VIII.
L'orazione che fece piangere.
Tra i cinquantanove chartisti
processati il primo marzo 1843 alla Corte d'Assise di Manchester per
«cospirazione sediziosa», era Riccardo Pilling, il quale si fece difendere dal
suo discorso che riempì gli occhi del presidente, lord Denman, dei tre giudici,
dei giurati, degli avvocati, del procuratore generale che occupava il posto di
pubblico ministero, di Feargus O' Connor, il capo della «cospirazione», degli
altri cinquantotto accusati, delle signore, degli uscieri e del resto del
pubblico.
Il discorso del Pilling è tale e
quale può sgorgare dalla bocca di chi sente senza avere studiato l'arte di
impressionare. Riassume la condizione operaia del tempo chartista senza la
manteca dell'oratore di professione, senza la fraseologia altisonante di chi
vorrebbe far sussultare i pilastri sociali. La situazione tragica, se c'è, è
vera, è naturale. Pilling non ha ambizioni, non ha sogni, non ha domani. Il suo
ideale è un'equa mercede per un'equa giornata di lavoro. La sua semplicità ti
va al cuore. Lo leggi, dopo 52 anni, colla gola piena di singhiozzi.
— «My lord e signori
giurati! Io venni qui impreparato. È stato detto da un testimonio che io sono il
padre di questo grande movimento. Se è vero, punitemi e lasciate gli altri in
libertà. Ma non è vero. Il padre di questo movimento è quell'edificio (puntando
la destra verso la fabbrica vicina alla Corte). È là, là dentro il colpevole.
Il primo testimonio disse d'aver assistito a un nostro meeting ov'era un avviso
intestato: «Badate! il giorno di aggiustare i conti è vicino!» L'accusa lo
presentò come un documento contro di noi. Ma essa non diede il sugo del placard.
Ora io invito la Corte
a presentarlo tale e quale o a darlo a me per la mia difesa. Perchè citarne
solo il titolo? È cosa comune nei distretti manifatturieri di intitolare gli
avvisi con frasi notevoli per chiamare l'attenzione del popolo. La gente che
lavora si alza presto, lavora fino a notte e non ha tempo da sciupare. Molti di
essi fanno delle miglia pei loro pasti e, se non ritornano al lavorerio in
tempo, pagano una multa di 30 centesimi. È dunque naturale che si sia obbligati
ad eccitarli a leggere con parole ampollose.
«Signori giurati! ho circa 43
anni. Ieri sera qualcuno mi domandò se ne avevo sessanta. Se avessi avuto, come
tanti, vita agiata, invece di darmene sessanta, me ne darebbero trentasei.
Incominciai come tessitore, col telaio a mano, nel 1810, quando non avevo che
10 anni. La prima settimana guadagnai venti lire. Continuai questo mestiere a
casa fino al 40. A
quest'epoca avevo moglie e tre figli. Nel 40, con moglie e figli, il mio
settimanale non era che di 9,60. Ma non avevo che questa alternativa: o andare
alla fabbrica per questa somma o divenire suddito della carità pubblica.
Detestavo la fabbrica dal fondo del cuore. Ma, piuttosto che il numero di
povero della parrocchia, mi vi ci adattai. Non ci volle molto per vedere i mali
che produce questo sistema esecrabile — sistema che, più di ogni altra cosa,
ridurrà questo regno alla ruina se non sarà cambiato. Ho letto non poche
lettere di quel nobile re del Yorkshire (Riccardo Oastler, chiamato in allora,
il «re della fabbrica») il leader del movimento delle 10 ore. Divenni io
pure un avvocato del bill delle 10 ore. Ho continuato a difenderlo e a
propagarlo e continuerò fino all'ultimo alito della mia esistenza. Dopo sette
anni che lavoravo alla fabbrica, incominciò a insinuarsi in un modo o
nell'altro la riduzione. Stavo a Stockport. Vi erano padroni che per una
ragione o per l'altra avevano sempre bisogno di dar meno salario. Veduto che
questo era un male, divenni un accanito oppositore della riduzione e lo sarò
sempre fino all'ultimo giorno della mia vita. Continuerò a mantenere alto il
salario con tutte le mie forze. Per avere preso questa parte in Stockport e per
essere stato colui che impedì non poche diminuzioni, i padroni mi boycottarono
e non diedero più lavoro nè a me, nè ai miei figli. Non una giornata di lavoro
nè per loro, nè per me! Nel 40 le fabbriche di Stockport si chiudevano e
mettevano sul lastrico gli operai. Il motto dei padroni era: o la riduzione o
la fame. Io fui l'anima della resistenza. Rimanemmo in isciopero otto
settimane. Noi eravamo in piedi dalle cinque antimeridiane alle sei
pomeridiane. Oltre sei mila telai erano silenziosi. Facemmo molte processioni.
Andammo a Ashton, a Hyde, a Dukintield. La dimostrazione di Manchester fu
grandiosa. Ci facemmo vivi dovunque si lavora nel Lancashire. E nessuno ci disse
mai che facevamo del male. Dall'Act del Parlamento votato nel 1825, quando
vennero abolite le leggi contro le associazioni, noi avevamo diritto alla
manifestazione pubblica. Credevo che, come inglese e come operaio, in
conseguenza di questo atto parlamentare, avessi diritto di fare del mio meglio
per sostenere il settimanale.
«Quaranta padroni nel 1840 si
riunirono e cospirarono — se è cospirazione per gli operai, deve esserla anche pei
padroni — di ridurci il tanto all'auna di un penny (10 centesimi). È una
piccola riduzione che ci sopprimeva in un anno il salario di cinque settimane.
Era una sottrazione di 3,10 alla settimana. Era un furto. Io dissi che sarebbe
stata una rovina anche pei padroni manifatturieri. La mia profezia si è
avverata. Una metà è distrutta, l'altra insolvente. Quando ci ingiunsero la
diminuzione, ci dissero: Blackburn, Preston e gli altri distretti
manifatturieri pagano meno di noi e noi saremmo rovinati se non vi dessimo i
prezzi di Blackburn. Quale ne fu il risultato? Che i padroni di Hyde, Ashton,
Stalybridge, Bolton, Wigan, Warrington, Preston e Blackburn ridussero. Un anno
dopo ci ridussero ancora. Ci ridussero il tanto all'auna di altri dieci
centesimi. Il settimanale di coloro che lavoravano alle spole era di L. 11,25.
Glielo diminuirono di due lire e mezza. Quello dei cardatori era di 10 lire.
Glielo assottigliarono di 1,85. Allora proprio non ne potei più. Strascinai la
mia classe sul lastrico andando di distretto in distretto e non ritornammo al
lavoro che dopo di avere ricuperato il penny sull'auna. I padroni di
Stockport si radunarono di nuovo e di nuovo ci dissero: «Noi non possiamo fare
la concorrenza a Blackburn e a Preston e dobbiamo diminuirvi di nuovo». E così
continueranno fino a quando saremo tutti paupers o poveri della
parrocchia.
«Signori, andai a Ashton. Io e i
miei due figli lavoravamo alla fabbrica per 1,30 all'auna. Ne producevamo
trenta alla settimana, così che il nostro salario collettivo era di 39 lire.
Quando Stockport ridusse, il mio padrone ci tolse un penny dal tanto
all'auna. Egli non faceva che seguire gli altri. Se un padrone diminuisce, gli
altri sono obbligati a imitarlo. Perchè tutti si devono trovare sullo stesso
mercato. Se Tizio ha su un certo prezzo dieci centesimi di profitto e Caio ne
ha soli cinque, Caio dovrà scomparire. A Ashton ero in una condizione
miserabile. Dovevo mantenere la moglie e sette figli. E, come vi dissi, non
eravamo che in tre a lavorare. Dedotto il penny all'auna sul mio totale di 39
lire, non me ne rimanevano più che 35,90. Da queste dovevo pure dedurre alla
settimana 3,75 per l'affitto, 2,50 per gli abiti, ecc. In una parola, tutte
queste sottrazioni mi lasciavano un circa venticinque lire, le quali dovevano
bastare per tutto il bisognevole. Poco dopo il padrone mi tolse sul prezzo
dell'auna cinque centesimi — equivalenti a una riduzione di 1,55 alla
settimana. Trascorsi quindici mesi da questo disastro, ci si diminuirono altri
10 centesimi sull'auna. Poi altri cinque. Ritornammo sul lastrico dello
sciopero contro i cinque centesimi. Rientrato al lavorerio, tre degli
scioperanti, che avevano preso parte attiva, non vennero più accettati. Io non
ho vergogna di dichiarare che feci con altri individui tutto ciò che mi è stato
possibile per impedire la riduzione. Se sarò condannato per avere promosso gli
interessi della classe che amo, mi conforterà il pensiero di avere impedito una
riduzione che avrebbe fatto male a tanti. Durante questa agitazione, il nostro
motto fu: pace, legge, ordine. Malgrado le sei settimane di lastrico, la
proprietà di Ashton-under-Lyne non venne danneggiata di un centesimo.
«My lord e signori
giurati! Per mantenere la mia famiglia la tiravo lunga. A Pasqua il mio figlio
maggiore incominciò ad andare in consunzione e dovette abbandonare lo
stabilimento. In allora ci si davano 97 centesimi all'auna. Il mio salario era
stato ridotto, per la malattia del figlio, a 20 lire. Ecco tutto quello che
avevo per mantenere nove persone, con 3,75 di pigione e un figlio moribondo.
Aggravatosi, andai a casa a trovarlo (qui Pilling sostò commosso). Era agli
ultimi estremi. Io non avevo nulla da dargli che delle patate e del sale. Ora,
signori giurati, mettetevi al mio posto e ditemi come vi sentireste dinanzi al
figlio che muore senza poterlo soccorrere nè con medicine, nè con un po' di
vitello, nè con due dita di vino! Sì, mi ricordo che qualcuno andò alla casa di
un signore in Ashton a domandare una bottiglia di vino per lui. Gli fu risposto
che non poteva darne a un chartista! Signori, mio figlio morì prima che
incominciasse questo sciopero delle classi lavoratrici del Lancashire. Gli
operai di Ashton si quotarono e raccolsero 100 lire pel suo funerale. Signori
giurati! fu in questa condizione d'animo che andai a Stockport, al meeting che
protestava contro la riduzione del 25 per cento. Io lo confesso, o signori
giurati, che piuttosto che sottomettermi a un'altra riduzione del 25 per cento,
l'avrei fatta finita colla vita! Quello era il mio proponimento.
«Veniamo ai fatti.
«Vi dirò la causa dello
sciopero. Quantunque, come vi dissi, tre degli scioperanti non siano stati
riammessi, io non venni licenziato. Probabilmente il mio padrone ebbe
compassione del mio figlio ammalato. Inviammo attorno il gridatore, colui che
stormisce col campanello, a suscitare simpatia per questi tre disgraziati. Uno
aveva moglie e quattro figli, un altro aveva moglie e due figli e un terzo non
era ammogliato. La simpatia è una colletta. Il padrone, Rayners, di Ashton,
aveva dato avviso che in un giorno o due avrebbe ridotti i settimanali del 25
per cento, e la notizia fece nascere un tale buscherìo, da produrre un meeting
che rappresentava l'indignazione di Ashton e del distretto. Non v'erano solo
chartisti, ma persone di tutte le condizioni. E la voce fu unanime, che era
inutile aprire una sottoscrizione pei tre licenziati. Bisognava abbandonare
un'altra volta il lavoro. Ecco come incominciò lo sciopero. Tutti furono con
noi: whigs, tories, chartisti e radicali. Si elesse immediatamente un
comitato, il quale pubblicò il manifesto incriminato, in capo al quale era
detto che il giorno di aggiustare i conti non era lontano.
«L'intestazione, come ho già
detto, non era che per attrarre il pubblico. Io credo che il titolo sia stato
suggerito dal Wilcox (spia) che venne qui a deporre contro me. Egli fu più
scaltro di noi. Egli andò da Sir James Graham — il ministro dell'interno — o
gli scrisse una lettera. Il placard diceva che, se ci si obbligava a
un'altra riduzione, avremmo cessato di lavorare fino al giorno in cui ci si
sarebbe data un'equa mercede per un'equa giornata di lavoro. La Charta non vi era
accennata. Questa aggiunta venne fatta dal teste. Votammo un altro ordine del
giorno, il quale diceva che la diminuzione sarebbe stata dannosa per tutte le
classi. I presenti erano 1500 e la popolazione del distretto non è che di
25.000. Tutta Ashton vi era rappresentata. Bottegai, liquoristi, birrai,
filatori, avvocati (qui una voce gridò che gli avvocati non erano presenti
perchè vivono sul salario degli altri), lavoratori, tessitori, alzarono le mani
e votarono il manifesto e il secondo ordine del giorno. I discorsi tendevano a
provare principalmente che la macchina, senza la protezione del lavoro, era una
rovina o una maledizione.
«Signori giurati! Se vi dovessi
dire tutto ciò che so dei padroni, vi meravigliereste. Un padrone di Stockport,
che dieci anni fa occupava cinquanta persone a 31,50 alla settimana, oggi
produce la stessa quantità di lavoro con dieci uomini a 25 lire. So di un'altra
fabbrica in cui il lavoro è fatto tutto a macchina (alludeva al filatoio
inventato nel 1779 da Samuele Crompton)5. Rayners, fiutato lo spirito
del meeting, ritirò la riduzione e così fecero tutti gli altri padroni ad
eccezione di un certo Bayley. È lui che dovrebbe essere sul banco degli
accusati. Se egli avesse, come gli altri, ritirata la riduzione, non vi sarebbe
stato sciopero. Il popolo si sarebbe contentato di avere resa impossibile la
diminuzione. Si tennero meetings a Stalybridge, a Hyde. A Hyde gli operai
dichiararono di essere pronti ad abbandonare la fabbrica se non si ritirava la
minacciata riduzione. A Droylsden si fece lo stesso. Questa è la storia della
chiusura degli opifici. Io sono sicuro che senza questa lotta migliaia
sarebbero morti di fame. Perchè il grido dei padroni era: «Noi vogliamo ridurre
i settimanali!» Io non sono tra coloro che si contentano di vivere, come gli
irlandesi, di patate, che si lascerebbero vendere, come in Russia, colla terra.
Io voglio che il popolo sia istruito. E una volta che il popolo è educato, la Charta deve divenire legge.
«My lord e signori
giurati! Io non ho altro a dire se non che, malgrado le deposizioni contro me,
voi terrete conto della mia condizione nei rapporti colla mia famiglia. Io ho
veduto nelle fabbriche mogli e madri lavorare dalla mattina alla sera con un
solo pasto. Come ho veduto le ragazze che portavano i bimbi due volte al giorno
a succhiare le mammelle delle madri. Ho visto non pochi padri lavorare
dall'alba al crepuscolo, con un solo pasto. Questa era la condizione degli
operai al momento dello sciopero. Avevano salari umilianti, poco da mangiare,
pativano una miseria senza nome ed erano oppressi come non lo erano mai stati.
Il popolo oppresso, stufo, venne alla conclusione che non vi era che la
resistenza. Quale ne fu il risultato? Vi leggerò uno dei tanti nostri
manifesti, che proverà come noi abbiamo fatto di tutto per non uscire dai
limiti della legge.
«La Voce del Popolo è voce di Dio»;
è il manifesto ai padroni e ai commercianti di Ashton-under-Lyne e del
distretto che lo circonda.
«Noi, operai di
Ashton-under-Lyne, riuniti, sentiamo il dovere di dirvi pubblicamente che le
nostre sofferenze pei bassi salari e per altre cause sono tali, che non è più
possibile andare oltre. Noi perciò vogliamo che ci diate lo stesso settimanale
che ci davate nel 1840. Se voi dite che non potete pagarlo, è tempo per voi di
radunarvi e cercare la causa per la quale il lavoratore non può essere sufficientemente
rimunerato. Noi domandiamo la cooperazione di tutte le classi per impedire
l'intera distruzione del nostro commercio e la ruina dell'impero britannico.»
«Il placard ha la lista
dei prezzi che ricevevamo nel 1840, e questi, dice, sono quelli che vogliamo.
Il governo sembra determinato a non far nulla per prevenire la ruina imminente.
Esso affetta a di credere che la miseria del popolo e gli imbarazzi delle
classi medie non siano così grandi come si vorrebbe far vedere.» Aggiunge che
«gli interessi dei bottegai e delle classi lavoratrici sono identici»; e
dimostra che la conseguenza della riduzione dei settimanali è stata una perdita
per loro e pei piccoli commercianti di tre milioni e cinquecento dieci mila
lire. Questo, o signori, è il terribile placard, del quale il P. M. lesse il
titolo e non il resto. Egli si scusa dicendo che non ne ha una copia, quando si
sa che gliene hanno inviato un pacco!
«Non possiamo ora dire se
riusciremo o no; ma avremo, se non altro, la consolazione di non avere
domandato cose ingiuste o sragionevoli. Noi vogliamo la tariffa unica dei
prezzi di fabbrica per tutti i distretti manifatturieri. La tariffa unica è
nell'interesse dei padroni, perchè impedisce che uno venda a minor prezzo
dell'altro. Si parla molto della sopraproduzione e del rigurgito sul mercato.
Per rimediare ai mali del passato lavoriamo dunque sole dieci ore al giorno.
Noi vedremo decrescere la manifattura sul mercato e aumentare la consumazione
delle derrate. — Gli operai di Ashton-under-Lyne.»
«Distribuita questa circolare,
ci riunimmo e inviammo una deputazione a tutti i padroni, incaricata di
invitarli ad adottare le dieci ore e a farla finita colle riduzioni dei salari
e coi licenziamenti in massa. Alcuni si dichiararono pronti ad accettare queste
condizioni e alcuni le rifiutarono senza discuterle.
«My lord e signori
giurati! Non vi intratterrò a lungo. Dicevo che il 20 agosto tenemmo una
riunione di delegati di tutti i mestieri, allo scopo di redigere la lista unica
dei prezzi di fabbrica. Questo dimostra subito che eravamo determinati per un
aumento di salario. Tentammo di scoprire il segretario dei padroni con una
inserzione nel Manchester Guardian. Noi volevamo sapere da lui se essi
acconsentivano a fissare l'orario a dieci ore e a dare i prezzi di fabbrica del
1840.
«Signori giurati! Io non vi ho
detto tutto ciò che potevo della fabbrica. Avrei potuto dirvi, per esempio, che
il Mayor di Stockport, il signor Orrell, occupa 600 donne. Non
ammetterebbe un uomo nel suo stabilimento per tutto l'oro del mondo! Ho veduto
i mariti di queste operaie andare alla fabbrica coi bimbi in braccio per dar
loro un minuto di capezzolo della madre. Ho veduto migliaia di uomini che
andavano a far allattare dalla madre i bambini! come ne ho veduto migliaia
portar il desinare alla moglie! Vi cito semplicemente le fabbriche del
Bradshaw, dove non lavorano che le donne. Io feci parte della deputazione che
andò dall'Orrell e dal Bradshaw per indurli a permettere agli uomini di
guadagnarsi il pane nei loro stabilimenti. Ma entrambi rifiutarono. Una moglie
pregò caldamente il padrone perchè permettesse al marito di lavorare con lei.
Non ne volle sapere. Questi non sono che gli esempi personali. Ma potrei
citarvene a bizzeffe. Con questo sistema i direttori, i capi fabbrica e gli altri
tirannelli si prendono libertà scandalose. Se dovessi dirvi i dettagli di ciò
che ho veduto fare da questi uomini, non sareste meravigliati dei risentimenti
dei mariti contro il «sistema di fabbrica» e non sareste punto meravigliati che
ci sia qualcuno che tenti riformarlo. Questo è ciò che feci, questo è il mio
delitto.
«Prima di concludere vi leggerò
quest'altro manifesto ai compagni di lavoro e al pubblico in generale:
«Noi, delegati rappresentanti il
mestiere del cotone, essendoci riuniti, giovedì 1.°
settembre 1842, in
Manchester, ci valghiamo della prima opportunità per farvi sapere che cosa
pensiamo dei padroni, cui abbiamo invitato a una riunione privata per i punti
in questione. Essi rifiutarono di intervenire e il loro rifiuto è una
premeditazione per spingere gli operai alla miseria e al delitto, e i bottegai
al fallimento e alla ruina. Compagni di lavoro! Noi vi invitiamo ad aderire
all'ordine del giorno, che abbiamo votato, con tutte le vostre forze, come un
mezzo per redimervi dalla presente condizione che ci degrada.»
«L'ordine del giorno lo
conoscete. È il vogliamo dei prezzi del 1840. Se vi è, o signori, in tutto
questo qualche cosa di illegale, mi dichiaro colpevole. Nessuno ha deposto che
io facessi da sentinella alle fabbriche. Le deposizioni sono, che io presi
parte solo ai meetings, come feci sempre in Stockport e altrove. Io credo
fermamente che avevamo diritto di mandare in giro delegati a raccogliere denari
per soccorrere coloro che erano senza lavoro. Ma la legge di cospirazione getta
la sua rete in guisa che nessuno le sfugga. Il modo con cui l'accusatore mise
assieme l'accusa è tale che dimostra che il P. M. non ha per le mani una buona
causa.
«Io spero, che, come inglesi,
farete coscienziosamente il vostro dovere come hanno fatto altri inglesi prima
di voi. Quando vi fu mai un processo come questo? Quand'è che si sono
processate cinquantanove persone per uno stesso sciopero? Non vi sono altri
esempi nella storia. Non vi fu mai nella storia del nostro paese un processo
fatto dallo Stato per uno sciopero generale contro la riduzione del salario.
Non mi sottometterei a questo neppure se mi si condannasse alla segreta per
tutta la vita!
«Ho una moglie nervosa, una
buona moglie, una cara moglie, una moglie che io amo e apprezzo, e ho fatto di
tutto per resistere alle diminuzioni del settimanale per evitare a lei e ai
figli di entrare nel workhouse (ricovero, casa di industria, bastiglia
del pitocco, tutto quello che volete). Io odio il soccorso della parrocchia! Io
voglio essere indipendente. È questo il desiderio di ogni inglese onesto. Io
spero che sia pure il desiderio di tutti coloro che sono in Corte. Ho lavorato
venti anni col telaio a mano e dieci anni nella fabbrica. E non esito a dire
che in tutto questo tempo lavorai dodici ore al giorno, ad eccezione di quando,
per un periodo di dodici mesi, i padroni di Stockport non mi vollero dare
lavoro. Quanto più ho lavorato, tanto più sono divenuto povero. Ora sono qui
quasi spremuto. Se i padroni ci avessero inflitta la riduzione del 25 per
cento, io l'avrei già finita colla mia esistenza. Meglio la morte volontaria
che uccidersi in una fabbrica di cotone con dodici ore di lavoro al giorno per
delle patate e del sale!
«Signori giurati! La mia causa è
nelle vostre mani. Lo scopo degli altri può essere stato diverso. Per me non fu
che questione di salario. Se O' Connor fece, di questa agitazione, una
questione chartista, devo dire che egli fece miracoli. Perchè il chartismo è
diffuso dovunque: in Inghilterra, in Irlanda, in Scozia. Per me non fu che una
questione di orario e di settimanale. Ho sempre lavorato per impedire le
riduzioni di salario e continuerò ancora fino alla morte. Se sarò condannato
alla prigione non mi pentirò di ciò che ho fatto. È una consolazione essere in
carcere per avere fatto il proprio dovere, per essere stato uno che più di ogni
altro ha impedito, coll'abbandono generale delle fabbriche, che migliaia e
migliaia perdessero quel po' di pane che li tiene in piedi. Non dubito che col
vostro verdetto mi permetterete di ritornare alla moglie, ai figli, al lavoro.
Il mio padrone mi disse che, fino a quando sarò un buon operaio, non si varrà
di queste cose per mandarmi a spasso. Voi non darete ascolto a ciò che dissero
i testimoni sul perchè dello sciopero. Ma crederete alla sincerità e all'onestà
di colui che vi sta dinanzi.
«Signori giurati! ho finito. I
padroni cospirarono contro la mia esistenza. Io ho cospirato per mantenermi in
vita.»
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