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Paolo Valera
La folla

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Giuliano si era abbandonato al lavoro della penna con l'ardore dell'apostolo. Prendeva il materiale che gli produceva il Casone, lo puliva, lo decomponeva, lo studiava, lo circondava di osservazioni e lo distribuiva nel casellario dei gruppi e dei sottogruppi appeso alla parete di fianco al camino.

Aiutato da Filippo Buondelmonti, egli voleva raccogliere i documenti di ciascuna famiglia per avere una mappa descrittiva delle 483 famiglie sotto la sua amministrazione. Voleva conoscere le condizioni e le occupazioni di tutte per poi estendere il suo studio di sociologo alle classi della città intera. Ma, a mano a mano che procedeva, la zona del suo lavoro si affollava di punti interrogativi, ai quali, più di una volta, non sapeva rispondere che con delle sciocchezze. Gli passavano sotto gli occhi casi che inchiudevano problemi i quali parevano insolubili, come quelli che pullulavano intorno il cadavere di Siliprandi. Costui era stato trovato coperto di una pelle secca e grinzosa che metteva in rilievo le sue ossa e i suoi tendini e rivelava le privazioni di un lungo periodo. Il suo viso rappresentava il marasma senile. Con lui, sul tavolo, si pensava alla vecchiaia condannata dall'indifferenza sociale al supplizio lento della fame. Chi si poteva accusare del delitto sociale? Dinanzi a quale tribunale si doveva svolgere il vecchio drammone dei pitocchi invecchiati nell'indigenza? E si voltava verso Filippo Buondelmonti dicendo che, mentre maturava il tempo della pensione ai vecchi e agli impotenti, lui, che aveva patito la sua parte, si ostinava a non escludere dai rimedii la carità pubblica e privata.

— È verodiceva a Buondelmonti — dessa degrada, abbrutisce, sconcia la figura dell'uomo, ma i Siliprandi non possono assurgere a concetti così alti nei momenti delle convulsioni fameliche. Per la gente senza redenzione, la carità pubblica e privata è il solo anestetico che possa lenire le sue sofferenze.

— In te parla l'ombra di tuo padre. Tuo padre ha sofferto e ti ingiunge, a tua insaputa, di lasciare che la mano ricca soccorra il povero. Se tu tiri via su questa strada diventerai filantropo, va! Ascoltando le grida di coloro che patiscono intorno alla tua abitazione, rimarrai alla carità sociale di Marat, la quale doveva essere fatta sopratutto a spese dei ricchi. La paura della miseria è la caratteristica della tua classe. Marat, caro mio, è uno dei tuoi avi. Senti, come lui, il tormento momentaneo. Marat non era un avvenirista. Egli studiava il pauperismo nelle cantine, dove si nascondeva a scrivere l'«Amico del Popolo», e laggiù, al buio, il riformatore, avido di supplizi, invece di andare fin dove si doveva andare, si lasciava prendere dal furore isterico di mandare gli altri alla ghigliottina. Alla grande rivoluzione è mancato l'uomo scientifico, è mancato l'uomo di genio, capace di sciogliere la questione delle questioni. È mancato il personaggio che insegnasse ai terroristi che il lavoro umano è l'unica cosa che possegga un valore economico e che nel lavoro è la soluzione di ogni problema. Credilo, la paura della miseria è la caratteristica della tua classe! Marat era della tua classe. Egli non fu che un grido. Un grido per i poveri.

— Può darsi che io sia della mia classe. Ma cosa dobbiamo fare quando troviamo per la strada una donna, per esempio, con dei bimbi che implora un soldo? Turarci le orecchie e pensare, mentalmente, che l'accattonaggio ci ripugna come un capello nella minestra? Che cosa dobbiamo fare quando ci si viene a dire che una famiglia intera ha divorato gli ultimi morselli di pane da qualche giorno? Abbiamo noi tempo di pensare all'abolizione di questo sistema ignobile di dar da mangiare a chi ha fame? Rifletti; si può essere rigidi, ma in mezzo alla vita, tu sei costretto dall'urgenza dei bisogni a rimandare i tuoi progetti di rivoluzione sociale di giorno in giorno. Tu, teorista, semplicemente teorista, saresti un altro Marat, insensibile ai dolori delle vittime del tuo tempo, indifferente per chi muore sul patibolo o fucilato in mezzo al tumulto. L'uomo di genio non è un pedagogo che si pietrifica nella forza del lavoro. È l'aquila che porta in alto il futuro senza dimenticare il presente.

— Mi piace la tua similitudine.

— Mi rincresce di dover sverginare la casella dei casi immorali. Avrei preferito che fosse rimasta vuota. C'è un'avversione istintuale nei poveri per i contatti tra i consanguinei. Ma spesso l'ambiente è più forte dell'istinto. Non è la prima volta che ne sento parlare e non me ne sono mai meravigliato. Gli inquilini del signor Giorgio dormono quasi tutti in una sola stanza e non pochi in uno stesso letto. I delitti... È un delitto? Io so che ho una ripugnanza invincibile per la carne di mia madre e delle mie sorelle. Se ne fossi colpevole, sentirei il peso del mio dolore tutta la vita. Certo è che i delitti sessuali del Casone sono dovuti all'ambiente. Alla mancanza dello spazio, alla mancanza dei letti. È orribile che ci sia una società che abbia un codice contro il duro destino degli esseri e non pensi a mettere in salvo le anime in un luogo più igienico. Moltiplicate le stanze, moltiplicate i letti e forse impedirete che l'istinto bestiale agiti e metta al mondo bimbi senza la forza necessaria per la lotta di classe. Dico bene, Buondelmonti?

— Sì, e no. Dici male, se parli dell'avvenire. Perché la lotta di classe è della società del sopravalore. Tu sai che cosa voglio dire. Supponiamo di essere seicento calzolai. Il padrone ci domanda dodici ore di lavoro al giorno. Lui ci procura i locali, il corame, la pelle, lo spago e tutte le altre cose necessarie alla produzione della calzatura. Vende, si paga tutte le spese, e gli rimangono, in un anno, diciamo, un milione trecentoquarantaquattromila ore di lavoro per i suoi incomodi. Tu non hai bisogno di altre spiegazioni. Tutta quell'accumulazione di ore rappresenta la sua ricchezza. È così che lui va in carrozza e noi a piedi. Che lui abita il palazzo signorile e noi la stanza angusta, appestata dal nostro alito e dai nostri acciacchi. I figli del padrone crescono, vanno a scuola, e a vent'anni non sanno neanche cosa siano la fatica e la penuria. I nostri... Guarda giù nel cortilone. È il lavoro non pagato che ci fa assistere a questi orrori. E dal lavoro non pagato è uscita la teoria marxista la quale farà scomparire la lotta di classe, eliminando il capitalista. E senza ghigliottina, nota!

Grazie della spiegazione. Si parlava dell'affollamento nelle stanze. Tu vedi come avviene. La gente povera si corica presto, stracca, con la cena sullo stomaco. Passano magari degli anni senza un pensiero impuro. Poi, in una sera afosa, in una notte agitata, la pelle del padre addosso la pelle della figlia, o del fratello su quella della sorella o della madre si scalda, e l'incesto si compie. Non è il vizio che lo provoca. È il tepore della stessa coltre.

Senti che cosa mi ha raccontato la madre, Elisa Giuncati, del 17, al primo piano del blocco C. La donna è occupata da un pollivendolo a dividere le penne bianche dalle nere e le morbide dalle dure per quattro lire la settimana. Elisa è nella stanza col marito dal giorno del loro sposalizio. Hanno avuto tre ragazze, la maggiore delle quali ha diciotto anni e mezzo. Il padre guadagna dalle dieci alle undici lire per sei giorni di dodici ore. La famiglia è delle più quiete. In tutto il tempo che abita il Casone non è stata in arretrato che otto volte, e anche queste volte per ragione di malattia o di disoccupazione della moglie o del marito. Le ragazze vanno alla fabbrica regolarmente e nessuna di esse ha mai dormito fuori della propria casa. Il padre è stato veduto alticcio di rado. Due delle ragazze dormivano in un lettuccio sotto la finestra e la maggiore dormiva nel letto matrimoniale, con la testa sul cuscino, ai piedi dei genitori. La moglie è venuta a pregarmi di darle due stanze perché suo marito ha contratto delle abitudini riprovevoli con la figlia, ora in uno stato interessante. "Adesso il male è fatto" mi disse "e non c'è più rimedio. Potrei andare alla questura e farlo arrestare. Ma sono una donna prudente e non amo gli scandali. L'importante è di impedire che si ricominci". Io l'ho contentata subito. Ho fatto sloggiare il 18 a mie spese mettendolo al 22.

 




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