insanguinata. La gioventù povera veniva agguantata dalla pressgang (pattuglia di arruolatori) e irreggimentata nell'esercito e nella marina. Ma più nella marina che nell'esercito. Il Lovett redattore della Charta, ricorda nella sua autobiografia lo spavento che produceva tutte le volte che sbarcava colle sciabole d'abbordo sguainate. Il grido che dessa arrivava faceva prendere alla gioventù la campagna o i monti.

I tribunali e le assisie consideravano le moltitudini non al disopra del bestiame. Il cosidetto fellone, fino al 1836, alla vigilia della Charta, non aveva neppure diritto alla difesa, vale a dire a farsi rappresentare dall'avvocato, e al condannato a morte non si accordavano che poche ore dalla sentenza. Lo si impiccava e squartava all'indomani in pubblico.

Non parliamo della legislazione operaia. Non esisteva che la tirannia padronale. A Glasgow — nella Scozia — non appena la gente dei lavorerii si federarono per uno sciopero, i padroni li chiusero fuori dalle fabbriche. Nel 1834, per esempio, sette conciatori di Bermondsey, a poche miglia dalla metropoli, vennero condannati al carcere per essersi licenziati prima di avere finito di conciare un numero di pelli. Malgrado si fosse in piena propaganda socialista, l'infanzia non aveva che qualche asilo. Per loro l'alba della legislazione non apparve che nel 1838, quando il Parlamento votò la legge che limitava il lavoro dei fanciulli sotto i 13 anni a otto ore e dichiarava illegale l'occupazione della ragazzaglia sotto i 9. I giovani sotto i 18 potevano lavorare 69 ore la settimana.

Le leggi contro il diritto di associazione (combination laws) erano scomparse da poco. Ma nella mente dei legislatori d'allora la protezione del lavoro col mezzo delle Unioni era della cospirazione e della tirannia democratica. (Vedi lord Melbourne's Papers). Nel 1831, durante l'agitazione pel bill della riforma (Reform bill of 1832), più di mille operai entrarono nelle prigioni a scontare il delitto di voler migliorare la propria classe. I sei martiri — come sono chiamati — di Dorchester, stati condannati a sette anni di deportazione pel grave crimine di avere registrati i nuovi soci dell'Unione con giuramento di essere fedeli allo statuto — una cosa comune a tutte o quasi tutte le associazioni del tempo — sono ancora nella memoria di coloro che hanno la barba grigia.

Lo stesso Roberto Owen — il padre del socialismo a base di «morale sana», il grande «rigeneratore» — lo sperimentalista che aveva già diffuso pel regno che «il lavoro è la sorgente di tutte le ricchezze» — colui che, come disse il suo illustre biografo (Lloyd Yones), lavorò pel popolo, morì lavorando pel popolo e non ebbe altro pensiero, morendo, che il suo benessere — il 15 aprile 1834, a capo scoperto, protetto da tredici vessilli del lavoro, a fianco del reverendo Wade, negli indumenti canonicali, seguito da un esercito di 120.000 operai commossi, si avviò da Copenaghen-fields colla deputazione che portava al segretario di Stato per gli interni la petizione che pregava sua maestà Guglielmo IV — il re, come si diceva allora, affabile con tutti, il re che passeggiava per le arterie londinesi come qualunque altro cittadino, il re che stringeva la mano agli amici di una volta e spesso, incontrandoli, li faceva salire nella sua carrozza — a ridurre la sentenza che adesso potremmo chiamare siciliana o a graziare le vittime delle assise di Dorchester.

Fu un'ora solenne. Tutto il mondo operaio era colla mano sul cuore. Tutte le speranze erano al Ministero in Parliament street. E quando si seppe che lord Melbourne — colui che pochi anni dopo si pavoneggiava presentando Roberto Owen, col volume del Nuovo mondo morale in mano, alla regina Vittoria — non volle ricevere l'uomo che aveva spiegato dalla tribuna dei rappresentanti di Washington la teoria della rigenerazione sociale, la deputazione, il dolore e l'ira traboccarono insieme. Col front indietro salì per l'aria l'ululu! lungo che sentiva dell'ambascia e dell'indignazione della massa battuta.

La stampa era veduta di mal occhio. I giornalisti erano come dei libellisti. Nel 1808, per dirvene una, i capoccia degli avvocati di Lincoln Inn votarono un articolo che escludeva dal foro «tutte le persone che avevano scritto nei giornali quotidiani». Vent'anni dopo ammutinarono perchè il lord cancelliere aveva invitato al banchetto il proprietario del Times. Southey, l'ex salariato del Morning Post, proponeva a lord Liverpool di «curvare la stampa deportando i giornalisti». Immaginatevi poi che cosa dovevano essere i giornali e i giornalisti della gente che voleva conquistare i diritti politici e migliorare la propria condizione!

Sui giornali pesava ancora il bollo di 4 pence (40 centesimi). Gli operai si può dire che riuscivano a sapere certe notizie come ai tempi di Samuele Johnson — il pioniere dei reporters parlamentari. Cioè quando giungeva un amico o una lettera. Tratto tratto usciva qualche mostriciattolo di giornale che il fisco ammazzava. Qualche volta riusciva a tirare innanzi per delle settimane. Ma la «battaglia» tra «i tiranni di Somerset House» (gli uffici londinesi del fisco, ecc.) e coloro che anelavano al giornale libero dai ceppi fiscali, accumulava dell'altro combustibile nel cervello dei riformatori. Dal bill della riforma, alla riduzione del bollo sul giornale a un penny, nel 1836, più di 500 tra riformatori e chartisti incipienti subirono la gattabuia per la pubblicazione dei periodici «illegali». Per le «classi inferiori» — come si chiamavano allora persino dagli oratori radicali —non trovate che valga la pena di essere ricordato che la Voce del popolo del 1831, la quale, malgrado costasse 7 pence col bollo, aveva una tiratura di 30.000 copie. Lo scopo della Voice of the People era di «unire le classi produttrici» in ciò che adesso si chiama una amalgation (trades union o federazione di mestieri). La prima «rivolta legale» contro il bollo sul giornale, fu il verdetto del 1836 in favore del Poor man's guardian (Il guardiano del povero). I giurati, pur essendo senza bollo, la dichiararono «una pubblicazione perfettamente legale».

Le invenzioni degli Hargreave, degli Arkwright, dei Crampton, dei Cartwright, dei Watt e dei Davy, per la popolazione che si buscava la vita lavorando, erano dei cicloni. Il grido contro la macchina era in tutti i centri manifatturieri come durante l'insurrezione dei luddites. Nei filatoi del Lancashire imperversava. Il vapore era la maledizione di chi si guadagnava il pane col sudore della fronte. Dovunque ingrossava il problema dei disoccupati. A completare la strage venne la nuova legge — una legge, pel tempo in cui si condanna la vecchiaia alla bastiglia, ottima, notate! ma che dava, pel momento, i risultati della macchina — sui poveri. Nelle città e specialmente nelle campagne, suscitava tumulti che finivano spesso nel sangue. La ragione dell'odio popolare contro la New poor law era che col vecchio sistema il magistrato completava il salario del bracciante col denaro della carità pubblica, mentre col nuovo il soccorso al salario, del tempo elisabettiano, scompariva e riformava le workouses in tante unioni amministrate dai guardiani.

Durante questo panico commerciale e questa miseria industriale, gli oratori delle riforme non dimenticarono le campagne. Anzi si può dire che le invasero, come fanno ora gli oratori dal «carro rosso» della Lega dei nazionalizzatori della terra. Predicavano alle turbe della zappa il «vangelo del loro benessere e dei loro diritti». Tra i Demosteni più celebri di questa «campagna» contro gli «affamatori,» vi ricordo Hunt, William Cobbett e Richard Carlilestati quest'ultimi due processati per «sedizione» alle Assise di Londra (Old Bailey).

Cobbett, accusato di avere eccitato colla parola e cogli scritti (nel Weckly Political Register) alla guerra rurale, venne applaudito all'entrata in Corte e assolto dai giurati.

Carlile era accusato di «libelli sediziosi» tendenti «a screditare la corona ed altri».

Il documento d'accusa era un manifesto «agli agricoltori insorti» che, per riassumerlo in una frase, diceva loro: «o combattere o morire di fame». I giurati uscirono con un verdetto che lo assolse, cioè che lo dichiarava colpevole di pubblicazione «ma non di libello sedizioso.» Così se ne andò a casa con una multa di 200 sterline.

I lavoratori della campagna non si sono mai distinti nel movimento organizzatore. Perchè anche oggi dei 750.000 non ne contate, nella loro unione, più di 40.000. Ma in allora erano per lo meno federati dall'idea di non volere morire d'inedia. Il cielo di ventisei contee veniva illuminato, una notte dopo l'altra, dal raccolto che incendiavano come protesta.

La libertà di riunione, quantunque esistesse, era spesso violata dalla «negligenza» o dallo «zelo eccessivo». Il periodo di provocazione ha gerlate di abusi di poteri. L'esempio tipico è del 13 maggio 1833.

Una delle tante Società politiche organizzò un meeting all'aria aperta, in Calthorpe-street, Coldbathfields (Londra), preparatorio alla «Convenzione nazionale».

Il governo di lord Grey lo credette una riunione di «persone perniciose» e lo fece proibire. Proibire un meeting in Inghilterra vuol dire essere assetati di sangue o provocare un conflitto tra gli assembrati e i policemen. Il tentativo di sette anni fa contro queste prerogative, dirò così, inglesi, produsse la «domenica sanguinosa» (Trafalgar square). Salto Peterloo del 1819, perchè mi manca lo spazio per descriverne il massacro.

Le bandiere del meeting erano tredici. Una era sormontata dal berretto frigio. I loro motti (tutte cose comuni, che si vedono ogni giorno nel regno unito) erano questi: «Libertà o morte»; «Diritti uguali e giustizia uguale»; «Santa alleanza delle classi lavoratrici».

A un certo punto, quando cinque o sei mila persone erano l'una addosso all'altra, quando l'oratore, con un linguaggio che resterà immortale per la moderazione, stava per scaldarsi, i policemen, col poderoso randello (truncheon) nella destra, cogli occhi, disse il cronista, illuminati dall'alcool, circondarono il meeting calcando e facendosi largo a colpi secchi sulla testa e sulle spalle.

Delle voci coraggiose impedirono il fuggi fuggi con un fermi! e un avanti! all'oratore.

Pei poliziotti fu come l'ordine di raddoppiare di lena. Si gridava: assassini! si piangevac'erano tramezzo donne e ragazzi — e si gettavano nell'aria sostantivi che schiattavano come ingiurie.

La lotta corpo a corpo fu coi vessilliferi. Il sergente Harrison ricevette un colpo di bastone al braccio, il sergente Brook si trovò ferito e il policeman Cully cadde morto.

La zona del meeting era seminata di individui colla testa rotta e cosparsa di laghi di sangue.

Alle 4 pom. il quartiere era ridiventato tranquillo.

I giurati della inchiesta mortuaria dinanzi il Coroner fecero giustizia.

L'inchiesta durò parecchi giorni. I giurati, dopo tre ore di consultazione, uscirono con un verdetto di omicidio giustificato; perchè il magistratodisse il capo dei giurati — non lesse l'act che ingiunge di disperdersi, perchè il governo non prese le precauzioni necessarie per impedire la riunione e perchè la polizia, senz'essere provocata, fu feroce e brutale. Il verdetto aggiungeva la speranza che il governo avrebbe impedito che tali fatti disonorevoli si ripetessero in questa metropoli.

Il coroner rimase sbalordito. «Il vostro verdettodissecalunnia la polizia e il governo. La deposizione non giustifica l'assassinio di quest'uomo (del policeman Cully). Erano innocenti coloro che erano armati di stiletto

Capo dei giurati. — Abbiamo detto le ragioni che giustificano l'omicidio. Noi non accusiamo polizia, governo. Noi solo confidiamo che il nostro verdetto impedirà che le teste dei sudditi pacifici di sua maestà vengano rotte dalla negligenza e dalla ferocia.

Coroner. — Volete chiamare coloro sudditi pacifici?

Capo dei giurati. — È stato provato che lo erano. Noi non vogliamo discutere altro. O licenziateci o registrate il nostro verdetto. Noi non lo altereremo di una sillaba. In nome del giuramento che abbiamo fatto a Dio, alla patria ed al re, non possiamo dare altro verdetto.

Coroner. — Gentlemen! Io considero il verdetto un disonore per voi. Vi ringrazio per la vostra grande attenzione.

Il capo dei giurati, inchinandosi, disse: «noi pure vi ringraziamo

Finita questa cerimonia, il pubblico gridò: «Bravi giurati! Voi avete fatto il vostro dovere. La nazione ve ne sarà grata

Di fuori la moltitudine ricominciò: bravo jurors!bravi giurati!

 




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