II.
Periodo della provocazione.
Dopo il massacro spaventevole
del campo di Peterloo (a Manchester), dove la cavalleria, con una carica che
restò memorabile nel librone delle vigliaccherie militari, irruppe su 80,000
persone riunite nel recinto della chiesa, ammazzandone 14 e lasciandone sul
terreno ferite di sciabola 618, e dopo undici anni di agitazione, di meetings
e di tumulti per ottenere il diritto di partecipare alla legislazione del
paese, non c'era più che l'aristocrazia che non volesse vedere la necessità
imperiosa di una riforma nella rappresentanza della nazione. Sfido, io! Era
come domandarle di rinunciare a una gran parte della influenza che esercitava
sulla legislazione e sul paese! I deputati dei rotten boroughs (collegi
con pochi elettori corrotti o impotenti a manifestare opinioni politiche) non
rappresentavano alla Camera dei comuni che i loro masters (padroni)
della Camera dei lordi. Erano dei nominati, non degli eletti. Il duca di
Newcastle, per esempio, con 60 elettori — tutti alla sua dipendenza — nominava
il rappresentante per Aldborough. Il duca di Leeds ne mandava uno alla Camera
con 36 elettori, il duca di Buckingham con 20, lord Littelton con 13, il duca
di Northumberland con 15, e via! Era, in una parola, del medio evo putrido che
ammorbava la Costituzione
e che le masse dei tre regni volevano, per salvarla, sopprimere.
Il duca di Wellington non poteva
essere l'uomo. Egli anzi provò l'inadattabilità del militare nelle cose civili.
Malgrado avesse dovuto subire, come primo ministro, le ventate dei nuovi tempi,
non capiva che una società di subordinati. Anche i ministri del suo Gabinetto
non erano che delle schiene. Aveva poi in orrore le «opinioni delle
moltitudini».
In Irlanda non sapeva governare
senza leggi eccezionali — provocando così la collera di Daniele O'Connell, che
lo chiamò «vile soldataccio inglese» e che popolarizzò il suo ministero come un
«ministero abietto, sanguinario, brutale!» E in Inghilterra proibiva meetings,
dimostrazioni, processioni e faceva arrestare e processare gli oratori per
«linguaggio sedizioso». La
Costituzione, per lui, non poteva essere migliore. La Camera rappresentava tutti
gl'interessi del paese.
Alla Camera dei lords il duca di
ferro, il bastonatore di donne, disse che la Camera dei Comuni, come era, «rispondeva a tutte
le esigenze di una buona legislazione» e che «fino a quando resterò io a questo
posto sarò contro qualsiasi progetto di riforma proposta dagli altri».
Disilluse tutto il paese e distrusse, anche all'estero, la falsa riputazione
che godeva di statista. «Non è che un soldato!» E il vincitore di Napoleone
dovette abbandonare il potere, inseguito dalle ingiurie di milioni di
cittadini, dopo aver subito l'ignominia, lui, l'uomo di Waterloo! di non poter
andare al banchetto annuale che il lord mayor dà ai ministri, per paura dei
fischi e delle sassate! «O lo si deve rimandare, disse all'ultima ora, o la City deve essere gremita di
soldati.»
Il re, William IV, secondo la Martineau, era in favore
della «Riforma.» La
Martineau aveva della tenerezza per questo ignorante sul
trono, perchè girellava per le vie della capitale come un borghese qualunque,
coll'ombrello sotto il braccio e la tabacchiera sempre pronta per gli «amici di
una volta» che incontrava. Invece, secondo il Molesworth, il re non accettò il
gabinetto del bill della Riforma (di lord Grey) che obbligato dal grido
popolare, come non si lasciò indurre a sciogliere il Parlamento che aveva
votato 100.000 sterline all'anno per sua moglie, in caso gli sopravvivesse, che
quando i ministri gli parlarono di «rivoluzione».
E che l'alternativa
fosse o rivoluzione o il bill della «Riforma», ce lo
dicono i conflitti durante l'aspettativa del bill, le luminarie e la
gioia popolare in tutte le città del regno nella stessa sera in cui lord John
Russell lo presentò alla Camera dei Comuni
(1.° marzo 1831), la sospensione di tutti gli
affari durante le elezioni generali, gli urli e la sassaiuola contro i nemici
del bill — chiamato poi, da sir Charles Wetherell, il bill delle
ladrerie di una, corporazione — i disordini delle giornate dopo che i lords lo
gettarono dalla finestra con una maggioranza contraria di 41 voti (18 ottobre
1831) — e l'irritazione che imperversò nell'individuo e nelle classi fino al bill
divenuto legge (5 giugno 1832). Non si aveva più testa che pel bill.
Tutte le classi — ad eccezione
di quella «superiore» — vedevano in esso l'emancipazione economica, il
benessere generale, l'abolizione di tutte le tasse e di tutti i privilegi, il
governo del popolo pel popolo, la libertà di parola e di riunione, la
prosperità nazionale. Il vogliamo di tutti era «il bill, tutto il bill,
null'altro che il bill».
Il disegno di legge — come venne
poi votato — aboliva 142 collegi, dirò così, personali, cioè dei lords e dei grandi
landlords, aumentava i rappresentanti della nazione a 65 contee e conferiva il
diritto di farsi rappresentare alla Camera dei Comuni a Manchester, a Leeds, a
Birmingham — città manifatturiere come queste non eleggevano ancora deputati! —
e ad altre 39 città fiorenti e popolose senza rappresentanti.
Questo bill che a noi,
dopo 62 anni, sembra un'inezia legislativa, andava oltre le speranze perfino di
Enrico Hunt — colui che aveva scontata la pena di due anni e mezzo, cogli
applausi e i bene! di Wellington nella Camera dei lords, per aver presieduto il
meetings massacrato sul campo di Peterloo. «Quantunque non vi sia nulla
che non sapessi da 20 anni, il bill va oltre le mie aspettative. Tutto
ciò che si disse in questa Camera, su questo bill, è stato detto per 20
anni dai tessitori del Lancashire.» L'Hume, il leader della frazione «radicale
moderata», disse, come l'Hunt, che superava le sue aspettative. O' Connell si
sentì come placato. Lo chiamò uno schema grandioso, liberale, saggio e anche
generoso.
Il bill trattava male
l'Irlanda, ma via! non voleva cavillare dinanzi una grande riforma. Tanto più
che il Liberatore — colui che gli inglesi chiamavano il «re dei mendicanti» —
si era segretamente impegnato a sostenere il Ministero a patto che desso
scegliesse un vicerè e un procuratore generale — s'intende per l'Irlanda — di
«suo gradimento». Lord John Russell, nel discorso di presentazione, disse che
«il popolo domanda la Riforma
ad alta voce e che tutto ciò che esisteva di buono in questa Camera è completamente
sparito». Come ogni buon inglese, rammentò che, secondo la costituzione,
nessuno deve pagare tasse se non ha parte nella rappresentanza. Se la questione
è di diritto, aggiunse, il diritto è in favore della Riforma.
Sciolta la Camera pel bill che
«faceva largo, secondo sir J. Russell, all'influenza popolare», il lord mayor
permise che la City
venisse illuminata. Il mayor, naturalmente, era Tory. I riformatori fanatici
ruppero i vetri delle finestre di Wellington, di Baring e di altri fanatici
antiriformatori e il paese, malgrado i rotten boroughs, mandò alla
Camera una maggioranza, pel bill, di 136 deputati. L'entusiasmo fu tale
che, su 82 eletti nelle contee, soli quattro erano contrari alla Riforma.
Dopo cinque notti di discussione
bestiale, i lordi, come vi ho detto, eccitarono le masse fino al parossismo,
respingendo «il bill che riassumeva la volontà della nazione»
All'indomani del «grande delitto», incominciò una specie di lutto nazionale.
Sulle campane si gettò la gramaglia, le botteghe delle città si chiusero —
molti giornali, specialmente delle province, uscirono listati e dovunque la
gente rimase come sbalordita o paralizzata.
Al lunedì la furia era
sguinzagliata. — «Che ce ne facciamo dei lords?» La loro abolizione era sulla
bocca di tutti. I commercianti e il pubblico, che avevano dei risparmi o dei
depositi sulle Banche, parlavano di ritirare i loro depositi e costringere così
la Banca
d'Inghilterra, per ripercussione, a morire di fame e scuotere il credito della
nazione.
Qua e là, pel regno, vi furono
dei tumulti sanguinosi; qua e là, pel regno, i contadini si sfogavano
incendiando le messi e gli edifici. A Bristol la folla invase la Mansion House.
In Sicilia gli imbecilli
fiutarono l'oro straniero. Qui, durante le convulsioni pel bill, si vedeva
in ogni delitto la mano straniera. Si raccontavano storie da far sganasciare
dalle risa. Chi li aveva veduti a cavallo, chi nelle diligenze e chi a piedi,
vestiti come gentiluomini. Lord Eldon confermò queste chiacchiere nella Camera
alta, dicendo che era stato informato che molti di questi foreigners
(stranieri) erano in carcere. Gli storici dicono che non si trovò, lungo tutto
questo periodo, neppur l'ombra dello straniero.
Mentre in tutte le città delle
tre nazioni unite si meetingava contro i lords, caricandoli di insulti e
minacciandoli di soppressione, la capitale o parte della capitale si era
riversata lunedì — due giorni dopo — nelle vie che conducono al Parlamento.
I pari e i deputati
antiriformatori non potevano passare, quando andavano al Parlamento, che
protetti da gruppi di policemen. Ma i policemen non potevano
salvarli dalle uova putrefatte e dall'esecrazione che li accompagnava fin oltre
le cancellate.
Il duca di Newcastle fu
percosso, non si sa più dove. Il cabriolet che portava il marchese di
Londonderry venne fermato dalla mob (plebe) e schiaffeggiato da parecchi
che riuscirono a mettere le mani nella vettura. I pari spirituali erano il
bersaglio della folla. Alcuni hanno dovuto rincasare per non essere
assassinati. I pastori o i sedicenti pastori del popolo che votano contro il
popolo!
Dei ventidue prelati ventuno
avevano votato contro il bill! Non vi fu che il vescovo di Norwích che
abbia avuto il coraggio di votare pel gregge. Due giorni dopo, una processione
di 60.000 adulti presentò, per mezzo dei rappresentanti, la petizione che
pregava il re di valersi di tutti i mezzi costituzionali per far votare il bill.
Il re fu lietissimo della petizione. Aveva fiutato che la sua resistenza gli
avrebbe messo in pericolo il trono. Pregò Hume — il deputato che gliela aveva
presentata — di dire ai firmatari e ai dimostranti che la loro preghiera
sarebbe stata esaudita.
«Tutte le persone, dite loro,
della mia casa reale, contrarie al bill saranno licenziate. Farò ogni
sforzo perchè il bill passi.»
Intanto lord Londonderry dovette
difendersi una seconda volta, minacciando di scaricare la pistola, da una folla
di 4000 persone che lo aveva riconosciuto.
Il duca di Cumberland venne
sbattuto giù da cavallo mentre ritornava dalla Camera dei lords. Il marchese di
Bristol dovette dormire fra le correnti d'aria perchè le finestre del suo
palazzo non avevano più vetri.
Passato il bill, le masse
si trovarono come corbellate. La
Riforma non aveva beneficato che la borghesia. La legge aveva
dato il diritto di voto a coloro che pagavano tasse per case valutate da 250
lire di pigione in su. Ma tra il mezzo milione dei nuovi elettori non si
trovavano nè i tessitori del Lancashire, nè i contadini di Norfolk, nè i soci
delle Unioni politiche di Londra, di Birmingham e di Manchester. E tuttavia
erano stati loro i veri autori della Riforma! Non furono nè i banchieri, nè i
manifatturieri, nè i commercianti che la fecero trionfare, ma, dice il
Molesworth, la plebe londinese; ma i 300 o 400 mila dell'Unione politica di
Birmingham; ma la determinazione della grande massa del popolo di tutte le
parti del regno di marciare su Londra al primo segnale dato dai leaders.
Alla rabble (plebe o
popolaccio, come la chiamò impudentemente Macaulay), rimasta esclusa dalla vita
politica, diseredata del voto, non rimaneva che raccogliersi, organizzarsi e
ricominciare la lotta. E l'organizzazione si può dire che durò cinque anni. Sir
Robert Peel, non appena dessa si fece sentire, le rispose che la Riforma del 32 doveva
essere considerata finale. Peel, che i suoi biografi vorrebbero far
credere morto mezzo liberale, era rigido, pieno di dubbi, incapace di sentire i
tempi. Non apparteneva all'alto torysmo, ma non ne era molto lontano.
Fu il linguaggio petulante di
questo ministro che credeva di saper tutto, di questo ministro che dovette, per
amore dell'ambizione, abolire le leggi protezioniste sui cereali dopo averle
difese colle mani e coi piedi, fu la provocazione di questo tory, uscito da una
casa tory, laureato da una università tory, che diede vita, o piuttosto
energia, al chartismo. Perchè, come tutti sanno, i chartisti, tali e quali,
esistevano anche prima del 1817, quando lord Castlereagh li denunciava alla
Camera come «rivoluzionari che volevano rovesciare la monarchia per sostituirle
una repubblica a base di suffragio universale». Ma del «nobile lord» e dei
chartisti di prima maniera ci occuperemo più tardi.
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