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Paolo Valera
La folla

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  • 27
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Giorgio era in piedi senza una goccia di sangue. Il suo viso dilavato lasciava pensare all'uomo uscito dal sepolcro. Pareva che tutta la sua giovinezza fosse scomparsa sotto un'ammantatura cadaverica. Tremava. Con le mani febbricitanti si teneva le braccia agitate e con lo sforzo dei denti sui denti cercava di frenare la concitazione delle labbra. L'emozione era così forte che si sentiva soffocare. Con le parole crudeli che gli tumultuavano ancora per il cervello, credeva di essere vittima di un sogno, di un triste sogno, di un sogno che avrebbe voluto distruggergli la ricca messe di gioia. Non era possibile che Annunciata fosse vile e volgare come l'ultima delle femmine. Con lui poi che non aveva pensato che a lei. Che non le aveva domandato nulla. Che se l'era presa così, come era, con le braccia dell'amante che non pensa che al futuro.

— L'avvenire doveva essere mio! — si diceva sciogliendo le braccia con rassegnazione. — Signori che parlate di riabilitazione, andate a studiare quest'Annunciata che sa baciare il marito con la passione della moglie innamorata, calda degli abbracci di un altro! Diteci quando è sincera, se col primo o col secondo, o se non lo è né con l'uno, né con l'altro. Forse è sempre bugiarda; bugiarda col marito, bugiarda con l'amante! Elevate la donna dal basso fondo fino a voi, circondatela del lusso, sopprimetele ogni occasione di ritornare alla mala vita e vi troverete col problema allo stesso punto! Il vizio non esce dalla carne della Messalina. È ereditario, è eterno. Passa da un corpo all'altro e rimane immortale.

E vedendola andare verso il salotto tese il braccio.

Vattene! vattene! È odiosa la vita del tradimento!

— E di chi è la colpa? Tu mi dici d'andarmene, e io non ti obbligherò a chiamare il custode per mettermi alla cancellata. Ma di chi è la colpa? Credi tu che io ti abbia sposato per i tuoi denari? Tu sai bene che io non ho vergogna di ritornare al fosso. Ero povera, ritorno povera, ecco tutto. Ma taci, lasciami dire. Ti ho preso perché sentivo di volerti bene. Ti ho amato, ti amo, ti amerò sempre.

— Non mentire anche negli ultimi momenti!

— È la verità, ti dico. Insulta pure. Le tue supposizioni non mi inquietano. Perché non sei tu che potrai farmi credere che io sia una prostituta per il semplice fatto di essermi data a un altr'uomo. No, no, tu non mi convincerai mai d'esser stata infedele. Io sono troppo sana per sentire la libidine. Annunciata non fu mai che tua. È la verità, è la verità! Lo giuro innanzi al Signore che ci vede, che io non ho mai pensato all'adulterio. L'adulterio mi è stato imposto...

Sul volto di Giorgio riapparve la fiamma della vita.

— Oh mia Annunciata!

E con la frase calda d'amore le andò sopra coi baci.

Egli aveva così bisogno di credere, così bisogno di perdonare che la sopraffazione, la violazione, l'oltraggio diventavano un sollievo al suo cuore che sanguinava dalla confessione. Annunciata lo respinse come se fosse stata cinghiata.

Indietro, non voglio i tuoi baci, i baci dell'uomo geloso! L'uomo geloso mi fa paura come il cane idrofobo. Ti ho detto che mi è stato imposto. Dovevo parlare al plurale. Dovevo dire che ci è stato imposto. Sì, c'entri anche tu. Se l'adulterio imposto è un delitto, Giorgio, tu pure sei colpevole. Tu ti meravigli. Voialtri uomini cadete sempre dalle nuvole. Ma i fatti sono più forti della meraviglia. Non cercare altrove. Quello che è avvenuto era una necessità delle nostre condizioni fisiche. Io sono nata madre. Io sento la maternità come poche donne sentono. Avere dei figli è per me un bisogno imperioso. Lo sai, lo sapevi. Nelle ore della tenerezza e degli abbracci lunghi, ti passavo coll'alito caldo sull'orecchio e ti mormoravo le parole dolci del mio sogno. Giorgio, sii mio, fammi madre perché voglio essere tutta tua, dammi un figlio perché voglio vivere nella tua generazione. Tu te ne sei accorto, non negare. Tu sei stato testimonio delle mie insonnie, delle mie inquietudini, del mio malessere. Più di una volta ho dovuto accusare i materassi e alzarmi e aspettare l'alba in giardino come una disperata. Tu ti crucciavi. Tu volevi che fosse una malattia. Nessun medico poteva guarirmi, Giorgio. Te lo dissi, te lo ridissi. Ma tu non capivi o fingevi di non capire. E io son rimasta sola a sciogliere il problema.

Ci fu una pausa. Annunciata, a pochi mesi dal parto, aveva della dea. Vestita di foulard acceso che coloriva l'ombra nella quale andava innanzi e indietro, coi fianchi che la gravidanza aveva reso ancora più possenti, diventava invincibile quando levava il braccio che si snudava e si piantava nel vuoto come una affermazione. La sua voce aveva accenti nuovi. I suoi pensieri si sgarbugliavano, si snodavano, si scaldavano, diventavano eloquenti.

— Tu ti ricordi, Giorgio, che cosa dicevamo, nel primo anno, della donna sterile. Ci faceva ribrezzo, ci pareva una donna mancata e la vedevamo nella famiglia come una triste figura che porta la desolazione. Tu, Giorgio, vi aggiungevi la nota funebre. La vestivi di gramaglie e la lasciavi nella casa coniugale come una donna senza la missione della donna. Era una sciagurata che moriva, che portava tutto nel sepolcro: nome, affetti, memorie! Oh come era brutta la donna sterile che mi dipingevi, Giorgio! Te ne ricordi? E io frenavo i miei desideri, rovesciandomi nelle tue braccia, lasciandomi baciare fin che volevi, accarezzata dal pensiero che io non sarei rimasta infeconda. Perché io volevo essere tutta tua fino alla morte. Te ne ricordi, Giorgio? La fatalità ha voluto diversamente. Ho pianto più di una volta su questa nostra sciagura, perché infine, tu, povero Giorgio, non ne avevi colpa. Io era incalzata ed ho dovuto sciogliere da sola il problema dell'impotenza. La sovrana voluttà di essere madre ha superata la mia avversione per l'adulterio. Lo so, avrei dovuto dirtelo prima. E questo sotterfugio, te lo giuro, mi è costato una lacrima. Sovente sono stata per gettarmi al tuo collo e implorarne il consenso. Ma tu vedi come la gelosia degli uomini è perversa! Oscura la ragione, rimescola il sangue e spesso incita all'assassinio. Gli uomini sono ostinati. Preferiscono la menzogna. Tutti sanno come si svolge la vita. Tu lo sai, tu me ne hai parlato. Tu mi hai spalancato l'uscio di parecchi santuarii. Non voglio, Giorgio, essere di quelle. Il mio peccato è un altro peccato. Ma gli uomini, confessalo, sono ostinati, ostinati, ostinati! Lasciar fare quello che loro hanno fatto diventa un abbominio, un orrore. Si sfascia la famiglia, si capovolge l'ordine sociale. Confessalo, Giorgio, che è il loro punto debole. Come sarebbero più saggi e più grandi se lasciassero passare la vita senza simulare una virtù che non esiste!

Giorgio rimaneva a bocca aperta. Non aveva mai saputo che in sua moglie si celasse la difensora di una sua vecchia idea che gli aveva fatto credere che l'adulterio entrasse nella famiglia come un fortificatore, un perfezionatore e un conservatore della specie! E si stringeva la fronte come per ritornare ai tempi delle ubbie giovanili. Ma l'istinto del marito si rivoltava.

— L'adulterio è malsano e ciò che dici è immorale.

— Non mi offendo. Ti credevo superiore alla massa degli ammogliati. Ho errato, ne convengo. Ma se è immorale l'adulterio imposto da condizioni speciali, che cos'è allora il marito che prende moglie nella tua condizione, per esempio? Non sei tu venuto meno, non hai tu contravvenuto al contratto, non mi hai tu defraudata, non hai tu calpestato il mio diritto di essere madre? Giudichi il cielo. Io non avrei voluto accusarti, ma poiché tu lo vuoi, sia. Noi siamo pari. Forse non lo siamo. Forse c'è qualche cosa di più a mio favore. Forse io dovrei essere il tuo giudice. Ma mi metto al tuo livello. Siamo tutti e due immorali. Ah, sì, tutti e due! E allora?

Incrociò le braccia e gli si mise in faccia come un punto interrogativo.

— Io ho scelto. Io, Giorgio Introzzi, non metterò mai la firma sotto il lavoro di un altro, foss'anche un capolavoro. Il bastardo diventerebbe la mia persecuzione. Me lo vedrei dinanzi e penserei agli amorazzi di mia moglie... Mai, mai, mai! Tuo figlio è tuo e dev'essere tuo.

— E sarà mio. E a mio figlio darò il mio nome, non avere paura. Uomini ostinati! E sia... E sia pure! Tu hai scelto, non è vero? Hai votato per l'impotenza generativa, come tutti gli uomini del tuo tempo! Il rimorso non sarà mio. Ma tu non sei statosaggio, né generoso, e ti compiango.

— Non ho bisogno del tuo compianto! — diss'egli mettendosi a passeggiare con le mani al dorso.

Magari! Te lo auguro. Perché il tuo scioglimento è tutto a tuo danno, povero Giorgio. Tu, egoista, tu geloso, non vedi la vita negra del malmaritato costretto a portare la catena dei ricordi e a consumare nell'inedia, tra una mantenuta e l'altra.

— La vedo. Pagherò il vizio, purché il vizio non segga alla mia mensa coniugale.

— Sia fatta la tua volontà, Giorgio. Io non domandavo di meglio che il rispetto alla legge divina e umana. Ma sono donna infine, e al mio diritto di donna non rinuncio, dovesse il matrimonio andare in rovina.

Annunciata, con gli occhi pieni, presa al singhiozzo, si mise la mano al cuore come se avesse voluto ritardarne lo schianto.

— Il mio pianto è ancora della forza, Giorgio. Non si esce mica dalla casa di un uomo come te senza piangere. Non è il tuo lusso che mi fa parlare. Il lusso non è mai stato una necessità della mia esistenza. Eccoti i tuoi gioielli, sono tuoi. Non so che farmene. Non mi servirebbero più che a farmi chiamare prostituta. Ma ricordati che Annunciata, la lavandaia, ti ha voluto bene. Senza quel tuo malanno noi saremmo stati felici. Addio.

— No, no! — gridò Giorgio con la faccia inondata di lacrime. — Tu sei mia! Senza la mia impotenza maritale...

— Troppo tardi, Giorgio. La è finita. Le tue parole hanno scavato l'abisso. Passata la commozione, i dubbi risorgerebbero a contenderti la felicità che abbiamo distrutta con la nostra bocca. E poi? Tu sai che io son donna, e che al mio diritto di donna non rinuncerei mai. Tu sai che io sono madre e che non potrei rinunciare a mio figlio. In casa tua diventerebbe il tuo tormento. In casa mia e di suo padre...

Annunciata! — le disse allargando le braccia per premersela sul cuore.

Povero Giorgio! La è finita. Non sono più tua. I tuoi pregiudizi mi hanno disgiunta. D'ora innanzi io non posso più essere che la compagna del padre di mio figlio.

— Di Giuliano Altieri!

 

 




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