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Paolo Valera
La folla

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Annunciata, divenuta intima di Enrichetta, la mamma di Giuliano, per amore delle ragazze che aveva cominciato ad amare come sue, non sapeva lasciar passare una giornata senza fare una scappata di sopra con un po' di frutta e un po' di baci. Se le premeva al seno e alla bocca come se avesse voluto inondarle delle sue ondate materne. E con le braccia per la vita delle ragazze e le labbra sulle loro labbra, si sentiva andare per il corpo una dolcezza che la inghiottiva. Con le manucce delle ragazze sui fianchi, i trasporti materni le inumidivano gli occhioni e la ricacciavano, col pensiero, tra i suoi figli perduti tra i figli degli altri senza poterli distinguere. Era il rimorso che le risorgeva e la rendeva inconsolabile. E sfogava la sua ambascia in tante tenerezze celando il viso nel visino paffuto di Ginevra, la piccina che rideva e le accarezzava le guance con la grazia di una titillatura. Non sapeva darsi pace di avere spontaneamente inviate all'androne comune le viscere delle sue viscere senza voltarsi indietro. Trovava solo qualche scusa pensando al dolore. Forse era stato il dolore atroce che l'aveva resa insensibile e le aveva fatto dimenticare di essere madre. E nelle notti disperate, quando sognava delle sue ragazze, si diceva che ci doveva essere una legge che punisse i delitti della sgravidanza, perché almeno nella espiazione della pena la madre senza cuore potesse trovare un po' di balsamo per il suo tormento.

L'intimità tra lei e la casa di Giuliano Altieri intensificava tutti i giorni. Se non la si vedeva, si diveniva inquieti come di una della famiglia.

Candida, va giù a vedere se Annunciata è uscita.

Annunciata evitava di andare a trovarli di sera, specialmente se c'era in casa Giuliano, perché era un giovanotto che le metteva soggezione. Se c'era in casa e lei andava di sopra, lui rimaneva ad ascoltarla per deferenza e aggiungeva, qualche volta, il sorriso della cortesia. Ma non prendeva parte alla loro conversazione che con qualche parola che gettava, tra i loro discorsi, sbadatamente. Come donna, Annunciata gli piaceva; ma le dicerie che correvano sul suo conto gliela rendevano ributtante. Lui lasciava fare ai suoi di casa perché amava il quieto vivere. Ma quando Annunciata saliva da loro con delle grembialate di legna e un litro di vino con le castagne arrosto, gli veniva voglia di prenderla per un braccio e metterla alla porta. Non era in casa sua che si mangiava il frutto della prostituzione. Tutti sapevano delle sue relazioni con Giorgio, il padrone del Casone. Lo si vedeva venire avanti e indietro a tutte le ore, e coloro che andavano a letto tardi lo incontravano che discendeva in punta di piedi le scale, col cappello sugli occhi per paura di essere riconosciuto. Era uno scandalo che andava di blocco in blocco a ingrossare il pettegolezzo del ballatoio. Si sapeva che Annunciata era audace e che sfidava il sottovoce con una noncuranza che faceva stupire la gente. Di notte veniva a casa a tutte le ore, smontando dalla vettura senza vergogna e dicendo addio, dal buio dell'andito, ad alta voce, che chiunque la poteva udire, all'uomo che la salutava. Ma non ci veniva sempre, a casa. C'era Alfredo che raccontava, anche a chi non lo voleva sapere, che alle tre del mattino di una notte che fioccava, e si sprofondava nella neve fino al ginocchio, egli aveva trovato il suo uscio spalancato e le sue stanze vuote. Egli era andato a cercarla per il letto col cuore tremante senza trovarvi neppure il caldo del suo corpo. Poteva essere una calunnia, perché si sapeva che il violinista le moriva dietro e la pedinava nelle sue peregrinazioni notturne, senza che l'Annunciata si degnasse mai di considerarlo vivo. Anzi, se c'era qualcuno che le faceva schifo, era lui. La gente giovane che andava intorno col cappello in mano non era il suo ideale. Essa voleva che le persone si guadagnassero la vita con del lavoro utile. Il musicaiuolo della strada le sembrava assolutamente inutile. Chi voleva della musica andava in chiesa o a teatro. E Giuliano non le dava tutti i torti. Solo egli dissentiva sulla sua vita privata. Una donna, per quanto libera, non poteva impunemente insultare i costumi che un popolo si trascinava dietro di generazione in gene razione. E l'Annunciata li aveva messi tutti sotto i piedi come della roba vecchia. In lei l'amor libero non era stato che un mezzo per sostituire l'amorazzo alla passione vera e per soffocare il grido materno, stato rispettato perfino dalle belve. Poi si riammansava e ritornava a ragionare sulla diceria che correva per il Casone. Non era possibile che una donna con tanta esuberanza d'affetti potesse dimenticare i suoi parti come lo struzzo dimentica di covare le sue uova. Forse aveva dei nemici o delle nemiche che le volevano male. Perché sulla bontà del suo cuore non c'era dubbio. Bastava vederla entrare per convincersene. Si precipitava dovunque era Attuccia, se la prendeva tra le braccia e se la mangiava con dei baciozzi che entusiasmavano anche coloro che di affetti di famiglia non s'intendevano. Se andava a spasso, pregava Enrichetta di darle Altaverde o Bianca, perché non le piaceva uscir sola. E fuori, con la ragazza, passava tra gli uomini come una guerriera che non si occupa degli uomini della strada. Enrichetta sapeva che Giuliano non vedeva Annunciata che a malincuore e che perciò le raccomandava di non accettare nulla da lei senza restituire. Perché lui voleva essere povero, ma non amava che si malignasse sul suo conto. Un giorno che aveva trovato in casa un cartoccio di dolci per le ragazze, pregò la madre di invitarla a pranzo per cancellare l'obbligazione. Tre o quattro lire più o meno non lo avrebbero minato; ma ci teneva a togliersi il peso dallo stomaco. L'Annunciata si sentiva commossa, ma non voleva accettare. Perché lei quello che faceva era per pura soddisfazione di cuore. Le piacevano le ragazze e, se loro non avevano qualcosa in contrario, avrebbe continuato a voler loro bene.

Il pranzo avvenne lo stesso. Enrichetta aveva messo sul tavolo la tovaglia del giorno di Natale che teneva via nel cassettone da quando aveva il marito. Giuliano e Annunciata erano faccia a faccia e le ragazze occupavano il resto del tavolo, lasciando alla mamma il posto vicino al fuoco per essere più alla mano con la pentola, nella quale bolliva la minestra, e con la stoviglia dove coceva, adagio adagio, un pezzo di stufato alla lombarda, stato preparato da Giuliano. Egli aveva una vera passione per lo stufato, specialmente se vi aveva messo il suo zampino.

Egli diceva all'Annunciata, tagliando il pane, che ci sarebbe voluto un po' di scuola per la cucina delle nostre donne, che cocevano i piatti tutti a un modo. Era una delle ragioni per cui gli uomini preferivano, spesso, un piatto all'osteria. Lo stufato, a metterlo in tavola come un boccone da far rivivere i morti, era uno studio. Lui non l'aveva mica fatto come si doveva, perché gliene era mancato il tempo. Ma non poteva essere cattivo. Aveva fatto rosolare la cipolla fino all'indoratura nella grascia fresca, stiacciata con la gobba del cucchiaio, e il manzo lo aveva infarcito di bullette di garofano, di spicchi d'aglio e di lardelli. Poi lo aveva lasciato marinare in un mezzo bicchiere di vino di Piemonte, con del pepe, dei chiovi di garofano, del sale, della noce moscata, dell'aglio pesto e del prezzemolo trito. E prima di uscire aveva raccomandato alla mamma di versargli sopra, a mezza cottura, qualche altro bicchiere di vino rosso del Gianmaria per dargli del gusto, e di mantenergli un fuoco coperto di cenere, con una bollitura che non doveva essere più di un'agonia. Prima della minestra che borbottava, si incominciò con una fetta di salame in mano, perché erano tutti d'accordo che non valeva la pena di untare i piatti. Annunciata faceva lo stesso in casa sua. Tanto più che lavava già troppo in settimana per procurarsi la noia di lavare le cose di cucina in domenica. Adesso, veramente, gliele lavava la vecchierella del 74 della scala C, una povera donna che tirava innanzi rendendo qualche servizio alle vicine.

La minestra era eccellente. Era di riso e fagioloni con le verze che mollificavano lo stomaco e rinfrescavano il ventre. Senza minestra i ragazzi ingialliscono come se avessero l'itterizia. Anche sua madre, buon'anima, pensava che la minestra era la biada dell'uomo. E guai se la si mangiava senza pane. Aveva il coraggio di darle un'orecchiata. Giuliano non negava la bontà della minestra, ma lui aveva letto in un libro che era più nutriente la carne. C'era un popolo, del quale non ricordava il paese, che non conosceva la minestra e che era divenuto, per questo fatto, il più forte del mondo. I cinesi, che si nutrivano di riso, erano soldati di straccio. La carne rinforza, il riso indebolisce. Lui non era bevitore, perché un bicchiere di vino gli dava subito alla testa. Ma gli piaceva vedere gli altri a bere. Annunciata beveva. Era il suo mestiere che lo esigeva. Senza qualche bicchiere di vino non avrebbe potuto resistere alla fatica, con le braccia nell'acqua tutto il giorno e le ginocchia all'umido tutta la settimana. Adesso non lavorava più sola, perché la biancheria che le mandavano dava da lavorare a cinque o sei donne. Ma, se voleva che le cose andassero bene, non poteva voltar via un minuto. Le sue avventizie erano buone donne che obbligavano la padrona a essere sempre presente. Lei sapeva che, via la gatta, ballano i ratti. Sol ch'essa girasse la testa dall'altra parte, invece di insaponare la biancheria e spazzolarla, la inzuppavano, la sbattevano sulla pietra per fare del fracasso e la torcevano senza lavarla. Al sabato bisognava pagarle, le «poste» si lamentavano e qualche volta mandavano la lavandaia a quel paese.

Lo stufato aveva sollevato il bisbiglio della contentezza e Annunciata si lasciava convincere da Giuliano di andare in seconda, perché lei non si ricordava di averne mangiato di così appetitoso neppure all'osteria dell'Olcello, l'anno scorso, al pranzo della sua amica che aveva preso marito. Stracciava il pane a bocconi, lo immergeva nel succo del tondo premendovelo e voltandovelo con la forchetta e se lo metteva in bocca con voluttà da pacchiona. Mangiava forte perché era forte. A ventott'anni non sapeva ancora che cosa fosse l'impedimento di stomaco. Mentre Giorgio, con tutti i suoi denari, era sempre nelle mani del medico per farsi mandare giù quello che non poteva digerire. Lei aveva finito per credere che il male dei signori era nella mancanza di moto e nell'abbondanza. Avevano di tutto, provavano di tutto, e non facevano due passi a piedi. Al loro posto sarebbe già crepata. Se ne poteva vedere la differenza del sistema di vita guardando a loro. Erano a tavola in nove e neanche Enrichetta, che aveva fatto sette figli sani come il corallo, aveva mai patito la noia di un'indigestione. Giuliano assentiva. I signori si curano troppo e con le porcherie che trangugiano s'indeboliscono la macchina digestiva, che finisce per trovare pesante anche la frittura di cervella imbrattata nel tuorlo d'uovo. I più ricchi dei suoi clienti erano in quelle condizioni. Ce n'era uno che moriva via lentamente aspettando la voglia di mangiare dalle polverine che ingollava ogni giorno.

Era il salsamentario di porta Magenta, Osnati, il quale, un tempo, pareva un bonzone di salute. Ritiratosi dal negozio per godersi i frutti dei suoi sudori, è diventato magro come un uscio. Ora, che ha tutti gli agi e che si alza dal letto dopo il caffè e il giornale come i signori, è infelice perché non può più mangiare come una volta. Chi è abituato alla vita attiva intristisce nella poltroncina circondata di benessere.

I poveri invece soffrono del contrario. Non ne hanno mai abbastanza. In tutto il casamento che conteneva, a dir poco, mille e cinquecento anime, non c'erano forse che poche vecchie che avessero lo stomaco sdruscito.

— Il medico di Santa Coronadiceva Giulianospende poco per la nostra digestione. Candida, metti sul fuoco un po' di legna, che tira un vento birbone per la cappa. Senti che fracasso. Quando sbattono i vetri in questo modo, c'è per aria un temporale.

Enrichetta non credeva. Tutte le volte che venivano giù buffate dal camino si annunciava una disgrazia. Giuliano versava da bere e la pregava di tacere, che non era serata da cattivi augurii. In casa tutti stavano bene e Annunciata stava benissimo.

— Voialtri siete gente che crede in niente e io non vi ascolto. Il vento non mi ha mai tradito. Due ore prima che il mio povero marito morisse, ho sentito una trombonata per la cappa del camino che mi spense il fuoco. Quando lo Zaccaria, sotto la nostra stanza, voltava gli occhi dall'altra parte, ci fu per il camino il diavolo. Il vento andava su e giù e urlava come se fosse stato indemoniato. Zaccaria era morto.

Annunciata vuotò il bicchiere come per darsi coraggio. L'esistenza degli spiriti l'aveva sempre preoccupata. C'erano notti in cui si tirava la testa sotto le coltri, perché le pareva di sentire o di vedere degli spettri che andavano per la stanza o che giocavano con la biancheria appesa alla corda. Se non avesse avuto ripugnanza per il legame a vita, si sarebbe maritata tante volte dalla paura. Il fatto che stava per raccontare era vero, come era vero che c'era la Madonna di Caravaggio che faceva tanti miracoli.

Era capitato a lei, che non sapeva cosa fosse la bugia. Alla vigilia di Natale ella aveva l'abitudine di regalare qualche lira alle sue donne, perché le piaceva che, in certe giornate che lavoravano sotto di lei, stessero allegre.

Si stava bevendo intorno al focolare un po' di vino come in quel momento, con una fetta di panettone che le aveva portato la mattina il prestinaio. Si chiacchierava del mestiere e si diceva che si sarebbe potuti star meglio se non ci fossero state le lavanderie a vapore che lavoravano per niente. Nessuna di loro supponeva che la cosa potesse durare, perché le macchine sfilacciavano la biancheria e riducevano la tela sottile come la carta. C'era l'oste dabbasso che le aveva fatto vedere delle tovaglie nuove di cinque o sei settimane divenute delle ragnatele.

— Tuttavia — diceva Giuliano dondolando la testa — le macchine, creda, avranno la biancheria. I vecchi ci raccontano che il vapore era odiato dai vetturali e dai paesani che lo vedevano passare per la campagna come il diavolo. Ma la gente non viaggia più in carrozza. Tra pochi anni lei vedrà che il bucato, come è fatto oggi dalla lavandaia che va al fosso, non sarà più che un ricordo.

— Può darsi. Io non morrò di fame lo stesso. Chi ha voglia di lavorare trova sempre modo di mangiare.

Dopo una pausa ricominciò la storia degli spiriti. A mezzanotte diede loro il loro dovuto con le buone feste e un bicchierino di rosolio che si trovava sul tavolo tale e quale glielo aveva regalato il liquorista. Se n'erano andate tutte. A pensarci le ritornavano i brividi. Se n'erano andate tutte... Giuliano le versava da bere e le diceva che non bisognava credere a tutte le fandonie, perché alcune volte queste storie erano il frutto dell'immaginazione.

Annunciata lo pregava di tacere perché su certi fatti non le piaceva scherzare. Quello che narrava era vero come era vero che c'era la beata Vergine. Se n'erano andate tutte e stava pensando di andarsene a letto senza muoversi mai dalla scranna. Col freddo, ci s'impigrisce dinanzi al fuoco. Non erano passati che due o tre minuti. Oh Dio! Le si doveva perdonare se non poteva dire certe cose tutte in un fiato. Non erano forse passati due o tre minuti che sentì un tremendo pugno cadere sull'armadio dei piatti che la fece saltare in aria. Se ne ricordava come di una cosa avvenuta ieri sera. Scappò verso l'uscio spaventata. Nel cortilone c'era ancora il viavai degli inquilini che si davano le buone feste.

Riavutasi, guardò indietro. La lampada era ancora sul tavolo che buttava in terra un asciugamano di luce bianca verso l'armadio. Tese l'orecchio con una paura del diavolo. Credeva che qualcheduno si fosse nascosto sotto il letto. Nessuno! A poco a poco si avvicinò all'armadio, pensando che il colpo non fosse che nella sua testa o fosse l'effetto di qualche cosa caduta nella stanza di sopra. Aperse l'armadio con un randello in mano per precauzione. Nessuno! Non c'era che il disastro. Le tazzine erano precipitate sui piatti e tutti assieme si erano rovesciati sulla zuppiera, sulle ampolline e sulle chicchere andate in frantumi. Chi era stato? In casa non c'era persona. Saltò sulla sedia per vedere se qualche peso fosse caduto sulla testa dell'armadio. Nulla. Chi era stato? I piatti non potevano rompersi da soli. C'era stata una mano che aveva fatto sussultare l'armadio? La mano di chi, se la casa era vuota? Di sua madre che l'avvertiva di qualche sventura? Non lo sapeva. Forse era lo spirito del suo bimbo che aveva strisciato sull'armadio per salutarla.

All'indomani, proprio nel giorno di Natale, l'infermiera dell'ospizio di maternità andava a portarle la notizia che il suo Andreino di tre anni era morto del male del gruppo.

Crediate o non crediate, questo è vero come è vero che c'è la Madonna santissima. Era lo spirito del mio angioletto che strepitava in alto per dire addio alla mamma prima di volare in cielo.

Ci fu un attimo di sosta. Il vento ruggiva per la gola del camino e il fumo imperversava a buffate per la stanza. Tutti erano terrorizzati. Le ragazze si rannicchiavano l'una nella spalla dell'altra, Enrichetta, violacea, si faceva piccina sotto lo scialle a quadrettoni colorati, Giuliano smetteva di ascoltare con quel suo sorriso negativo e Annunciata si asciugava gli occhioni e singhiozzava piena d'ambascia. Le ripassavano per la mente i suoi delitti materni e si struggeva. Andreino, vivo, sarebbe stata la sua gioia. Il Signore non ha voluto vederla felice. Con lui non sarebbe più sola e avrebbe la consolazione di vederselo alto come un ometto di dodici anni, pronto a difendere la sua mammuccia se ce ne fosse stato bisogno. E dicendo queste parole, nascondeva il viso irrorato in quello di Attuccia per non farsi vedere a piangere come una disperata.

Bisognò aprire la finestra e l'uscio per non morire soffocati. Le rocche dei camini, vedute dalla sedia, attraverso il largo della finestra, pareva piegassero sotto la violenza del vento che fischiava, e i cenci appesi alle funi, lungo i davanzali delle finestre, si sbattevano gli uni sugli altri e si contorcevano seguendo la furia del'aria che passava a volumi. Il cielo si sopraccaricava di nubi e, tramezzo a esse, tralucevano lampi che annunciavano il temporale con dei boati spaventevoli.

Giuliano, trasecolato, non sapeva staccare gli occhi da quel torso vigoroso di giovane piegato sulla bimba, dal quale usciva come un profumo di carne viva.

Beva, Annunciata.

Annunciata, cogli occhi letificati dalla tenerezza, prese il bicchiere e lo vuotò di un fiato. Questo sfogo le faceva bene perché le diminuiva il peso del rimorso. Non sapeva perdonarsi la crudeltà inconsapevole di avere deposto i figli appena fatti senza un pensiero al mondo per il loro avvenire. Qualche volta avrebbe volto consegnarsi alla giustizia per farsi punire.

— La mia scusa è nei miei anni. Non avevo alcun discernimento tra il bene e il male. Credetelo, Giuliano. Il mondo mi crede più cattiva di quello che sono. Darei il mio sangue per disfare il malfatto. I miei figli sono tutti perduti. I primi due furono gettati nella ruota senza alcun segno. Erano maschi, erano femmine? Non ve lo saprei dire. Mi scaricavo e li facevo portar via. In allora avevo in orrore i bimbi che mi avevano obbligata per tanti mesi a curvare la fronte dinanzi la gente sfacciata che mi guardava il ventre grosso. Prima ancora che nascessero non avevo che un pensiero. Disfarmene, disfarmene a ogni costo. La donna che li mise nella ruota doveva essere più spietata di me. Non si curò di guardare né se erano vivi, né se erano morti. Li adagiò su dei cenci, li ravvolse in un giornale, girò la ruota e andò a bere le due lire che le avevo date. Sono stata più di una volta a cercare di loro. Ho tentato di leggere negli occhi di tanti piccini, ho baciato dei visucci che pareva mi assomigliassero, mi sono tirata sul seno parecchi di loro con dei trasporti, ho fatto di tutto, di tutto per far parlare la voce del sangue e non sono riuscita che a calmare il tumulto del cuore, col dubbio che mi invadeva la persona. Quali erano i miei due o le mie due, se non sapevo esattamente neppure l'anno della loro nascita e se i senza segni di quegli anni erano la maggioranza?

Enrichetta chiamava Candida e Altaverde che giocavano sul pianerottolo con le bimbe in mezzo al vento che passava sibilando.

— Venite in casa che fa freddo!

Annunciata accarezzava la lunga capigliatura di Altaverde coi sospiri di una donna che soffre e si fermava a baciare la nuca della ragazza, che la lasciava fare.

— Se sarai buona, ti terrò a cresima.

Essa non aveva nessuno al mondo e disperava che il Signore volesse concederle la grazia di avere un altro bimbo.

— Nevvero che me la lascerete tenere a cresima?

La madre interrogava cogli occhi gli occhi del figlio e assentiva con la testa.

— Sarebbe una fortunadisse Giuliano — che Altaverde fosse tenuta a cresima da lei: ringraziala.

Annunciata la ribaciò con effusione. Voleva vestirla come una madonna. Con una bella veste candida, coi nastri lunghi di seta puntati alla spalla, con dei gigli tra i capelli, con un velo di neve giù lungo per la schiena, con un «ricordami» d'oro al collo, con dei guanti bianchi come il latte, con un sottanino dalla balzana insaldata, con la camicia a grandi fiorami, con le calze lunghe fino al ginocchio e con gli stivaletti dal fiocchetto dinanzi che le dovevano stare a meraviglia.

 




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