XII.
I pionieri
del proletariato inglese moderno.
Il chartismo anche dopo Kennington
Common non era completamente morto. Per altri sei o sette anni ricomparve a
sbalzi sulla piattaforma come un convalescente che uscisse da una lunga
malattia. Non era più che un cadavere ambulante. I superstiti del movimento,
che aveva infuso nel sangue della nazione l'esistenza delle masse colla
necessità delle riforme politiche e sociali, assomigliavano ai decaduti di una
grande famiglia. Si acciuffavano, si gettavano alla testa manate di fango, si
sbracciavano e si accusavano colla veemenza dei leticoni invecchiati e si
contendevano l'agonia di una agitazione, che aveva convulsionato il regno,
colle esecrazioni dell'avaro disilluso sul credito. La Charta — il primo
documento immortale del proletariato inglese moderno — divenne il bersaglio di
tutte le loro escandescenze. La laceravano, la frantumavano, la malconciavano,
la rattoppavano e se la sbattevano sulla faccia come una accumulazione di
miserie umane. Tutti, compreso O' Connor che aveva gettato nel movimento
centotrenta mila sterline, compreso Ernesto Jones che si lasciò diseredare
dallo zio di una rendita di due mile sterline all'anno piuttosto che rinunciare
al chartismo, dopo il naufragio non erano più che dei «mercenari», dei
«venduti», dei «demagoghi prezzolati». L'uno denunciava il despotismo
dell'altro e l'ultimo parlava del primo come di un farabutto e di un vigliacco.
Branterre o'Brien che aveva sofferto diciotto mesi di carcere per parole che non
aveva mai pronunciate, Ernesto Jones che aveva scontato due anni di reclusione,
Giorgio Giuliano Harney che aveva dato tutto il suo ingegno e il suo
entusiasmo, A. G. Gammage, il calzolaio divenuto medico e storiografo, Tommaso
Cooper, il «leone della libertà» e tanti altri che si erano illustrati colla
penna e colla parola nella difesa dei diritti dei lavoratori, in queste
giornate di sfasciamento sfilavano come una geldra di lenoni della plebe che
avessero fatto pancia. Povero Feargus O' Connor! Ti vedo nell'ambascia immensa
del disastro, salutato dai fischi plateali di coloro che ti idolatravano
nell'ora del trionfo, ti vedo passare nei giornali chartisti come un «guerriero
logoro» e ti vedo alla Camera dei Comuni, per l'ultima volta, dare sfogo al tuo
dolore con una irruzione di tenerezza che ti manda al manicomio. Avvocato di
questo movimento, addio! Io, colle mie braccia poderose ti ho trascinato fuori
dal sudiciume delle accuse e posto qui, sicuro dalle villanie e dalla
maldicenza, in una nicchia del panteon dei pionieri del proletariato inglese
moderno, perchè le generazioni future si ricordino che tu, borghese in una
società borghesissima, hai consumato una gioventù superba e una fortuna ingente
per l'emancipazione di coloro che lavorano in un ambiente che produce la
ricchezza e la miseria.
Il Gammage e gli altri che lo
imitarono nel servire al pubblico capitoli di pettegolezzi dei leaders di
una Charta che una democrazia sociale bene organizzata avrebbe, senza
dubbio, fatto trionfare, hanno malcapito il còmpito dello storico. La
posteriorità non si occupa di un periodo che in blocco. Non ne cerca che il
significato, che l'essenza. Il resto, per essa, è scoria, zavorra, pattume. Non
ha bisogno che le mettiate sotto il naso il pitale delle ultime contumelie nate
nella desolazione o che le facciate vedere i rospi sociali che pullulavano
intorno i cadaveri della sconfitta. No, per essa, è della materia négligeable.
Noi non vediamo che le figure che si levano su dalla palta del tempo. Non
amiamo che le linee grandiose, che l'assieme, che l'edificio. Il resto sono le
briciole di un grande banchetto. E al banchetto della storia non ci sono
mendicanti. Così io salto la pozzanghera e mi riattacco alla colonna Charta,
su alta nel cielo come un monumento ai caduti nella lotta sanguinosa per la
restituzione dei diritti carpiti ai loro antenati o come un faro di speranze
per la completa emancipazione sociale. E dal vostro grido iniziale, o martiri,
come vi chiama l'Hyndman nella sua Base storica del socialismo in Inghilterra,
o martiri del proletariato inglese, che data quest'urto eterno tra ladri e
derubati per un regno di giustizia senza mercedi. Siete voi, o pionieri, che
avete stampato nella mente inglese la necessità della conquista dei poteri
politici per una legislazione di uguaglianza sociale e siete voi il polline
della rivolta moderna contro il privilegio, il monopolio e la distinzione di
classe.
Lo so, il terreno chartista è
solcato di errori. Qua e là siete stati deboli, qua e là troppo entusiasti, qua
e là incapaci di tener testa a un drappello di monturati, dovunque faceste
sentire il desiderio acre di una idea chiara di vera ricostruzione sociale.
Avete esagerato, avete trasmesso ai futuri una serie di insurrezioni abortite,
avete, qualche volta, perduto la testa fino a lasciarvi, per amore
dell'agitazione, sovvenire dal denaro dei tories9 che l'avevano su,
naturalmente, coi whigs, avete dimenticato che, supplicando la regina di
licenziare questo o quel ministro o di ingiungere al governo di fare questa o
quella cosa, demolivate il baluardo costituzionale della supremazia
parlamentare sulla corona, ma avete lasciata in piedi, intera, l'idea-madre del
vostro movimento. Sì, tramezzo ai vostri errori, inevitabili in un periodo in
cui lo Stato non sciupava, per l'istruzione del popolo, che 30 mila sterline,
mentre subito dopo l'Act del 1871 si cominciò a spenderne, per le
scuole, più di 5 milioni, eravate superiori agli uomini della vostra
condizione. Avete sentito l'uguaglianza cittadina, avete insegnato che nessuna
classe che non sia rappresentata alla Camera deve pagare tasse, avete inoculato
il germe dell'abolizione dei servigi pubblici gratuiti, avete fatto una
campagna nobile contro lo strazio che si faceva dei fanciulli nelle fabbriche,
dicevate ad alta voce che l'operaio non doveva essere più un ordigno del
mestiere, e dovunque e sempre il vostro ventilabro disperse al vento il seme di
un antagonismo tra lavoro e capitale che darà, indubbiamente, il risultato di
una rivoluzione.
Quando gli operai di questo
paese si riuniranno sul serio per emancipare la loro classe dalla schiavitù
capitalista, non siano immemori di coloro che in giorni meno felici lottarono e
soffersero per salvare i poveri, che sarebbero venuti dopo, dalla oppressione e
dall'ingiustizia.10
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