IV.
Il comandante delle truppe
nelle provincie chartiste.
Perchè possiate spiegarvi il
generale Carlo Giacomo Napier — uno dei più «gloriosi soldati» — sempre dopo
Wellington — dell'armata britannica — devo prima dirvi che gli ufficiali e i
soldati inglesi hanno poco o nulla di comune coi nostri. Gli italiani, non
appena indossata la montura, non sono più che degli arnesi di disciplina. Gli
inglesi rimangono cittadini. I soldati, in questo paese senza coscrizione, sono
dei volontari che hanno firmato un contratto colla ditta governo per un certo
numero d'anni. Giù di servizio e finiti gli esercizi militari, appendono alla
parete la baionetta o la sciabola ed escono colla pipa in bocca e il bambù in
mano. Per le vie sono come qualunque altro individuo. Vanno via colle loro
donne sotto braccio, bevono dovunque piace loro e fino a quando garba loro e
rincasano magari in cimberli come ogni altro borghese.
La loro mensa è buona, la loro
caserma è una abitazione direi quasi con del comfort, la loro paga è di
uno scellino al giorno e le loro punizioni per violazioni disciplinari, messe a
tu per tu con quelle dei nostri, sono inezie. Manca nell'esercito inglese il
pedantismo del nostro. Superiori e tribunali militari hanno indubbiamente più
cervello e più cuore. Prendete il Napier alla testa delle truppe che dovevano
sopprimere il chartismo. Egli scriveva ai suoi ufficiali dei distaccamenti che
non giovavano punto le sentenze troppo severe. «Se aveste dato a questo soldato
soli due mesi, la sentenza sarebbe stata più salutare. I giudizi delle Corti
marziali li leggo due e spesso tre volte». Bravo.
Gli ufficiali sembra che abbiano
vergogna di far sapere che appartengono all'esercito. Nessuno li vede mai in
uniforme, fuorchè ai ricevimenti o di servizio. Non c'è in loro l'entusiasmo
per la sciabola che strascica sul selciato. In dieci anni non ho mai veduto un
ufficiale in divisa a spasso! Chi ne dubita legga le lettere e l'articolo di
fondo pubblicati dieci mesi sono nel Times.
Così non è difficile capire come
nel generale Napier fosse più dell'uomo che del militare, come lo intendiamo
noi. Inviato con 6000 uomini — divenuti poi 8000 — e 18 cannoni a schiacciare
il chartismo in undici contee settentrionali d'Inghilterra, senza punto venir
meno al suo dovere, divenne egli stesso quasi chartista. Naturalmente, qua e
là, nel suo Diario (Life and opinions of general sir Charles James
Napier, vol. II), vi sono frasi e pensieri che fanno a pugni con altri
pensieri ed altre frasi. Per esempio crede i chartisti dei repubblicani che
vogliono rovesciare il trono, dichiara che «l'essenza del repubblicanismo è
saccheggio», e conclude, ogni giorno, che «tutto ciò è il risultato del
governo, che lord John Russell e i tories sono più da biasimare che O' Connor,
e che il subbuglio è il prodotto della ingiustizia del partito tory e
dell'imbecillità del partito whig!»
Tuttavia quanto è diverso dal
Morra! Era contro la violenza chartista, ma questa, scriveva, non mette il
governo dalla parte della ragione. Il suffragio universale è un loro diritto — it
is their right. — Come comandante farà il suo dovere perchè la corona e la
costituzione — secondo lui — devono essere difese, «ma sia maledetto colui che
è causa della guerra civile!»
A volte ti sembra un leader
della pace in montura. Far tirare sui «nostri cittadini», era, pel Napier, «la
più terribile delle sventure». «In uno scontro col popolo, se mai, mi servirò
di pallini. Il punto più importante è di sconfiggerli senza ucciderli. Uccidere
lo straniero che guarisce per combattere ancora, va bene, ma i nostri insorti
dobbiamo cercare di salvarli, non di distruggerli.»
«Le insurrezioni non sono
provocate dai leaders ma dal debito nazionale, dalle leggi sui cereali e
dalle nuove leggi sulla carità pubblica.»
Il 23 luglio 1839 il generale
scrisse: «Le cose vanno male. Questa povera gente vuol proprio rivoltarsi.
Quale spargimento di sangue! Magari avessi accettato il posto in Australia!
«Mentre scrivo, il tessitore più
abile e più attivo guadagna cinque scellini alla settimana. Le derrate sono
rincarite al punto che non avrà da mangiar pane. E in queste condizioni i
nostri reggitori sono chiamati uomini di Stato!
«Continua e aumenta dovunque la
fabbrica delle picche. Mi si fece vedere quella di Oastler — uno dei leaders
chartisti. Se sono tutte come queste non potrebbero penetrare, perchè hanno la
punta curva».
«Ho veduto altre picche. Sono
lunghe sei piedi, ma di nessun uso contro la cavalleria.»
Durante i suoi otto o nove mesi
di comandante in capo delle truppe del nord, il Napier dovette constatare che
le autorità civili erano sempre ansiose di dare, come dicevano loro, una
lezione esemplare. «Magistrati, lords, duchi sono tutti assetati di sangue.
Mentre noi militari non vogliamo che la pace!»
I magistrati furono la sua
bestia nera del periodo.
Erano dei pusillanimi che
diventavano leoni dietro le baionette dei soldati. Il loro grido eterno era per
dei rinforzi. «Truppa! truppa! truppa! Oh Dio, come mi hanno fatto
bestemmiare!»
I chartisti sono dei pazzi. Si
dicono della «forza fisica, cioè uomini d'azione! Noi sì che lo siamo». «Al
primo atto di violenza io sarò obbligato a rompere loro la testa. Per
convincerli che non potrebbero resistere, feci assistere un chartista alle esercitazioni
dei nostri cannoni e feci dire a O' Connor e a Taylor che sarebbe loro stato
impossibile di mantenere e far marciare, come essi dicono, un esercito di
300.000 operai. Il popolo non è punto per la battaglia. Potrà versare del sangue
e incendiare, ma non combattere.»
Il chartismo sembra tuttavia che
si prepari alla lotta campale e il comandante nota che, mentre i tessitori del
Lancashire e i lavoratori del Northumberland crepano di fame, il Parlamento vota
70.000 sterline per le scuderie reali!
La regina non è sul trono che da
due anni. E già a un banchetto presieduto da lor Scarbarough, ove era anche il
Napier, si applaudì fragorosamente al brindisi «la Chiesa e lo Stato», e si
rimase silenziosi a quello alla regina. Nessuno disse «Dio la protegga!»
In un altro, alla presenza di
alcuni ufficiali — ciò che fece perdere la pazienza al comandante — si disse
corna di sua maestà.
Il 9 settembre dello stesso
anno, il generale scrisse al duca di Portland sconsigliando l'arresto di O'
Connor, il demagogo ascoltato da milioni di lavoratori inglesi.
Vi ho già detto ch'egli non
aveva di energico che la minaccia, e il generale, quantunque non abbia di lui
un grande concetto, lo dichiarò uno dei leaders più temperati.
«Il suo arresto non arresterebbe
il movimento generale. Anzi, ne aumenterebbe la violenza. Se il governo vuole
proprio difendere il trono, deve dare al popolo i suoi diritti. Sì, Giovanni
(lord John Russell, ministro, allora, degli interni), bisogna dare their
rights al popolo. Lo ripeto: il chartismo non può essere soppresso. Dio
prevenga che lo sia! Il mio consiglio è questo: Date al popolo la charta.»
Del coraggio dei chartisti non è
traccia nel volume del generale.
Trenta soldati hanno potuto
mettere in fuga tre o quattromila chartisti armati. Il solo cavallo del
generale alla testa di dodici dragoni che pattugliavano, preceduto dal
magistrato pronto a leggere l'act di sciogliersi, voltandosi, ne fece
scappare delle migliaia.
Loda il governo che non versò il
sangue con delle esecuzioni capitali (alludeva ai quattro condannati a morte
per l'insurrezione di Newport). È crudele ed inutile uccidere per cambiare le
idee degli uomini. Noi non abbiamo diritto di sopprimere la vita per delle
idee. In battaglia, pazienza. Ma uccidere colla legge e per delle idee! È
orribile. No, non è giustizia, è barbarie. È una barbarità uccidere per delle
opinioni politiche nelle quali molte persone buone e oneste credono come i
condannati.
Non è giustizia, finisce il
Napier, è vendetta di partito dominante.
Il vescovo Kage si congratulò
per un'abbondante sottoscrizione a favore della sua chiesa. Il Napier disse che
il prelato aveva ragione di predicare che la religione salva l'anima, ma prima
dobbiamo nutrirlo (il gregge).
«Io e il vescovo — soggiunse —
siamo bene pasciuti. Ma Dio non ordinò di avere un debito nazionale per far
patire la povera gente.
«La mia idea fissa è che il
popolo è mal governato.»
Nel 1839 il Napier aveva 58
anni.
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