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Paolo Valera
L'insurrezione chartista in Inghilterra

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  • II.   Periodo della provocazione.
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II.

 

Periodo della provocazione.

 

Dopo il massacro spaventevole del campo di Peterloo (a Manchester), dove la cavalleria, con una carica che restò memorabile nel librone delle vigliaccherie militari, irruppe su 80,000 persone riunite nel recinto della chiesa, ammazzandone 14 e lasciandone sul terreno ferite di sciabola 618, e dopo undici anni di agitazione, di meetings e di tumulti per ottenere il diritto di partecipare alla legislazione del paese, non c'era più che l'aristocrazia che non volesse vedere la necessità imperiosa di una riforma nella rappresentanza della nazione. Sfido, io! Era come domandarle di rinunciare a una gran parte della influenza che esercitava sulla legislazione e sul paese! I deputati dei rotten boroughs (collegi con pochi elettori corrotti o impotenti a manifestare opinioni politiche) non rappresentavano alla Camera dei comuni che i loro masters (padroni) della Camera dei lordi. Erano dei nominati, non degli eletti. Il duca di Newcastle, per esempio, con 60 elettori — tutti alla sua dipendenzanominava il rappresentante per Aldborough. Il duca di Leeds ne mandava uno alla Camera con 36 elettori, il duca di Buckingham con 20, lord Littelton con 13, il duca di Northumberland con 15, e via! Era, in una parola, del medio evo putrido che ammorbava la Costituzione e che le masse dei tre regni volevano, per salvarla, sopprimere.

Il duca di Wellington non poteva essere l'uomo. Egli anzi provò l'inadattabilità del militare nelle cose civili. Malgrado avesse dovuto subire, come primo ministro, le ventate dei nuovi tempi, non capiva che una società di subordinati. Anche i ministri del suo Gabinetto non erano che delle schiene. Aveva poi in orrore le «opinioni delle moltitudini».

In Irlanda non sapeva governare senza leggi eccezionaliprovocando così la collera di Daniele O'Connell, che lo chiamò «vile soldataccio inglese» e che popolarizzò il suo ministero come un «ministero abietto, sanguinario, brutale!» E in Inghilterra proibiva meetings, dimostrazioni, processioni e faceva arrestare e processare gli oratori per «linguaggio sedizioso». La Costituzione, per lui, non poteva essere migliore. La Camera rappresentava tutti gl'interessi del paese.

Alla Camera dei lords il duca di ferro, il bastonatore di donne, disse che la Camera dei Comuni, come era, «rispondeva a tutte le esigenze di una buona legislazione» e che «fino a quando resterò io a questo posto sarò contro qualsiasi progetto di riforma proposta dagli altri». Disilluse tutto il paese e distrusse, anche all'estero, la falsa riputazione che godeva di statista. «Non è che un soldato!» E il vincitore di Napoleone dovette abbandonare il potere, inseguito dalle ingiurie di milioni di cittadini, dopo aver subito l'ignominia, lui, l'uomo di Waterloo! di non poter andare al banchetto annuale che il lord mayor ai ministri, per paura dei fischi e delle sassate! «O lo si deve rimandare, disse all'ultima ora, o la City deve essere gremita di soldati

Il re, William IV, secondo la Martineau, era in favore della «Riforma.» La Martineau aveva della tenerezza per questo ignorante sul trono, perchè girellava per le vie della capitale come un borghese qualunque, coll'ombrello sotto il braccio e la tabacchiera sempre pronta per gli «amici di una volta» che incontrava. Invece, secondo il Molesworth, il re non accettò il gabinetto del bill della Riforma (di lord Grey) che obbligato dal grido popolare, come non si lasciò indurre a sciogliere il Parlamento che aveva votato 100.000 sterline all'anno per sua moglie, in caso gli sopravvivesse, che quando i ministri gli parlarono di «rivoluzione».

E che l'alternativa fosse o rivoluzione o il bill della «Riforma», ce lo dicono i conflitti durante l'aspettativa del bill, le luminarie e la gioia popolare in tutte le città del regno nella stessa sera in cui lord John Russell lo presentò alla Camera dei Comuni (1.° marzo 1831), la sospensione di tutti gli affari durante le elezioni generali, gli urli e la sassaiuola contro i nemici del bill chiamato poi, da sir Charles Wetherell, il bill delle ladrerie di una, corporazione — i disordini delle giornate dopo che i lords lo gettarono dalla finestra con una maggioranza contraria di 41 voti (18 ottobre 1831) — e l'irritazione che imperversò nell'individuo e nelle classi fino al bill divenuto legge (5 giugno 1832). Non si aveva più testa che pel bill.

Tutte le classi — ad eccezione di quella «superiore» — vedevano in esso l'emancipazione economica, il benessere generale, l'abolizione di tutte le tasse e di tutti i privilegi, il governo del popolo pel popolo, la libertà di parola e di riunione, la prosperità nazionale. Il vogliamo di tutti era «il bill, tutto il bill, null'altro che il bill».

Il disegno di legge — come venne poi votatoaboliva 142 collegi, dirò così, personali, cioè dei lords e dei grandi landlords, aumentava i rappresentanti della nazione a 65 contee e conferiva il diritto di farsi rappresentare alla Camera dei Comuni a Manchester, a Leeds, a Birminghamcittà manifatturiere come queste non eleggevano ancora deputati! — e ad altre 39 città fiorenti e popolose senza rappresentanti.

Questo bill che a noi, dopo 62 anni, sembra un'inezia legislativa, andava oltre le speranze perfino di Enrico Hunt — colui che aveva scontata la pena di due anni e mezzo, cogli applausi e i bene! di Wellington nella Camera dei lords, per aver presieduto il meetings massacrato sul campo di Peterloo. «Quantunque non vi sia nulla che non sapessi da 20 anni, il bill va oltre le mie aspettative. Tutto ciò che si disse in questa Camera, su questo bill, è stato detto per 20 anni dai tessitori del Lancashire.» L'Hume, il leader della frazione «radicale moderata», disse, come l'Hunt, che superava le sue aspettative. O' Connell si sentì come placato. Lo chiamò uno schema grandioso, liberale, saggio e anche generoso.

Il bill trattava male l'Irlanda, ma via! non voleva cavillare dinanzi una grande riforma. Tanto più che il Liberatore — colui che gli inglesi chiamavano il «re dei mendicanti» — si era segretamente impegnato a sostenere il Ministero a patto che desso scegliesse un vicerè e un procuratore generale — s'intende per l'Irlanda — di «suo gradimento». Lord John Russell, nel discorso di presentazione, disse che «il popolo domanda la Riforma ad alta voce e che tutto ciò che esisteva di buono in questa Camera è completamente sparito». Come ogni buon inglese, rammentò che, secondo la costituzione, nessuno deve pagare tasse se non ha parte nella rappresentanza. Se la questione è di diritto, aggiunse, il diritto è in favore della Riforma.

Sciolta la Camera pel bill che «faceva largo, secondo sir J. Russell, all'influenza popolare», il lord mayor permise che la City venisse illuminata. Il mayor, naturalmente, era Tory. I riformatori fanatici ruppero i vetri delle finestre di Wellington, di Baring e di altri fanatici antiriformatori e il paese, malgrado i rotten boroughs, mandò alla Camera una maggioranza, pel bill, di 136 deputati. L'entusiasmo fu tale che, su 82 eletti nelle contee, soli quattro erano contrari alla Riforma.

Dopo cinque notti di discussione bestiale, i lordi, come vi ho detto, eccitarono le masse fino al parossismo, respingendo «il bill che riassumeva la volontà della nazione» All'indomani del «grande delitto», incominciò una specie di lutto nazionale. Sulle campane si gettò la gramaglia, le botteghe delle città si chiusero — molti giornali, specialmente delle province, uscirono listati e dovunque la gente rimase come sbalordita o paralizzata.

Al lunedì la furia era sguinzagliata. — «Che ce ne facciamo dei lords?» La loro abolizione era sulla bocca di tutti. I commercianti e il pubblico, che avevano dei risparmi o dei depositi sulle Banche, parlavano di ritirare i loro depositi e costringere così la Banca d'Inghilterra, per ripercussione, a morire di fame e scuotere il credito della nazione.

Qua e , pel regno, vi furono dei tumulti sanguinosi; qua e , pel regno, i contadini si sfogavano incendiando le messi e gli edifici. A Bristol la folla invase la Mansion House.

In Sicilia gli imbecilli fiutarono l'oro straniero. Qui, durante le convulsioni pel bill, si vedeva in ogni delitto la mano straniera. Si raccontavano storie da far sganasciare dalle risa. Chi li aveva veduti a cavallo, chi nelle diligenze e chi a piedi, vestiti come gentiluomini. Lord Eldon confermò queste chiacchiere nella Camera alta, dicendo che era stato informato che molti di questi foreigners (stranieri) erano in carcere. Gli storici dicono che non si trovò, lungo tutto questo periodo, neppur l'ombra dello straniero.

Mentre in tutte le città delle tre nazioni unite si meetingava contro i lords, caricandoli di insulti e minacciandoli di soppressione, la capitale o parte della capitale si era riversata lunedì — due giorni dopo — nelle vie che conducono al Parlamento.

I pari e i deputati antiriformatori non potevano passare, quando andavano al Parlamento, che protetti da gruppi di policemen. Ma i policemen non potevano salvarli dalle uova putrefatte e dall'esecrazione che li accompagnava fin oltre le cancellate.

Il duca di Newcastle fu percosso, non si sa più dove. Il cabriolet che portava il marchese di Londonderry venne fermato dalla mob (plebe) e schiaffeggiato da parecchi che riuscirono a mettere le mani nella vettura. I pari spirituali erano il bersaglio della folla. Alcuni hanno dovuto rincasare per non essere assassinati. I pastori o i sedicenti pastori del popolo che votano contro il popolo!

Dei ventidue prelati ventuno avevano votato contro il bill! Non vi fu che il vescovo di Norwích che abbia avuto il coraggio di votare pel gregge. Due giorni dopo, una processione di 60.000 adulti presentò, per mezzo dei rappresentanti, la petizione che pregava il re di valersi di tutti i mezzi costituzionali per far votare il bill. Il re fu lietissimo della petizione. Aveva fiutato che la sua resistenza gli avrebbe messo in pericolo il trono. Pregò Hume — il deputato che gliela aveva presentata — di dire ai firmatari e ai dimostranti che la loro preghiera sarebbe stata esaudita.

«Tutte le persone, dite loro, della mia casa reale, contrarie al bill saranno licenziate. Farò ogni sforzo perchè il bill passi

Intanto lord Londonderry dovette difendersi una seconda volta, minacciando di scaricare la pistola, da una folla di 4000 persone che lo aveva riconosciuto.

Il duca di Cumberland venne sbattuto giù da cavallo mentre ritornava dalla Camera dei lords. Il marchese di Bristol dovette dormire fra le correnti d'aria perchè le finestre del suo palazzo non avevano più vetri.

Passato il bill, le masse si trovarono come corbellate. La Riforma non aveva beneficato che la borghesia. La legge aveva dato il diritto di voto a coloro che pagavano tasse per case valutate da 250 lire di pigione in su. Ma tra il mezzo milione dei nuovi elettori non si trovavano i tessitori del Lancashire, i contadini di Norfolk, i soci delle Unioni politiche di Londra, di Birmingham e di Manchester. E tuttavia erano stati loro i veri autori della Riforma! Non furono i banchieri, i manifatturieri, i commercianti che la fecero trionfare, ma, dice il Molesworth, la plebe londinese; ma i 300 o 400 mila dell'Unione politica di Birmingham; ma la determinazione della grande massa del popolo di tutte le parti del regno di marciare su Londra al primo segnale dato dai leaders.

Alla rabble (plebe o popolaccio, come la chiamò impudentemente Macaulay), rimasta esclusa dalla vita politica, diseredata del voto, non rimaneva che raccogliersi, organizzarsi e ricominciare la lotta. E l'organizzazione si può dire che durò cinque anni. Sir Robert Peel, non appena dessa si fece sentire, le rispose che la Riforma del 32 doveva essere considerata finale. Peel, che i suoi biografi vorrebbero far credere morto mezzo liberale, era rigido, pieno di dubbi, incapace di sentire i tempi. Non apparteneva all'alto torysmo, ma non ne era molto lontano.

Fu il linguaggio petulante di questo ministro che credeva di saper tutto, di questo ministro che dovette, per amore dell'ambizione, abolire le leggi protezioniste sui cereali dopo averle difese colle mani e coi piedi, fu la provocazione di questo tory, uscito da una casa tory, laureato da una università tory, che diede vita, o piuttosto energia, al chartismo. Perchè, come tutti sanno, i chartisti, tali e quali, esistevano anche prima del 1817, quando lord Castlereagh li denunciava alla Camera come «rivoluzionari che volevano rovesciare la monarchia per sostituirle una repubblica a base di suffragio universale». Ma del «nobile lord» e dei chartisti di prima maniera ci occuperemo più tardi.

 




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