Il trambusto era incominciato a mezzanotte, in mezzo a
una caldura soffocante. Antonio, che non aveva potuto dormire dalla paura di
rimanere addormentato, era in giro con la lucerna a svegliare coloro che
dovevano andare con lui a Caravaggio. La stazione era lontana e il treno non
aspettava nessuno.
— Su, che è tardi!
A certi usci doveva spaventarli a colpi di calcagno.
— Giuditta? Oh, Giuditta? Levatevi una buona volta!
Luraschi, che abitava il 126 e il 127 del blocco C e che aveva detto a
tutti che sarebbe stato in piedi prima degli altri, era ancora in letto che
dormiva della quarta.
— Su, poltrone, lamentatevi poi se vi si lascia in dietro!
Vaselloni, con l'abitudine di alzarsi quando gli inquilini erano al
lavoro da un pezzo, lasciava bussare e ribussare senza rispondere.
— Presto, in piedi se non volete perdere il treno! All'uscio di Carmela
gli era toccato di servirsi del bastone. La povera donna, tormentata da due
fistole, dormiva di rado, ma quando ci si metteva ci volevano i savi e i matti
a farle spalancare gli occhi.
— Carmela? Fatevi coraggio e saltate giù dal letto! Carmela? È mezz'ora
che vi chiamo!
Santina, la figlia del fabbro del 61, blocco B, era in ginocchio, bella
e vestita, che aspettava la nocca di Antonio per uscire dall'uscio. L'idea di
non avere più che poche ore da patire non le aveva lasciato chiudere le
palpebre. Ella era in ginocchio che pregava la Madonna che doveva guarirla con la eloquenza del suo cuore, supplicandola di avere
compassione di una povera ragazza che voleva bene ai genitori e non aveva mai
fatto nulla di male. La monaca che le aveva suggerito Caravaggio, le aveva
fatto imparare la preghiera a memoria, e lei, l'anemica, che voleva guarire,
che diceva che aveva assolutamente bisogno di guarire, la recitava, mettendovi
l'anima dell'anima sua.
— O Maria, o Maria santissima! Fatemi la grazia,
fatemi questa grazia! O pia, o santa, o vergine Maria, aiutatemi a riavere il
sangue della mia salute! Abbiate pietà di una povera derelitta che sarà buona,
che verrà ogni anno a baciarvi i piedi, a bagnarvi i piedi con le lagrime dei
suoi occhi! Ascoltate, Maria, madre mia dolcissima, ascoltate la parole di una
peccatrice che ha bisogno di essere sana perché è amata, perché ama... Capite,
ama!
— Santina, scendi!
L'incaricato del Circolo dell'Immacolata di accompagnare la comitiva al
santuario era Leopoldo Gioberti, il facchino 335 di piazza Mercanti, il quale
occupava, da due anni, il 27 e il 28 del blocco A, senza paura, come si diceva,
di vedere le ombre di Tognazzo e di Margherita in giro, di notte, per le stanze
e per il Casone. Gioberti aveva conservato le proporzioni dell'Ercole, ma non
era più lo spaccamonti che faceva tremare tutti con un dito, come quando andava
sul palcoscenico dei baracconi di piazza Castello a tener testa contro i
lottatori di mestiere. La sua faccia bionda e rossa di salute pareva avesse
conosciuto il freddo della tomba, tanto era diventata giallastra. Vi si vedeva
diffusa la luce dell'altro mondo, la quale dava a tutta la sua figura un'aria
di rassegnazione infinita. E i suoi occhi, raccolti nella mestizia in fondo
alle buche, facevano pensare alle miserie umane. Tossiva di rado, ma quando
tossiva si piegava in due e si teneva lo stomaco con le mani. Durante gli
impeti convulsionarii si sentiva il catarro che gli si rimescolava senza che
gli sforzi riuscissero a mandarglielo su dalla gola. A udirlo tossire si diceva
che aveva in fondo un serbatoio di marcia. E nei momenti desolati in cui
buttava in terra i larghi sputacchi verdicci e biliosi macerati nel suo petto,
abbandonava le braccia dalla disperazione.
— La è finita per il povero Gioberti! Prima della malattia s'impipava
della religione. La sua religione era il denaro. Con del denaro in saccoccia
non aveva paura neanche del diavolo. Ma dopo che la tisi polmonare lo
saccheggiava di giorno in giorno e la moglie era riuscita a fargli credere che
Dio lo aveva castigato per il male che aveva fatto alla religione col
suo cattivo esempio, non poteva più ascoltare coloro che parlavano
dell'Altissimo con irriverenza. Divenne un affiliato del Circolo
dell'Immacolata e un propagandista di miracoli instancabile.
Andava da un santuario all'altro senza guarire e senza perdere la fede.
Era stato a quello di Locarno, di Varallo, di Como, di Somasca, di Gravedona e
di Nobiallo e ora andava a quello di Caravaggio, sicuro che sarebbe stato
l'ultimo, perché nessun santuario l'aveva mai superato in miracoli. Aveva la
parola di don Paolo, il quale non era mica un impostore.
— Entra come ci sono entrato io — gli disse — e rimarrai a bocca aperta.
Vedrai tutte le pareti coperte di quadri commemorativi che non ti lasceranno
nascere neppure il dubbio sulle grazie ottenute. Perché ogni fedel minchione
può leggere nei quadretti i nomi, i cognomi e le date dei miracoli. Dio,
sappilo, è infinitamente giusto, infinitamente buono, infinitamente
misericordioso. È però mestieri la fede. Perché la grazia è per sua essenza un
dono che Dio non deve ad alcuno. Chi ci va, deve credere nei miracoli per
intercessione della Madonna, come io credo nell'unione del Padre, del Figliolo
e dello Spirito Santo.
— Ed è quello che io, Gioberti, dico a voialtri. Se non avete fede state
a casa, perché sciupereste il tempo. Dio vi legge nell'anima. Sa i vostri
meriti e i vostri demeriti. Voi sapete la storia sacra. Egli ha scelto Giacobbe
e ha respinto Esaù, senza che alcuno potesse tacciarlo d'ingiustizia. Giacobbe
era tutto del Signore. Se volete essere tra gli eletti, toglietevi dalla testa
le vanità del mondo e credete nell'onnipotenza del Dio che può tutto. Credete
nel Cristo morto per noi sulla croce, credete nella Madonna di Caravaggio?
— Sì, sì, sì! Crediamo in Cristo, crediamo nella Madonna di Caravaggio!
— Allora bisogna essere pratici. Sapete che non vi si può andare a
piedi. Chi vuol venire deve darmi due lire e centesimi venti per il biglietto
di terza classe. A Treviglio, se avremo tempo, faremo una visita al santuario
della Madonna delle lagrime: e poi, un passo dietro l'altro, ci avvieremo a
quello di Caravaggio. Maledetta tosse! Pazienza, oggi è l'ultimo giorno delle
nostre tribolazioni. Ostinata, fanne una pelle che la vittoria sarà della
Madonna! Chi non saprà camminare e avrà dei soldi, potrà saltare su uno dei
tanti carretti che vanno al santuario o prendere l'omnibus con cinquanta
centesimi. Io starò con quelli che vi andranno a piedi, perché così, strada facendo,
reciteremo le litanie e prepareremo l'animo alla commozione della grazia. A
proposito, Antonio, tu che sei l'uomo più in gamba di tutti... Seccata! Finirai
per sfondarmi lo stomaco! Fatemi largo che voglio sputare su tutte le
bestioline che mi divorano i polmoni! Un uomo come me che vuotava due litri a
colazione è ridotto a tossire tutta la vita! Ti domando scusa, Madonna, se
bestemmio, se ho bestemmiato. Stasera mangerò come un lupo. Voglio dire al
Gianmaria di prepararmi un risotto coi funghi. Dopo tanta astinenza ho diritto
di stravaccare. Parlavo con te, Antonio. Tu che sei il più sano quando non ti
piglia il tuo malaccio, pensa a Cristoforo, il maniscalco al terzo, del blocco
C. Egli è ormai cieco fatto. Non ci vede a due passi. Aiutarci l'un l'altro è
agire da cristiano. Va tu a prenderlo, perché può darsi che non ci sia un cane
che lo accompagni dabbasso. Certe malattie non dovrebbero venire ai poveri.
Sono troppo incomode. Un cieco è come uno senza gambe. Non può muoversi senza
che lo aiuti qualcuno. Tu, Santina, prenditi la bimba di Ada, la figlia del
barbiere del corridoio di sopra. Non è slattata che da due mesi e sarebbe stato
bene che ci fosse anche la madre. Ma non è maritata come si dovrebbe e la
povera ragazza non ha potuto dirlo al padrone. Noi siamo cristiani e dobbiamo
chiudere un occhio. Sono tutte senza giudizio queste ragazze! Padri, state loro
al pelo se non volete che vadano a male. Guarda, come tossisco! Sono i tuoi
ultimi momenti, se la Madonna mi aiuta! Fanne una pelle, va là! Credevo di
crepare! Si fa presto a dire ai padri di stare attenti. La gente che lavora ha
altro per il capo che pensare alle proprie figliuole. Tu, Tencia, che non sei
proprio in fin di vita, puoi dare una mano alla moglie di Vaselloni, la quale
può appena stare in piedi. Fatevi coraggio, Silvia, date il braccio alla
Tencia, e magari incamminatevi verso la stazione. Coloro che non hanno le gambe
buone dovrebbero andare innanzi, perché il vapore è una bestia che non fa
complimenti. È meglio lo aspettiate che farvi aspettare. Date ascolto a coloro
che ne sanno più di voi. Noi vi prenderemo sulla strada. Andate, fate a modo
mio. Tu, Eugenio, che vai con le grucce, mettiti con quelli della prima
spedizione. Ricordatevi che bisogna avere qualche cosa da mangiare o per lo
meno dei soldi in saccoccia. E dalli con la tosse! La vuoi finire? A momenti mi
strangolava! Perché non possiamo pretendere che la Madonna ci faccia la grazia e ci dia anche da mangiare. Lì ci sono sette o otto ragazzi e non
si sa neanche di chi siano. Di chi siete? Occupatevene voialtre donne. Voi,
Carmela, e voi, Giuditta, fate loro da madre. Il vostro malanno non vi impedirà
di curarvi dei ragazzi. Portate pazienza. È questione di ore. Cristo, per
redimerci, ha patito ben altro. Si è lasciato mettere in croce e fracassare il
costato. Quando mi ricordo della ferita e del sangue del nostro Signore mi
vengono i sudori freddi. Se quel cane di sgherro fosse qui lo farei a pezzi.
Questa tosse mi condurrà alla sepoltura. Ma, non morirò; c'è una Madonna più
forte di te, sì, sì, accidenti! Un'avemaria per la mia bestemmia. Ave Maria,
gratia piena... O dunque, pensiamo a noi. Avrete capito che fino al ritorno
dobbiamo essere tutti di una famiglia. Una mano deve aiutare l'altra. I
cristiani sono tutti fratelli e, se uno zoppica, l'altro lo deve tenere in
piedi. Fanno così anche gli ebrei, ma non coi cristiani, sapete. Al cristiano
che ha sete danno il veleno, come hanno fatto con Gesù Cristo. Non perdetevi
d'animo. E gli altri? Ci avviciniamo alle due e nessuno si è ancora mosso. Il
treno parte alle cinque e un quarto. Chi perde la corsa si batta il petto.
Badate che la festa della Madonna non viene che una volta all'anno. Pensate ai
patimenti di altri dodici mesi! Che cosa vuoi venire a fare tu, Giovanni? La
tua malattia è nella gola. Smetti di bere e cesserai di essere ubbriaco. Quella
di Caravaggio non è la tua Madonna. Dio stesso non può nulla contro i peccatori
impenitenti. Chiunque di noi è libero di perdere l'anima. Salvo poi a purgarla,
sapete dove. Ah, dopo, state sicuri che la rimessione dei peccati è a
Melegnano. Ve lo dico io, ve lo dico.
E si mise a tossire con dei colpi convulsionarii che gli facevano
agitare le braccia dalla disperazione, mentre gli si gonfiavano il collo e le
ganasce dalla mancanza di respiro.
— Canaglia, tosse canaglia, finirai per mandarmi al camposanto! — diceva
Gioberti con una fiatata lunga, asciugandosi la bava della bocca e gli occhi
che gli si erano bagnati come se avesse pianto.
Gli altri, ammucchiati nell'ombra, gli dicevano di non parlare se gli
faceva male.
— Male, male, mi fa tutto male! Se mangio, se pipo, se bevo, se dormo,
se mi muovo, se non mi muovo, se fa freddo, se fa caldo. O che miseria! È
meglio morire che stare al mondo in questa maniera!
— Kyrie, eleison. Christe, eleison. Christe, audi nos.
Christe, exaudi nos.
— Pater de coelis Deus, miserere nobis.
Le voci sommesse dei vecchi e dei giovani, degli uomini e delle donne si
confondevano in un coro pietoso che si scioglieva dolcemente nella tranquillità
della notte stellata. Il miserere nobis andava lontano e traduceva il sospiro e
lo strazio della poveraglia sgraziata che voleva far salire al cielo l'eco dei
suoi patimenti.
— Fili Redemptor mundi Deus, miserere nobis.
Nessuno capiva una parola di quello che si cantava. Ma tutti sapevano a
memoria la cantilena chiesastica che avevano intuonata tante volte e tante e
tutti ci mettevano della passione a credere nella bontà divina.
— Sancta Trinitas...
Le litanie vennero interrotte dalla comparsa del fornaio Taschini col
ragazzotto carico della gerla. Egli non ne aveva fatta parola con don Paolo
perché non amava affiggere i suoi atti di benevolenza, ma ci aveva pensato.
Sapeva che alcuni dei pellegrini avrebbero dovuto fare sacrifici enormi per
procurarsi il pane del viaggio e che parecchi sarebbero forse ritornati
digiuni.
— Prendete, la gerla è a vostra disposizione. Servitevi di quello che vi
occorre. In viaggio viene fame e gli ammalati non devono patirla. Ricordatevi
che avete con voi dei ragazzi e che i ragazzi mangiano.
Egli non credeva ai miracoli. Sapeva che erano panzane belle e buone. Ma
non disilludeva alcuno, perché diceva che la fede era capace di guarire gli
inguaribili. Un uomo o una donna ammalati di nervi potevano benissimo tornare a
casa sani. Era noto a tutti che una scossa fortissima o una agitazione
eccessiva poteva rimettere in azione i muscoli carichi di pinguedine o rimasti
oziosi. Aveva letto nei giornali di un signore stato digiuno trentadue giorni
senza una ragione al mondo. Si era alzato all'indomani senz'appetito e non
aveva più potuto mangiare. L'atonia dei nervi resisteva a tutte le cure. Il
trentatreesimo un amico gli si è precipitato nel salotto come un disperato a
comunicargli il suo disonore.
— Sei perduto, sei scoperto! Ormai tutti sanno che tu sei un falsario!
L'accusato si alzò, si agitò, gridò, volle provare con le grandi frasi
la sua innocenza. Pochi minuti dopo, mentre si metteva la tuba per andare a
smentire i suoi accusatori, si sentì venir meno dalla debolezza.
— Permettimi — diss'egli — che io beva almeno due uova prima di uscire.
— Guarito! — gli gridò l'amico.
— Questi sono i casi — si diceva mentalmente il fornaio — che può
guarire la Madonna di Caravaggio. Ma il cieco tornerà cieco, il tubercolotico,
tubercolotico, il gobbo, gobbo. Ah, sì! Magari, fosse vero! Ci sarebbe proprio
bisogno di un Dio che vedesse e provvedesse! Se è vero che il sangue di Cristo
ci ha lavato via il peccato originale, di che cosa possono essere colpevoli i
ragazzini puniti negli occhi, nelle gambe, nelle braccia? Grazie al Signore io
sto bene, e non sono malcontento del resto. Ma ho una grande paura che il
repubblicano che ha detto: «Noi non sappiamo nulla dell'esistenza di Dio. Solo
la nostra esistenza è certa», abbia ragione. Che ne sappiamo noi? Chi l'ha
veduto, chi gli ha parlato, chi ne sa mai qualche cosa? Noi non abbiamo però
modo né di affermare né di negare l'esistenza dell'essere supremo. Ed ecco il
dubbio! Dubbio che mi fa tremare sovente come se fossi alle prese cogli spiriti
infernali. Ma che dubbio! Il dubbio è nel mio cervello malato di religione.
Dov'è Dio, in questo momento? Non vado innanzi per non perdere il rispetto a
don Paolo e per non diventare ciò che non voglio: un ateo. Io voglio credere,
ho bisogno di credere in qualche cosa. Quale supplizio è questo mistero che ci
mantiene nel dubbio!
La comitiva stava per ricominciare il Kyrie eleison e mettersi in
cammino, quando da quasi tutte le ringhiere si udirono degli «Aspettate!
Aspettate!»
— Bisogna far presto, santo Dio!
Dal terzo piano del blocco C veniva giù Ersilia coll'indolenza di un
avanzo di crociera. Ravvolta nello scialle a chiazze smunte, con il suo
faccione di cera, pareva appena risuscitata. Sorda come una talpa attribuiva la
sua sordaggine allo scoppio di un fulmine. Dal blocco B discendeva Tognina,
colla testa incatramata di croste marciose. Da ogni scala usciva qualche figura
che strascicava i piedi, che s'appoggiava al muro, che piegava verso terra, che
andava adagio come se fosse stata di vetro.
La Betta si teneva il ventre per paura di irritare il suo tumore che le
dava tanto fastidio. La Gelmetti, col viso coperto di una larga macchia di vino
che le aveva inflitto un capriccio di parto, si metteva nel gruppo come una
maschera che avrebbe fatto ridere in un altro momento. Il marito di Agata
Maddaloni vi andava per guarire dalla doppia ernia che s'era fatto spingendo
sulle travi una gigantesca botte di cantina. Il cinto che gli aveva dato
l'Ospedale maggiore era grosso, ruvido, malfatto, col ferro che usciva dalla pelle
straccia a fargli sanguinare le carni. Preferiva la morte al brachiere che gli
dava tanta molestia!
— Me lo faccia cambiare! — diceva sovente al medico.
— Se non posso! Fra tre anni potrai averne un altro.
— Ma se soffro!
— Si soffre un po' tutti a questo mondo! Pazienza, ci vuole della
pazienza, guai a chi perde la pazienza!
E Costanzo Maddaloni piantava i pugni sul cielo, mandando accidenti ai
medici e dicendo con rassegnazione che l'Ospedale era nelle mani dei ladri. I
benefattori continuavano a lasciare le loro fortune per gli ammalati poveri e i
poveri venivano mantenuti peggio dei cani, curati peggio delle bestie e serviti
di cinti che facevano venire sul corpo le vesciche alte un dito!
Se ci avesse pensato avrebbe potuto andarvi l'anno scorso. E a quest'ora
il suo quadro commemorativo si sarebbe trovato sulla muraglia cogli altri.
Perché se guariva voleva proprio fare il dispetto all'ospedale di lasciar là il
suo ricordo col cinto che faceva venire la febbre.
— Kyrie eleison...
— Aspettate!
Era venuta la volta delle vicine che correvano dabbasso per non
lasciarli partire senza dar loro qualche cosa da far benedire. La vecchierella
del 74 della scala C pregava Gioberti di prendersi la binda della sua gamba
piagata e di portargliela benedetta. La 33, dello stesso blocco, intisichita a
cucire i guanti, avrebbe voluto andare cogli altri a Caravaggio. Ma non ne
aveva più le forze. Era divenuta diafana e ogni colpetto di tosse le faceva
scricchiolare le ossa.
— In nome del Dio della misericordia, Gioberti, fatemi la carità di
farmi benedire questo pezzo di flanella che mi metterò sullo stomaco.
E si mise a tossire lentamente, dicendo che ci sarebbe voluto un triduo
per guarire, ma che costava troppo.
— Ah, se non costasse così tanto!
La 52 e la 38, le giuocatrici del lotto, davano in tutta secretezza alla
Maddalena il biglietto dei numeri che non venivano mai, promettendole,
all'orecchio, un regalone al sabato della vincita.
— Fatelo toccare alla Madonna, Maddalena!
La madre di Antonio voleva caricarlo del cuscino sul quale aveva
adagiato la testa nei momenti in cui veniva preso dal brutto male che lo
metteva in lotta con se stesso, ma Gioberti l'assicurava che era proprio
inutile una volta che vi andava l'epilettico.
— Ci sono già tante cose da portare e io ho bisogno che Antonio abbia le
mani libere, ho bisogno. Guardate le donne che discendono a frotte!
Giuseppa non era ammalata, ma voleva premunirsi contro le infermità
della vita. Si casca ammalati da un giorno all'altro senza sapere chi
ringraziare. E diede a Santina tre caramelle per mollificare la gola lungo il
viaggio, la medaglietta di san Carlo Borromeo e la corona del rosario da far
benedire. Il vecchio tintore del quarto piano, blocco A, era divenuto piccino
piccino e quasi trasparente. Gli anni gli avevano fatto perdere il lavoro senza
dargli il diritto all'esistenza, e così passava attraverso i bisogni
insoddisfatti, senza lamentarsi. Si sa, i poveri non possono essere ricchi.
Solo avrebbe voluto un po' più di calore nei piedi. I suoi piedi irrigidivano e
gelavano anche d'estate. Era una malattia che lo cruciava e che voleva guarire
con le calze benedette.
— Siate buono, Gioberti!
— È inutile, caro Tommaso, che ci carichiamo anche delle vostre calze —
gli disse Gioberti. — La Madonna non ringiovanisce. I vostri piedi hanno
camminato più dei nostri e sono vecchi. Al fuoco, starete meglio.
Il tintore si mise in saccoccia le calze tutto mortificato.
La venuta di Vittoria, la moglie di Pietro Cristaboni, con due dei suoi
mostriciattoli, l'uno per mano e l'altra sul braccio, fece allibire i
pellegrini. Nessuno la voleva vicino e tutti avevano uno spavento indicibile
del suo male contagioso che ammazzava a poco per volta. Ogni donna rinculava
come dinanzi l'anticristo sbucato di sottoterra. Vittoria, divenuta tutta
sbilenca, colle micche nel fagotto appeso al braccio, senza badare all'orrore
che aveva suscitato la sua presenza, s'era messa a sbocconcellarne una per
soffocare le insurrezioni a colpi secchi del suo stomaco appestato, dando
sovente un po' di pane biascicato a Martina, l'ultima dei suoi figli, dal collo
tagliuzzato dalla lancetta del chirurgo dell'ambulanza. Scarmigliata, con la
faccia che aveva perduto le caratteristiche del sesso tanto s'era sconciata,
rimaneva lì come una statua, sorda alle imprecazioni sussurrate dalla folla che
non la voleva. C'era e ci rimaneva. Era un suo diritto, il diritto degli
ammalati, il diritto di coloro che volevano guarire e credevano nella Madonna.
E pensando a questo suo diritto si commuoveva intimamente e diceva che
bisognava essere di ferro per non avere compassione di una madre ridotta con la
famiglia in simile stato.
Gioberti non aveva cuore da dire sgarberie, ma sentiva anche lui un po'
dell'antipatia degli altri per i Cristaboni, due demoni che si erano fatti
mettere fuori dal portone dai carabinieri. Anni sono si poteva avere della pietà
per le vittime del gobbo che accoppava i suoi a pugni. Ma ora si era divenuti
insensibili per una donna che correva dietro a quello sgorbio umano non appena
minacciava di abbandonarla. La gente si era abituata a dire che l'una valeva
l'altro. E forse forse non si aveva torto. Basta dei Cristaboni! L'antipatia
poi degli inquilini del blocco A era diventata odio. Odio nero, odio giallo,
odio senza fine. Si vociferava che era grazie a quella famiglia di ulcere e di
sputi sanguigni che il male terribile s'era infiltrato nelle abitazioni.
Bastava dare un'occhiata all'Annibale di Silvia Vaselloni, un figlio che si
liquefaceva come neve al sole dopo che aveva aspirato la pestilenza dei figli
dei Cristaboni. La Tencia dello straccivendolo dello stesso budello, che prima
andava via diritta come un asparago e si sviluppava come un tronco, era
divenuta una cosa mingherlina che buttava su sangue ogni due ore. Ah, ne
avevano avuto abbastanza dei Cristaboni che avevano disseminato la desolazione
dovunque erano passati. Erano il colera, erano la peste, erano la scrofola che
torturava e uccideva. E se non gridavano: via! via! era perché c'era ancora in
loro il sentimento cristiano.
— Buona donna — le disse Gioberti con la voce che sentiva dell'amarezza
— voi non siete più del Casone e non potete venire con noi. La strada che
conduce a Caravaggio è libera e voi potete andarvi quando vi piace e con chi vi
piace.
Ella taceva e continuava a mangiare, accarezzando ora l'uno e ora
l'altra dei suoi figli, lasciando parlare come se si fosse trattata di
un'altra. C'era venuta con l'idea di andarvi e ci sarebbe andata. Se la strada
era libera, ci poteva stare anche lei.
— Avete capito, Vittoria?
— No, non ho capito, siamo dì pelle e ossa come gli altri e tutti
cristiani battezzati. Ci vogliono due e venti per me e due e venti per i miei
ragazzi, ed ecco le mie quattro e quaranta, se volete prenderle, ma non
imbestialitemi con le vostre proibizioni. Sono una povera donna ammalata con
dei figli ammalati. Vogliamo guarire. Che ci trovate da dire, voialtre?
— Nulla, ma non vogliano che veniate con noi, non vogliamo! — le
risposero quasi tutte in una volta.
— La vedremo!
— Sicuro che la vedremo! — replicò Gioberti rizzando sulle gambe la mole
poderosa del suo corpo, per convincerla che non occorreva che un suo movimento
per buttarla alla porta come un mezzo quintale d'immondizia. — Non mi piace
mettere le mani addosso alle donne, ma non dovete provocarmi, perché in allora
divento un altr'uomo, capite? Andate via, vi dico! — le ingiunse col dito
puntato verso l'uscita.
— No, no, non vado! — gli rispose mettendo in terra Martina e
piantandoglisi sotto il naso con le braccia incrociate. — Toccatemi, se siete
buono!
Franceschino, il ragazzotto carico della delinquenza paterna, aveva
udito tutto, addossato al pilastro del portone. Livido come la morte, assisteva
alla scena e diceva a se stesso che sarebbe bastato lui solo per quell'omone
che faceva il bulazzo con le donne. Ma non voleva sporcarsi le mani con un
sacco di merda che tossiva come un ospedale. Bastava suo padre. E andò a
chiamarlo dal Battista, ove era andato a cicchettare.
Pietro e Franceschino giunsero proprio nel momento in cui Gioberti aveva
preso Vittoria per le braccia, dicendole che non voleva farle male, ma che
doveva andarsene.
— Andatevene! — le ridisse, spingendola lontana qualche passo.
La Vittoria si levò la zoccola e gli andò addosso con la brutalità
malvagia della donna abituata alla violenza.
— Prendete, prendete! Questo è per voi! E anche questo!
Le pellegrine che avevano ancora della forza si precipitarono sulla
demonia con le grida delle femmine ferite, acciuffandola per i capelli,
piantandole le unghie nelle gavine in suppurazione, rotolando a terra tutte
assieme senza sfasciarsi, senza smettere di morsicarsi, di percuotersi, di
insanguinarsi, di coprirsi di tutte le parolacce che la collera faceva loro
salire alle labbra:
— Boie!
— Cagna
Franceschino non era rimasto con le mani in saccoccia. E intanto che lui
tirava senza misericordia le trecce e sbatteva una testa contro l'altra delle
furibonde sopra sua madre, Pietro Cristaboni, che non arrivava al ginocchio
dell'avversario, s'era messo col suo testone di fronte a Gioberti,
sputacchiandogli in faccia uno scaracchio.
— Prendi, vigliacco! — gli disse senza scostarsi, tenendogli gli occhi
negli occhi.
Non aveva ancora finita l'ingiuria, che Gioberti lo aveva nelle mani per
la testa enorme e lo levava di peso, su e giù per il suolo, come un calcasassi.
Ma Cristaboni diventava pericoloso appunto quando era alla mercé del nemico.
Perché in allora le sue mani agguantavano quello che potevano agguantare e
diventavano una cosa con la cosa agguantata. Gioberti, non essendo riuscito a
strappargli il collo, si sentì le dita d'acciaio del nemico salire per il gilè
verso la gola. Impaurito, fece uno sforzo supremo per liberarsene, buttandolo a
qualche distanza dal luogo della lotta. Ma era troppo tardi. Il suo collo era
come in un cerchio di metallo che si stringeva e gli faceva venire gli occhi
alla superficie.
— Vigliacco! — urlò Cristaboni.
Il vicinato era in piedi e discendeva a frotte coi pugni chiusi, coi
bastoni in aria, con le grida di volerla finire con quella famiglia di
anticristi che non lasciava dormire neanche di notte.
Cristaboni, impazzito dalla gente che andava verso di lui per
ammazzarlo, si gettò con la bocca sulla bocca di Gioberti che irrigidiva tra le
sue dita, e vi rimase, addentandogli la lingua e dimenando la testa come una
belva che inferocisce per inghiottire il pezzo di carne che resiste agli
strappi.
Uomini e donne gli furono sopra, tirandolo per le orecchie, bastonandolo
sulla schiena, trascinandolo per le gambe e dandogli pedate in tutte le parti.
— Assassino! Assassino!
Cristaboni non sentiva più nulla. Lo si poteva fare a pezzi senza fargli
abbandonare la preda.
— Aiuto! aiuto!
Quando giunse Giuliano in maniche di camicia la tragedia finiva.
Cristaboni si staccava dalla sua vittima con un boccone della sua lingua
gocciolante di sangue e Gioberti rimaneva in terra con la faccia ingrossata e
annerita dalla strangolazione e la bocca spalancata come una voragine di
sangue.
Gli astanti, inorriditi, non ebbero che una esclamazione:
— Dio santissimo!
Cristaboni, intontito, girava gli occhi col boccone di carne
sanguinolenta tra le labbra, senza quasi capire il misfatto. Ma dopo un momento
di esitazione, si soffermò con gli occhi sul cadavere e con un atto supremo di
disprezzo gli scaraventò in volto il pezzo di lingua.
— Vigliacco!
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