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Paolo Valera
La folla

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Giorgio era più equilibrato del suo ragioniere. Con la stampa che cacciava il naso dappertutto, anche negli affari privati, era da uomo con la testa sulle spalle sopprimere i buchi che davano l'idea di un Casone dilapidato. Le scale le considerava davvero in uno stato deplorevolissimo. Una volta che vi era stato col padre andò a rischio di rompersi l'osso del collo. C'erano gradini sdruciti, gradini slabbrati, gradini smossi, gradini in due, gradini con dei solchi che slogavano i piedi e gradini che non erano più gradini. Domani poteva capitare una disgrazia al medico o a uno della Congregazione di carità e il nome degli Introzzi andare in pubblico come quello di quei padroni di casa che hanno per ideale la proprietà senza doveri. Lui amava il denaro come suo padre, forse più di suo padre, ma ci teneva a non essere inumano. Ghiringhelli era padrone di dire quello che voleva perché era più vecchio. Lui però aveva quarant'anni di meno e un altro concetto del padrone di casa. Tanto più vedeva il suo edificio in rovina, quanto più il suo pensiero si rovesciava su tutto quell'ammasso di stanze malfatte, mal messe assieme, mal tenute, e faceva sorgere al loro posto un vero palazzo operaio, come uno di quelli del Peabody, che aveva veduto in Inghilterra e in America, coi loro cortili erbosi per i figli che hanno bisogno di aria pura, con gli appartamenti a due, a tre e a quattro stanze alte, arieggiate, con le latrine inodore, con le pompe a ogni piano, con gli acquai in ogni abitazione, con il lavatoio comune a tettoia e con la buca delle spazzature coperta e in un luogo staccato dai blocchi abitati.

Giunto al penultimo gradino del secondo piano, dinanzi l'uscio del calzolaio, i suoi pensieri filantropici venivano stroncati dalla scena che si svolgeva un po' dappertutto, lungo le ringhiere di ogni blocco. Il marito, con gli occhi striati dal vino a buon mercato, si levava in piedi, incalzato dalle grida delle donne che dicevano che sarebbero andate a chiamare i questurini. Lo si diceva un satanasso cattivo come la peste. In galera ce ne dovevano essere dei migliori, se era vero che non erano tutti assassini. Non si era mai visto uno sporcaccione come lui che dava più botte alla madre dei suoi figliuoli che bocconi di pane. Se fosse stato il loro uomo gli avrebbero messo le budella al collo. La Pina, con la faccia sconciata dagli sberlotti, con le gengive che facevano sangue, sbalordita dalla violenza, si ravviava i capelli, si asciugava gli occhi con la punta del grembiale e accarezzava i bimbi che piangevano intorno alle sue gambe. Il calzolaio incanagliva piangendo. Si toglieva il grembiale a petto e lo sbatteva sul desco dei ferri dicendo che la sua era una vita da cane. Un giorno o l'altro, con quella donna, avrebbe finito per commettere uno sproposito. Era lui che li manteneva tutti e non era padrone neanche di bere quando voleva, in santa pace, senza essere tormentato da quella vipera che gli toglieva il fiato. Non era possibile che la durasse con una stracciona che non aveva un soldo di pane quando l'aveva sposata e che ora gli faceva fare di quelle figuracce. A questo mondo si è proprio ricompensati bene. Con tanto lavoro e con tanti figli sulle spalle era obbligato a farsi passare la rabbia dabbasso con del vetriolo. E se ne andava singhiozzando e contando gli spiccioli che aveva nel taschino del panciotto stracciato.

La Pina, finito di piangere, continuava ad accarezzare il bimbo che si era presa in braccio e a dire alle donne che avevano voluto difenderla di occuparsi delle loro case che n'avevano tanto bisogno. Il suo marito era padrone lui in casa sua e poteva fare quello che voleva della sua donna, senza che loro andassero a dargli dello sporcaccione.

Sporcaccione sarete voi, pettegole!

Ghiringhelli non aveva smesso di leggere le note. Non era il primo marito bestiale che vedeva. Le famiglie di questi casoni non passavano mai la giornata senza scompigliarsi e finirla con una sfuriata di schiaffi. Prendersi per i capelli e gettarsi alla testa l'immondizia del vocabolario plebeo non voleva mica dire, per loro, andare in collera. Mezz'ora dopo potevano trovarsi insieme a gozzovigliare e a mangiare senza neppure ricordarsi dei morelli sulla faccia e delle morsicature al collo.

Dite a vostro maritodisse tranquillamente Ghiringhelli che consultava le sue cifre — che se sabato non riceverò le tre settimane, potrà considerarsi licenziato. Egli è padrone di andare all'osteria e di bersi fuori la camicia, se vuole. Purché non dimentichi di pagare l'affitto. Siamo intesi.

A Giorgio sembrava che fosse stato un po' duro. La rassegnazione della povera donna che soffocava il crepacuore nella faccia del piccino, meritava almeno un po' di tregua. Ghiringhelli alzò il lapis con un gesto d'impazienza. Se si inteneriva per dei casi come questi, poteva rinunciare alle pigioni. Si trattava di gente ereditariamente cronica che si trasmetteva, di generazione in generazione, la stessa voluttà di percuotersi e di stracciarsi le carni coi denti e di rotolarsi sul pavimento abbracciati dalla collera alcoolizzata. Il suo mestiere era di curare gl'interessi dei suoi amministrati. Se avesse dato loro ascolto, li avrebbe mandati al fallimento più di una volta. Anche Pasquale, ridendo, gli diceva sovente che aveva il pelo sullo stomaco. Ma poi conveniva che quello che gli aveva detto avveniva. Valeva di più lasciare una bella somma a qualche istituzione per i poveri, che sperperare una fortuna in piccoli perdoni che giovano solo a far perdere completamente al popolo il senso della responsabilità individuale.

Ora si trattava di un caso più difficile. C'era la 49 che occupava due stanze da parecchi anni e che da parecchi anni pagava regolarmente. Alla scadenza il padre di Giorgio diceva al ragioniere:

Ghiringhelli, registri il semestre della 49, al primo piano del blocco A, che mi ha mandato i denari.

Va bene — gli rispondeva lui con qualche colpo di tosse che traduceva il dubbio e non se ne parlava più per altri sei mesi. Dalla morte di Pasquale era diventata una leticona che si sottraeva a tutti i mezzi pacifici. Le si mandavano delle sollecitatorie e delle sollecitatorie con minaccia di sgombrare, senza riuscire a rimetterla sul binario del pagamento a data fissa. All'incaricato Fioravanti che andava a riscuotere, rispondeva sbattendogli l'uscio in faccia:

Dite al padrone che venga lui a prendere l'affitto!

La 49 era una di quelle ragazzotte che crescono e si sviluppano superbamente tra gli scapaccioni e i patimenti. A dieci anni correva per il cortile a piedi nudi e svegliava negli uomini che la vedevano il desiderio acre di palpeggiarla o di sentirsela fresca tra le braccia. A tredici, cogli occhioni neri circondati di macchioline fulgide, con i capelli nerissimi giù disseminati per le spalle, con il seno nudo che pareva un nido di piaceri, perdeva dovunque il sentore della vergine che ha già scaldata la carne dell'altro sesso. Di sera si lasciava inchiodare al muro dai baci dei primi ragazzotti che la sorprendevano sulla scala, o lungo la ringhiera con la tazzina in mano della cena. La madre, una donna che faticava maledettamente a tenerla in piedi con del pane e della minestra, la cacciava in casa a pugni e le diceva che era una vergogna marcia che una ragazza della sua età fosse sempre fra le gambe degli uomini. Annunciata lasciava dire e ritornava all'aria aperta come una che tripudiava nell'ambiente. Non era ancora vecchia per ammuffire negli angoli di una stanza lercia e piena di fumo, quando il fuoco era acceso. Si lasciava ingravidire senza pensarci, con la stessa spensieratezza di tutto ciò che faceva. Il primo abbraccio vittorioso che la lasciò col sedimento fecondo fu come l'ultimo. Un caso. Un'avventura senza precedenti, senza continuazione. La prima volta si lasciò sdraiare nel pomeriggio di una domenica soleggiata, in un prato rasente il viale del Sempione, dal figlio di un facchino che le aveva dato da un pezzo delle ciliegie rosse come le sue guance. L'ultima venne colta dal figlio del maniscalco sulla piazzetta. Egli le ruppe la resistenza mettendole la mano sulla spalla. Con la mano del maschio sulle carni, i nervi di Annunciata oscillavano come sotto l'azione di un filo elettrico. Piegava, perdeva la conoscenza, non era più padrona di sé. Fu di molti senza mai essere di alcuno. Il suo gusto era di slacciarsi dagli abbracci e andarsene via più indipendente di prima. Ella si dava perché le faceva piacere, ma non voleva le seccature degli uomini che si attaccano alla gonna come a una proprietà individuale. Morta la madre, la gente matura che aveva del lusso aveva tentato di farsene una mantenuta. Le aveva esibito la ricchezza della vita, le aveva impromesso delle gite sul lago e delle giornate in campagna. Invano. Annunciata scappava ridendo e ogni giorno ritornava a mettere le ginocchia nella cassetta del lavatoio, a sbattere la biancheria sulla pietra e a partecipare alle canzoni delle compagne che si diffondevano come cori sull'acqua che biancheggiava di sapone.

Le sue gravidanze non impensierivano e non importunavano gli autori. Essa scompariva per qualche settimana e ricompariva a riassumere il servizio di lavandaia che lavora per proprio conto come se nulla fosse avvenuto. Usciva dagli strazi materni ammantata di un pallore che illeggiadriva la grandiosità delle sue forme sempre in fiore. Pasquale, il padrone di casa, se la portava negli occhi ogni sabato in cui andava in giro lui stesso, di uscio in uscio, a raccogliere i settimanali e gli affitti. Certe volte che la vedeva con le sue cosce di donna fatta e con il largo della sua carne sana e rosea, si sentiva preso da una voglia birichina di immergere le labbra nel suo seno turgido e di suggere ai capezzoli fino all'ubbriachezza. E per rinsensare doveva scuotersi la testa a più riprese come per snebbiarsela e sottrarsi dalla malia. Sovente diceva alla mamma di tenersi i soldi della pigione e di comperare qualche cosa alla tosa. A lei portava sempre qualche dolce che le regalava con una mezz'oncia. Se sua moglie fosse stata una donna più ragionevole, egli non avrebbe esitato a mettersela in casa come una della famiglia. Perché in certi momenti gli pareva che fosse dovere del padrone di casa di dare una mano dove mancava il padre. Con gli anni questa bellezza selvaggia aveva finito per dargli dei capogiri e per incendiargli i sensi. In Verziere, seduto alla vendita, se la sentiva nella testa, nel sangue, nella pelle e più di una volta i suoi pensieri indiavolati lo scudisciavano e lo facevano correre in cerca di lei per naufragare nelle sue braccia. Ammalata o indisposta, si metteva a disposizione di lei come un padre affettuoso. La faceva visitare da un medico a pagamento, le mandava dei corbelli di frutta e dei sacchetti di dolci che comperava in Santa Margherita, e alla sera andava a tenerle compagnia con qualche bottiglia di vino stravecchio della sua cantina. Furono queste gentilezze che permisero a Pasquale di godere l'intimità della coltre di Annunciata, anche quando gli altri con delle manate d'oro rimanevano col desiderio.

Morì come un ingrato, senza ricordarsene, senza lasciarle un centesimo, senza mandarle un addio. Essere stata buona e trattata in quella maniera le faceva male al cuore, proprio, perché era della ingratitudine nera. Sovente, quando era da lei, apriva il portafoglio gonfio di biglietti di banca e le diceva:

— Senz'offenderti, serviti come se fosse roba tua.

Lei, che aveva sempre avuto della repulsione per la mantenuta e che aveva tra le poche idee della sua testa la convinzione che la donna, quando non è inferma, deve bastare a se stessa, respingeva l'offerta negandogli i baci ch'egli con grazia voleva pagarle.

— Non sono di quelle, io, sai!

Allora Pasquale le faceva passare la sua mano enorme per il dorso come un solletico e le diceva che era una gran buona figliuola.

— Lo credo bene, lo credo!

— Tu puoi fare quello che vuoi. Ma io non me ne andrò da questo mondo senza lasciarti qualche cosa. I miei figli ne hanno anche troppo. Ho incominciato anch'io a guadagnarmi il pane con la carriuola del fruttivendolo. Se non ne hanno abbastanza facciano come il padre: lavorino. Io voglio che tu non abbia più bisogno di romperti le braccia come fai oggi, e che tu possa conservarti l'indipendenza che ti è tanto cara. Perché in fin dei conti tu hai ragione. I giovani sono degli sciuponi che voltano le spalle da un'ora all'altra e i maturi gente che ti gualcisce e ti saluta alla prima ruga.

Ingrato!

Se ne infischiava dei suoi denari, perché i denari non li aveva mai amati. Ma non credeva Pasquale capace di corbellarla come un gaglioffo. Chi gli aveva mai cercato qualche cosa?

Ghiringhelli bussò all'uscio con le nocche, leggermente, per paura di sentirsi in faccia qualche improperio. Con un'altra inquilina si sarebbe servito dei mezzi spicci che la legge mette a disposizione dei galantuomini. Con la 49 bisognava andare adagio per evitare lo scandalo di fare sapere al pubblico, che lo aveva accompagnato al cimitero come cittadino virtuoso, che Pasquale, in fatto di morale, non era proprio superiore al suo tempo. A lui, ragioniere, non conveniva parlare. Ma quando registrava il semestre della 49 gli veniva una voglia pazza di aggiungervi tre!!! Non era possibile credere che il suo principale si occupasse della miseria di due stanze per dimenticare quella degli altri 483 inquilini. Ribussò più forte e fece segno a Giorgio di avvicinarglisi.

— Avanti!

Era una voce dolce che andava piuttosto al cuore. C'era nulla della insolenza di cui parlava sovente l'incaricato Fioravanti per vendicarsi di uno schiaffo che gli aveva dato al sole, un giorno ch'egli si era permesso di farle sdrucciolare nell'orecchio una sudiceria. Ghiringhelli, che voleva entrare con un'aria d'amministratore deciso a farla finita, pur vedendola con le maniche rimboccate fino alla spalla, si tolse la tuba domandandole scusa se la si disturbava.

Ella sorrise come una grande signora abituata ai complimenti. Non la si disturbava affatto. Stiracchiava delle lenzuola per una vicina che stava per mettersi a letto coi dolori di parto. Si sa, le povere famiglie hanno la biancheria contata. Non appena capitano loro di queste disgrazie la lavandaia deve correre al fosso anche se è stanca morta.

Ghiringhelli rimaneva a bocca aperta. Non gli pareva vero che Pasquale, quantunque vigoroso e in gamba, avesse potuto avere il cuore di un tocco di ragazza di quella fatta. Alzando le braccia per tirar giù la biancheria dalla corda che andava da una parte all'altra, la carne bianca della lavandaia pareva diffondesse della luce nel buio della stanza. I peli biondi delle ascelle all'aria suscitavano nell'amministratore una sensazione che non aveva mai provato. Giorgio, dietro le sue spalle, si riversava con gli occhi nella cavità del seno e risaliva per le eminenze come inebriato.

— In che posso servirli?

Ghiringhelli non sapeva più da qual parte incominciare. Giorgio guardava in terra e di soppiatto inseguiva i suoi piedini chiusi in una calza a quadrettoni scozzesi.

— Ecco, io sono l'amministratore del signor Giorgio Introzzi e prima lo ero di suo padre buon'anima. Intanto che si stava facendo un giro col nuovo padrone, si dava un'occhiata per vedere se vi erano delle operazioni da fare. Qui sembra che sia tutto in ordine.

Annunciata tirava via a stiracchiare e a piegare la biancheria come donna che non aveva tempo da sprecare. Lei non era mica una sporcacciona. Abituata a lavarsi continuamente al fosso, le piaceva la casa pulita. Quando c'era qualche riparazione da fare non incomodava nessuno. La faceva fare a proprie spese. Potevano vedere la calcina fresca intorno all'acquaio fuori dell'uscio. Col signor Pasquale era un'altra cosa. Lui ci veniva due o tre volte la settimana e gli inquilini, abituati a vederlo, non avevano paura di aspettarlo sulla scala e di dirgli quello che mancava in casa loro. Lui aveva cura della popolazione della sua casa. Nei sei anni che lo aveva conosciuto non le aveva mai dato modo di domandargli un chiodo. Non era ancora caduto che c'era l'uomo col martello in mano. Era un padrone che considerava la vitaccia dei poveri cristi, perché diceva che anche lui ne aveva provato delle belle.

Giorgio assentiva col capo in tutto quello che udiva e aggiungeva ch'egli non desiderava che di continuare le tradizioni paterne, migliorandole dove erano deficienti. Secondo il suo debole parere sarebbe stata necessaria una stufa nell'angolo per asciugare la biancheria e anche l'abitazione. Ella era giovine e aveva della salute da buttar via, ma i malanni non si facevano annunciare. Capitavano addosso a ogni momento, senza fare tanti complimenti. Lui stesso, che non aveva che venticinque anni, aveva preso dei dolori reumatici per avere dormito imprudentemente in una camera stata chiusa per degli anni con della mobilia che suo padre vi aveva dimenticato. Le pareti erano coperte di uno strato umidiccio che faceva tanto male alla salute.

Annunciata sorrideva. Lei era troppo forte per acchiapparsi dei malanni. Non era stata ammalata che una volta e anche questa per essersi storpiata un piede in una pozza del cortile. Se ne ricordava ancora per la disperazione del signor Pasquale, buon'anima. Il brav'uomo non se ne poteva dar pace. Diceva che la colpa era sua e che toccava al padrone trascurato di riparare al malfatto.

— Mi mandava il suo medico e alla sera stava qui a farmi compagnia, seduto nella poltrona rossa che vedono in fondo. Era un cuore d'oro, il signor Pasquale.

Figlio e amministratore si piegavano con la faccia illuminata dalla compiacenza.

 




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