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Paolo Valera
L'insurrezione chartista in Inghilterra

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  • V.   La Charta del popolo.
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V.

 

La Charta del popolo.

 

I «sei punti» della Charta del Popolo sono in un opuscolo del 1775 intitolato: Diritti Legislativianalizzati e difesi dal maggiore Cartwright — un lettore e un ammiratore di Paine, celebre per avere fatto parte della Convenzione Nazionale dei Danton, dei Marat e dei Robespierre e per avere scritto I Diritti dell'uomo.

Ma può darsi che l'operaio Lovett — il supposto autore della Charta del 37 — non l'avesse neppur letto. Dico «supposto», perchè il vero autore della Charta è irreperibile come l'autore delle 8 ore. Tutte le piattaforme radicali del 1817 tumultuavano di suffragio universale per gli adulti (maschi), di voto (elettorale) segreto, di Parlamenti annuali, di abolizione del requisito della proprietà per essere eleggibile e di indennità pei deputati al Parlamento. Hunt ne era l'oratore, dirò così, della piazza, e Burdett della Camera dei Comuni.

Il Manifesto della Charta venne pubblicato e diffuso a milioni di copie l'8 maggio 1838, cioè circa 11 mesi dopo che Guglielmo IV era passato a miglior vita e due mesi prima che corresse pel regno il sottovoce di Corte, che faceva pullulare gli interrogativi nella testa dei sudditi sulla troppa intimità tra la giovine regina e il vecchio primo ministro Melbourne1. Lord Melbourne, dall'ascensione di Vittoria, aveva come trasportate le tende da Downingstreet (la residenza ufficiale del presidente dei ministri) al castello di Windsor.

La discussione e l'approvazione della Charta ebbero luogo al meeting del 25 febbraio 1837 alla Taverna della Corona e dell'Ancora nello Strand (Londra). I sei «punti» sono: suffragio per gli adulti maschi, parlamenti annuali, voto segreto, abolizione della qualifica di un'entrata di 300 sterline all'anno pel deputato, indennità ai membri della Camera dei Comuni, e distretti elettorali equipollenti.

In testa agli otto deputati e ai sei operai che la firmarono, è O' Connell, il quale restituendola al segretario della «Associazione degli operai» disse: «Ecco, Lovett, la vostra Charta. Agitate e non cessate l'agitazione che quando l'avrete ottenuta tutta intera». Tuttavia il «Liberatore» che io classificherei tra i whigs, e che metterei tra i patrioti che fanno pagare, ai concittadini, salata la loro eloquenza, poco dopo voleva che si sostituisse il Parlamento triennale all'annuale e che si cancellasse il salario nazionale ai deputati!

Prima che le moltitudini venissero alla frase «o coi mezzi pacifici o colla forza», la propaganda chartista si diffuse in tutta la Grande Bretagna. Gli oratori spiegavano alle turbe che nessuno doveva pagare tasse senz'essere rappresentato, che ogni cittadino aveva diritto al voto, che l'elettore doveva essere protetto dalla intimidazione e dalla corruzione, che gli abitanti del collegio dovevano essere liberi di scegliersi qualunque rappresentante dei loro interessi senza l'ostacolo della rendita annuale, e che la pluralità del voto nell'individuo ricco doveva essere recisa dalla costituzione come una vergogna nazionale. Taluni dei più noti della piattaforma chartista bollavano i ministri con dei sostantivi ingiuriosi e roventi.

Alla dimostrazione del settembre 1838, in favore della Riforma parlamentare condensata nella Charta del Popolo, il tribuno Vincent chiamò i componenti il ministero Melbourne e gli ex ministri un mucchio di knaves (furfanti). «Lord John Russell, disse, è un furfante, Brougham è un furfante, Peel è un furfante, Wellington è un furfante.» Il colonnello sir W. Napier, presente al meeting, non seppe trangugiare l'insulto contro il «più grande generale dell'epoca moderna

«Voi mentite! Il duca di Wellington non è un furfante. Egli combattè pel proprio paese nobilmente, eroicamente

Vincent: «Ripeto che chiunque, sia egli un Wellington, un Russell o un Napier, mi nega il voto, è un knave. La rappresentanza come è oggi è una cospirazione contro il popolo. E io invito il popolo a rivoltarsi contro questa ingiustizia

Napier: «Le ingiurie non giovano ad alcuna causa. Un uomo, anche onestissimo, in politica può prendere delle cantonate. Io credo che questo sia il caso di Wellington. Chiamando il più grande soldato d'Europa un briccone, vi degradate

Il reverendo Stephens, al comizio di 250.000 chartisti radunati in Kensal Moore, vicino a Manchester, disse che il «principio» della Charta del popolo si riassumeva nel diritto che ogni individuo ha di avere una casa e un focolare. «La Charta è il diritto di ogni uomo libero che respiri l'aria di Dio o che calpesti la terra di Dio. Il suffragio universale è una quistione di coltello e forchetta. Se mi si domandasse che cosa è il suffragio universale, risponderei che vuol dire una buona giacca, un buon cappello, un buon letto, un buon pranzo, un salario che mantenga nell'abbondanza e un orario di lavoro che permetta di rimanere in buona salute. Io sono qui tra mezzo a migliaia di persone, la maggioranza delle quali è venuta, probabilmente, senz'armi. Perchè le avete lasciato a casa? Perchè avevate paura. (Grida di no! no!) Perchè dunque le avete lasciate a casa? Perchè le autorità e i constabili di Manchester hanno dichiarato di avere fiducia nel popolo «pacifico e leale». E questa dichiarazione che mi ha impedito di essere qui con 10.000 uomini armati

Qui il lettore si ricordi che prima del 71 il cittadino era padronissimo di armarsi di qualunque arma da fuoco o da taglio. Lo stesso John Russell, durante la discussione tumultuosa sui disordini di Birmingham (1839), disse che «senza dubbio era diritto di chiunque di armarsi per la propria difesa.» Solo il «nobile lord» aggiunse che l'armarsi di una parte della popolazione per terrorizzare ed allarmare i sudditi era un abuso. (Bill of rights).

Il reverendo Stephens, come mi pare di avervi già detto, fu uno dei più violenti del movimento chartista. Sotto l'«Albero del cotone», a un miglio e mezzo da Hyde, invitò le moltitudini a venirvi con un pugnale nella destra e una fiaccola nella sinistra. Parlando dei padroni delle fabbriche, incitò la folla a coprire di pece e di penne Jones (un padrone) e a dargli il fuoco.

«La vendetta, disse il Signore — così il reverendo — è mia e vi ripago. Non date un centesimo alle chiese (egli era un dissidente della «chiesa stabilita») e ai loro ministri, e comperatevi delle armi. Non abbiate paura dei soldati perchè dessi sono con noi. Un soldato venne chiamato dinanzi il comandante. È vero, gli domandò, che simpatizzate pei chartisti? — Accidenti! Siamo tutti chartistiInsegnò ai presenti come prendersi del pane. «Colla picca sul petto dite ai prestinai che alla prossima volta vi prenderete la pagnotta sulla sua puntaPoscia domandò se erano armati e la folla rispose con delle scariche saltuarie.

Che cosa credete che abbia preso per tutto questo e per dell'altro che lascio nella penna? Gli si lasciò subire il processo a piede libero e, dopo un discorso di cinque ore, lo si condannò ai mesi registrati altrove.

Coi discorsi pacifici e violenti la Charta divenne la speranza della Grande Bretagna democratica o della truculenta democrazia, come la chiamò lord Melbourne. Ciascheduno trovava in essa la panacea dei suoi mali. Rappresentava la giustizia sociale. Era per tutti della emancipazione economica e politica. Cogli oratori nascevano i giornali. Londra aveva il suo Dispatch, Edimburgo il suo True Scotsman, Newcastle il suo Northern Liberator, Birmingham il suo Journal. Bronterre O' Brien, il nemico implacabile della nuova legge sulla carità pubblica, pubblicava l'Operative; i superstiti di Cobbett, Il Champion e la Chartist Circular.

La grande petizione firmata da 1.280.000 nomi perchè la Camera dei comuni prendesse in considerazione la Charta, alta come una ruota di diligenza, andò al Parlamento come in trionfo. Essa venne deposta sul tavolo della presidenza da otto uscieri.

Il deputato Attwood la circondò di un discorso senza riuscire a commuovere gli onorevoli. Essi rifiutarono di prenderla in considerazione con 255 voti contro 46.

Tutto era finito. Taylor — un repubblicano dai capelli lunghi e bipartiti — dalla cravatta rossa — dal copricapo floscio — un uomo che aveva ereditato da qualche mese 30.000 sterline — che non credeva che nella rivolta a mano armatariassunse la sua collera con una frase: «Mano alla torcia

Che fare?

Il popolo si abbandonò alla forza fisica. Malgrado la proibizione governativa, i chartisti continuavano ad armarsi, ad esercitarsi alle armi ed a meetingare, dopo il tramonto, con selve di fiaccole. I discorsi rinvigorivano. Il boycottaggio (ostracismo sociale) si propalava. Si andava di bottega in bottega a domandare: Siete chartisti? E chi diceva: no! veniva registrato sul libro nero. Si pensò di punire l'Inghilterra testarda col sacred month o col mese sacro, equivalente a uno sciopero generale per un mese.

Gli operai e i non operai chartisti dovevano astenersi da qualunque lavoro per obbligare le classi dominanti a curvare la testa e a concedere la Charta. Taylor, oltre al mese sacro — il quale, tra parentesi, doveva incominciare il 12 agostopropose un run o un'irruzione sulle Banche: tutti i chartisti dovevano invadere e portar via del loro fin l'ultimo soldo.

Fu Bronterre O' Brien, il rivale di O' Connor, e il direttore dell'Operative — che mandò a monte il mese sacro colla proposta di sottoporre la questione al popolo. Cane!

In quasi tutte le officine d'Inghilterra — e specialmente in quelle dell'Inghilterra centrale e settentrionale — si lavorava giorno e notte a preparare picche a tre scellini e mezzo ciascuna per la rivoluzione di domani

 




1 Chi avesse dei dubbi spágini The Greville Memoirs a journal of the reign of queen Victoria e dia un'occhiata all'Annual Register del 1838.






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