XI.
Caduta del chartismo
(10 aprile 1848).
Tre antimeridiane. La mia
cavalla è già nel cortile che nitrisce e raspa l'acciottolato come se sentisse
della mia impazienza. Cielo lietissimo. Rimarrò giornalista. Vale a dire che mi
lascerò accoppare piuttosto che prendere parte alla guerra civile. Il mio
mestiere è di rimanere un lapis.
Sono in sella e galoppo in lungo
e in largo per riassumere in una frase il terrore londinese. Ha l'aria di una
città spaventata. Fino alle 7 non ho trovato che degli special constables.
Indossano l'abito borghese, hanno appeso al braccio un randello ben lisciato e
per distintivo un girello a due colori — azzurro e bianco — intorno la manica.
La parola d'ordine è lugubre: morte! Con essa passo dappertutto. Sulle
cantonate è l'ammonimento ai sudditi di sua maestà che la riunione di un gran
numero di gente accompagnata da circostanze che tendano a terrorizzare e ad
allarmare è criminosa e perciò illegale.
Ho veduto filare oltre il ponte
di Blackfriars per Kennington Common — uno spazio immenso sul quale il
carnefice del diciottesimo secolo tirava il collo ai condannati al supplizio
estremo — circa 3000 soldati della casa reale. Al di là del ponte, dalla parte
del Surrey, quattro cannoni dell'arsenale di Woolwich hanno la bocca
spalancata per irrompere al primo grido sedizioso. Somerset House è uno
dei depositi di uomini e di munizioni. Sono stati chiamati a Londra tutti i
marinai disponibili delle stazioni navali di Sherness, di Chatham,
di Birkenhead. Winchester e Dover hanno inviato alla
capitale tutta la loro truppa. I «pensionati» — noi li chiameremmo invalidi —
di Chelsea sono armati coi fucili della Torre e sparsi per gli edifici
pubblici. L'entrata al parco di San Giacomo dalla piazza di Waterloo è difesa
dai granatieri. Intorno al basamento della colonna del duca di York ve ne sono
più di duecento pronti a morire sull'altare della patria. Nessuno è ammesso ai
parchi di San Giacomo e di Hyde senza permesso speciale. L'ospedale di Bethlehem,
a fianco di Kennington road, è protetto da otto cannoni che vomiteranno
la loro indignazione rovente sui rivoltosi che vogliono la Charta. Le chiese sono
pigiate di credenti nella baionetta e nel randello del poliziotto volontario.
Le sentinelle alle prigioni sono state sestuplicate. È la prima volta che la
popolazione di questo secolo vede la polizia a cavallo armata di daga e di
pistola. Il palazzo di Buckingham è sorvegliato da un nugolo di
monturati coll'ordine di far fuoco sul nemico. Gli uffici centrali della Posta
sono abbandonati al coraggio di due o tremila bastoni di poliziotti e a non
pochi fucili della Torre. Impiegati, assortitori, portalettere, fattorini, sono
tutti dei policemen straordinarî. La loro randellata sarà legale.
Il ventre della City fa
paura. Ha 70.000 special constables, là dietro agli edificî, che aspettano
trepidanti il momento di precipitarsi sulle teste chartiste. La Banca d'Inghilterra, il Royal
Exchange, la Mansion
House non si lasceranno piantare sulle alture la bandiera
della rivoluzione che dopo avere ammucchiato il largo di cadaveri e dato fondo
alla munizione da fuoco. Vedo qua e là filate di bocche micidiali in agguato.
La zecca a Tower Hill è una caserma di soldati con due cannoni in vista.
Un solo naso chartista sarà come l'ordine d'attacco. Boooooom!
Datemi un artista. Trafalgar
square è una tela immortale o un blocco di marmo imperituro. È un piazzale
di eroi. Sono le classi accomunate dall'odio contro la popolazione del
sottosuolo politico. Sono i 300 della metropoli borghese. Cadranno gli uni
sugli altri colla bocca e cogli occhi pieni di letizia. Bravi! In Parliament
street è un andirivieni come nelle giornate di guerra. Dovunque è la
provocazione. Se il chartismo non si getta oggi sulla barricata, vuol dire che
non ha nei fianchi gli scrosci della collera delle moltitudini. Non è più
questione di principî. È una sfida al randello. O raccoglierla o dichiararsi
vinto.
Sulla muraglia esterna di Apsley
House — la residenza del duca di Wellington — i fraternal democrats
sono riusciti ad affiggere stanotte un manifesto agli «Uomini di Londra!» È un
manifesto senza stile e direi quasi senza idee. Un manifesto di questo genere
ha l'obbligo di essere il capolavoro del calamaio. Chi lo scrive deve avere in
sè l'ambascia e gli urli della gente che la rompe colla legge divenuta
dell'oppressione. Il suo pensiero deve rompere nel cervello di chi legge come
una procella o come una fiaccola. Devono essere degli scatti, delle grida,
delle fiammate, dei rompimenti di cuore.
«Oggi — dice — si deve compiere
una grande rivoluzione. I vecchi principi di legislazione sono di altri tempi.
Le nostre leggi e le nostre istituzioni non sono più in armonia collo spirito
dell'êra nuova. Non rispondono più alle esigenze della civiltà e del progresso
Voi, uomini di Londra, possedete una grande forza la quale, se concentrata e
diretta con quella dei vostri fratelli dell'impero, può rovesciare
completamente e per sempre questa enorme officina di tirannia, d'ipocrisia e di
frode e assicurare a voi e ai posteri i benefici che la verità e la giustizia
possono sole conferire. Guardate l'orizzonte politico d'Europa! È tutta una
perturbazione. I popoli si svegliano. I despoti cedono alle loro domande e
tremano innanzi la loro onnipotenza!» Cittadini della Critica Sociale,
perdonatemi il salto a piè pari. «Dio rinvigorisca le loro sante aspirazioni e
dia loro la forza per conseguirle. Sin dove siete preparati ad andare? Qual e
la vostra mèta? Noi vi diciamo francamente che le altre nazioni vi guarderanno
con disprezzo se il vostro scopo non sarà di distruggere l'usurpazione oligarghica
per sostituirle il potere legittimo del popolo.
«Dio salvi il popolo!»
Il Morning Herald di
stamane non ha peli sulla lingua. A chi tocca tocca. Ci sarà un conflitto
sanguinoso, almeno ce lo lascia credere. Gli O' Connor e compagni hanno
rifiutato i mezzi legali e gettata l'obbedienza alle ortiche. Tanto peggio per
loro. Noi vogliamo la tranquillità ad ogni costo. La Convenzione nazionale
ha la petizione nazionale in una mano e il trombone nell'altra. Se si verserà
del sangue, il governo non ne sarà colpevole di una goccia. I vendicatori della
legge saranno assolti dinanzi Dio e dinanzi gli uomini. A voi, leaders
di questa agitazione, la responsabilità e il castigo di un atroce e
imperdonabile delitto. Ciò che è divertimento pei signori O' Connor e Reynolds8
è morte pel commercio e pei pacifici cittadini di una grande metropoli.
La Convenzione nazionale,
che siede in permanenza dal 4 nel salone dell'Istituto scientifico di John
street, Tottenham-Court-road, fa distribuire dei manifestini che ingiungono
la calma. Dice che il mantenimento dell'ordine e la sicurezza della proprietà
mobile ed immobile sono i primi doveri del cittadino. Coloro che violeranno
quel precetto saranno considerati dei veri nemici della patria. «Concittadini!
La nostra emancipazione è vicina. Null'altro che la vostra follia può
ritardarla.»
I poliziotti volontari hanno in
saccoccia le istruzioni ministeriali di evitare i conflitti colla gente della
dimostrazione, di non badare agli insulti dei dimostranti e di non mischiarsi tra
loro, specialmente dove è pericolo di essere soverchiati dal numero.
Il grande generale discendeva da
Constitution Hill verso le nove, in divisa, sulla giumenta, seguito dal phaeton
col groom pronto a raccoglierlo morto o ferito o svenuto.
La Convenzione dei
delegati chartisti non è una fornace. E una ghiacciaia. Feargus O' Connor è
pallido. È in piedi che parla. «Correva voce che io fossi fuggito. Eccomi al
mio posto. Ho un vescicante sullo stomaco. Passai una settimana di ansie e di
insonnia.» È determinato a fare di tutto per impedire uno spargimento di sangue
tra popolo e forza pubblica. «Protesterò nella Camera dei Comuni contro questa
invasione nel campo dei diritti costituzionali e metterò in istato d'accusa il
governo. Prima di entrare alla Convenzione ho fatto testamento. Un policeman,
che mi deve la posizione fino dal 34, venne a dirmi: — Per l'amor di Dio,
signore, non vada lunedì alla dimostrazione! C'è ordine di riceverla a
fucilate! — Se il governo occupasse Kennington Common vi condurremo noi il
popolo disarmato?
«— No!
«— Perchè dunque il signor West
disse di persistere nella dimostrazione anche se proibita? Questo stato di cose
è dovuto alla follia di alcune persone dentro e fuori la Convenzione. Se
queste persone non avessero annunciato che i dimostranti sarebbero stati
armati, il governo non avrebbe mai pensato a farci della opposizione.» — Sa che
vennero fatti dei preparativi per far fuoco sui leaders del movimento da
certe finestre. Glielo confidarono il deputato Humphrey e alcuni agenti della
pubblica sicurezza. «Siate prudenti. Non macchiate la Charta. Se io muoio,
difficilmente troverete un avvocato che occuperà il mio posto alla Camera dei
Comuni.»
L'assemblea è sciolta e circa
cinquanta delegati salgono coi reporters sul secondo carro tirato da sei
superbi cavalli, e 10.000 chartisti annunciano la partenza con un clamoroso
battimano.
Il carro è lungo e largo, è
coperto di stoffa dai colori festaioli ed è solcato di bandiere bianche, rosse,
verdi e azzurre, che mostrano al sole i motti chartisti:
— La voce della scienza farà
tacere il cannone.
— Vale la pena di morire per
la libertà.
— Noi siamo la maggioranza e
vogliamo vivere col frutto del nostro lavoro.
— Chi, potendo essere libero,
vorrebbe essere schiavo?
— La voce del popolo è voce
di Dio.
Il primo carro, alla testa, è
destinato alla Charta. Ha quattro bandiere negli angoli sulle quali sventolano
i sei punti:
— Suffragio universale — Parlamenti
annuali — Voto segreto — Indennità ai deputati — Distretti
elettorali equivalenti — Abolizione della qualifica di proprietà per
essere eleggibile.
Feargus O' Connor occupa il
posto del trionfo, cioè al centro della prima fila del carro dei delegati.
Indossa il surtout che finisce col gilet davanti e colle code di dietro.
Prima di giungere in Saint Giles's Church si congiunge a noi il
contingente di Clerkenwell Green con due pertiche sulle cui cime
rosseggiano i berretti frigi. Non appena si abbandonano al Sons of freedom!
che è il principio della marsigliese, la voce unanime dei delegati li condanna
al silenzio.
In St. Giles's Church
sono gli uffici della Compagnia Agraria di F. O' Connor — la Compagnia che ha per
programma di dare la terra a chi la lavora. È qui che ci fermiamo a caricare la
grande petizione di 5.706.000 firme. Sono come cinque enormi balle di cotone. È
la voce del popolo che va a Kennington Common attraverso Southampton
row, Holborn, Farringdon street, Blackfriars Bridge, Elephant and Castle.
Al di là del Tamigi la
processione è grossa di 20 o 25.000 persone. È qui, giù dal ponte di Blackfriars,
che incomincia il panico. Ecco là dei gruppi di poliziotti volontari che si
dilungano dietro i cannoni di Woolwick. I processionisti non ne possono
più. Si sentono dei sibili. Uno scappellotto e la rivoluzione è fatta. I delegati
coi pugni tesi soffocano in gola l'esplosione. «Per l'amor di Dio, gridò uno di
loro, lasciateci almeno in pace un giorno!» Il secondo panico fu proprio allo
svolto di Elephant and Castle. Si era sparsa la voce che venivano
all'attacco. Invece giungemmo in Kennington Common, ove era una folla
enorme ad aspettarci, senza altri incidenti. Ho dimenticato dirvi che tra i
«volontari» ho veduto molto servidorame dell'aristocrazia. Questa classe mi fa
appendere al cavicchio della memoria la convinzione che sarà l'ultima a sentire
il pungolo della emancipazione politica ed economica. È così melensa da vedere
negli avanzaticci del padrone il proprio benessere!
Il sole campeggia in un cielo
luminoso.
Coi processionisti che passano
dallo steccato di Kennington Common, entrano i «confederati irlandesi»
colle loro bandiere dall'arpa sul fondo verde marginato d'arancio. Sur una di
esse è il motto della emancipazione nazionale: Che ogni uomo abbia il suo
paese. Sull'altra, su quella della «brigata di Emmet» — un martire
dell'isola conquistata — è la disperazione fusa nella speranza: Che cos'è la
vita senza libertà?
La paura cittadina è nella
chiusura generale delle botteghe al di qua e al di là del Tamigi. Non ho
trovato aperte che quelle di tre gioiellieri di Regent street. Ma tutte
e tre queste case erano piene di volontari e di policemen fino ai tetti.
Ho bussato all'Horns Tavern in faccia a Kennington Common,
per un bicchiere di non importa che cosa per dissetarmi. Aprite che sono un
viandante! Mi si rispose dalla finestra con una ventina di randelloni!
I due tiri a quattro e a sei
sono nel mezzo circondati da un'ampia superficie increspata di teste, dalla cui
profondità escono alti i lenzuoli colorati coi motti delle moltitudini:
— Parlate colla voce, non col
moschetto!
— Noi siamo tre milioni e
vogliamo i nostri diritti!
— La Charta o nulla!
— Che il lavoro abbia il suo
dovuto e il mio cuore sarà contento.
— Il popolo è la sorgente
dell'industria e deve essere il primo a partecipare ai suoi frutti.
— Vivi e lascia vivere!
Non si può dire che le masse
siano terrorizzate, perchè non pochi dimostranti susurrano l'aria di mourir
pour la patrie. Ma se lo fossero non potrei chiamarle vigliacche. Sono
passate, lungo l'itinerario, tra i cannoni e gli obici a barbetta e filate di
fucili nascosti che non aspettavano che un grido «sedizioso» per piantar loro
nel corpo qualche ettogrammo di piombo. E hanno, direi quasi, sfiorato i
250.000 randelli della guerra civile che sognavano e sognano, in agguato, il
momento di montare in furia e fracassare loro le ossa.
Doyle, il presidente della
dimostrazione, è in piedi, sul carro degli oratori, che presenta il deputato
Feargus O' Connor tra le acclamazioni e gli applausi.
O' Connor è più pallido di
prima. Non è in lui il 48. La barricata lo spaventa. Se O' Connor avesse
raccolto il guanto che gli gettarono le classi che vogliono vedere nel
chartismo la rivolta invece che una riforma costituzionale, la rivoluzione
sarebbe un fatto compiuto. Non aveva che da lasciar fare e da dire qui, dove
parla ora: La vogliono! Viva la rivoluzione! «Non voglio lotta colla forza
pubblica», disse invece. Così morrà nel lenzuolo della legge, senza punto
vedere il trionfo della Charta.
«Figli miei!» La sua voce non ha
più del ruggito del leone. È mansueta. «Figli miei! Si è tentato di farvi
credere che non sarei venuto. Eccomi! Voi tutti sapete che in questo quarto di
secolo di agitazione democratica....» (Ecco la sua scusa. Egli è democratico, è
rimasto democratico. L'altro giorno lo si è accusato alla Camera dei Comuni di
essere repubblicano. Scattò in piedi. «Lo nego, disse, sul mio onore! Sono
sempre stato antirepubblicano. Ho scritto articoli contro il repubblicanismo.»)
«In questo quarto di secolo di
agitazione democratica, non mi sono mai sottratto alla responsabilità. Come ho
sempre avuto della popolarità la parte del leone, così avrò la parte del leone
nel pericolo (grandi applausi). La cento lettere che mi scongiuravano a
non partecipare a questa dimostrazione non ebbero che questa risposta: che
avrei preferito di essere pugnalato piuttosto che non essere alla testa dei
miei figli (applausi). Sì, voi siete i miei figli! Io non sono che il
vostro padre, il vostro tutore. Se ho diritto alla vostra fiducia, alla vostra
confidenza, vi imploro nel nome del grande e buon Dio che ci ha benedetti con
questo sole splendido. Permettetemi di darvi un consiglio. Io vi implorerò in
ginocchio. Non distruggete con delle imprudenze il lavoro della mia vita.
Laggiù — puntando verso il carro sul quale sono i rotoli delle firme della
petizione — sono con voi i nomi di 5.700.000 concittadini. Io e loro e il mondo
intero riposiamo sulla vostra buona condotta di veri cittadini. Il chartismo
quando è conculcato dalla tirannia si rialza e riprende la marcia con nuovo
vigore (esplosione d'applausi). Voi, amici, mantenendo l'ordine,
dimostrerete che i chartisti non sono pickpockets e non mettono in
pericolo la Charta
con un atto di follia. Il governo si è impadronito di tutti i punti sul Tamigi.
Voi tutti sapete che io sono un uomo di coraggio. Ma come potrei dormire
stanotte se sapessi che vi sono delle vedove di chartisti assassinati? E come
potreste dormire voi tutti se sapeste di essere stati causa della mia morte? Nè
voi, nè i carri, nè le bandiere possono passare i ponti. Io presenterò la
vostra petizione alla Camera e farò sentire la vostra voce in tutto il regno.
Aderite al mio desiderio. Volete ascoltare il mio consiglio? Il mio petto (toccandoselo)
in questo momento è come una fornace. È lavorato dal vescicante. Un medico mi
manderebbe a letto. Ma io so ove è il mio posto. E ora coloro, che accettano il
mio consiglio di essere prudenti e che sono determinati a vedere la Charta fatta legge, alzino
la mano.»
E tutti l'alzarono.
«Coll'aiuto di Dio morirò sul
pavimento della Camera dei Comuni o otterrò i vostri diritti! Lotterò per la
vostra libertà e pei diritti del popolo. Ma io manterrò la pace. Ora che avete
dichiarato di voler essere pacifici, respiro più liberamente. Che tutti coloro
che approvano la saggezza della Convenzione, la quale impedì che si versassero
fiumi di sangue, alzino la mano.»
E tutti l'alzarono.
«Se vedete un uomo che ruba non
consegnatelo agli agenti di p. s. Caricatelo di pugni. Non permettete che ci si
chiami ladri. Che ognuno di voi ora si tolga il cappello e si curvi al gran Dio
del cielo e lo ringrazi della sua bontà infinita e prometta di non violare la
legge.»
La paura che il popolo
prorompesse fece perfino di E. Jones, colui che era passato attraverso l'agitazione
come un leader della forza fisica, colui che voleva che la Charta divenisse legge
magari colla picca alle reni dei legislatori, un coniglio della forza morale.
«In quel carro sono le voci di
6.000.000 di persone. L'onore della Granbretagna è nelle vostre mani. Non
insudiciatelo con del sangue. Ascoltate la parola di O' Connor. Scioglietevi e
andate a casa. Se la Camera
dei Comuni respingerà la petizione, invieremo un memoriale alla regina (applausi).
Noi terremo un altro meeting più grande di questo e poscia le nostre preghiere
saranno rispettosamente deposte ai piedi del trono (grandi applausi).»
Le moltitudini si scompigliano.
Feargus O' Connor è già in un cab che fila verso il Parlamento come un leader
stroncato. I rotoli della grande Charta subiscono l'ignominia di essere
trasportati alla Camera dei Comuni in una vettura pubblica, come della roba
trafugata. I dimostranti se ne vanno come cani insultati da tutti i piedi. Il Sun,
giornale popolare delle classi medie che si vende a ruba in Kennington road,
chiama tutte queste moltitudini del «demagogismo sanguinario»; le classi
schiattano dalle risa, persuase che il chartismo sia morto.
Quanti erano? Non ve lo so dire
neppure stamane coi giornali sul tavolo pieni della dimostrazione di ieri. Chi
la dice di 10.000, chi di 15.000, chi di 20.000, chi di 40.000, chi di 50.000 e
chi di 100.000. Il Morning Chronicle la somma, tra dentro e fuori Kennington
Common, a 25.000. L'Illustrated London News, che l'ha illustrata in
due pagine, la riduce a 15.000. Il Northern Star la fa salire a 400.000.
Il Sun di ieri sera a 150.000. Il Globe cita la cifra del Times
che la fa discendere a 20.000, compresi 10.000 spettatori.
Il Morning Herald non la
lascia andare oltre 15.000 e si mette a descriverla quasi con vergogna, pensando
al sottosopra e alla inquietudine della settimana scorsa per nulla! Londra si
era preparata, dice, a lottare col gigante e non trovò neppure un nano! L'Examiner
si frega le mani. «I chartisti volevano dimostrare la loro forza ed hanno
provata la loro debolezza. Ad ogni modo ci hanno reso il segnalato servigio di
contare coloro che sono pronti a mantenere l'ordine e difendere la legge.»
La cifra ufficiale dei volontari
del bastone è di 170.000.
Il Punch, il celebre Punch,
riassume il movimento chartista con tre illustrazioni: il gentiluomo special,
una mano con dodici randelli di specials, che rappresenta la libertà
britannica, e un magistrato e un oratore di folla che si scambiano queste
parole:
Oratore di folla: È vero
che i vostri padroni (cioè i ministri) proibiranno la dimostrazione?
Magistrato (con
dolcezza): Sissignore.
Oratore di folla: Allora
sappiate, o mirmidone dei whigs brutali, che andrò a casa a prendere il
thè e che consiglierò i miei compagni a fare lo stesso!
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