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Paolo Valera
La folla

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La caduta di certe famiglie impensierisce. Ce ne erano due o tre che potevano essere citate a modello. Non facevano del lusso, perché qui non è il sito di farne. Ma mangiavano carne al giovedì e alla domenica, bevevano quasi tutti i giorni un bicchiere di vino a cena, vestivano decentemente, e chi lavorava portava a casa il settimanale, contentandosi di spendere quello che gli dava la reggiora, arbitra del benessere della casa. Del Luigione non si poteva proprio dire niente. Non ci sono stato che io che gli abbia dato del cacone una volta per le sue idee antioperaie. In allora era un conservatore implacabile. Per lui, noialtri, eravamo tutti della radicanaglia senza testa. Con una giornata di quattro lire e la moglie che andava per le case con il pesce fresco due giorni alla settimana, i loro figli andavano regolarmente a scuola col grembiule pulito e le scarpe che non lasciavano nulla a desiderare. Occupavano due stanze nel blocco A, il migliore, tenute pulite dalle donne che le scopavano tutti i giorni e cambiavano le tendine alle finestre ogni tanto. Al pranzo della domenica mettevano giù la tovaglia. Tra noi del Casone non c'erano che Lorenzo, il parrucchiere, Martino, l'inverniciatore, e Paolino, il chiavaio, che gli potessero tener dietro. L'urto di una ruota della macchina, che ha sbattuto Luigione sul muro privo di sensi, ha mutato l'uomo. Non è più quello. Tutto è cambiato. La famiglia è in pieno disfacimento. Si è ridotta in una stanza del blocco C, è sempre in arretrato d'affitto, maschi e femmine hanno dovuto smettere d'andare a scuola, e la madre è invecchiata di quindici anni. Luigione, durante la convalescenza, andava dal Battista a passare qualche ora. Non so se sia stata l'abitudine di bere che gli abbia fatto perdere la voglia del lavoro regolare o se sia stato l'urto, che, alterandogli il sistema nervoso, lo abbia sottoposto alla legge della stanchezza. Fatto sta che lo stabilimento, dopo tanti anni, è stato obbligato a metterlo sul lastrico. Non vi andava che due o tre volte la settimana, e, spesso, al secondo pasto, rientrava mezzo ubbriaco.

Ora il suo gusto è di rimanere delle ore coi politicanti al tavolino del cicchettaio a buttar fuori parolone rivoluzionarie. La sua immaginazione si è come incendiata. Divenuto radicale condanna i suoi amici politici di una volta a castighi atroci. Dal giorno della sua disgrazia ha come acquistato la voluttà delle pene spaventevoli. A Depretis, ch'egli chiama un democratico di cartone, vorrebbe che gli si fendesse la lingua con un coltello arroventato. Se parla di Lamarmora diventa un macellaio. Lo prende per i capelli e lo diguazza nel sangue dicendo che il traditore del suo paese merita i bottoni di fuoco. Mette Sella su una catasta di legna e assiste al suo supplizio con la pipa in bocca. «Tu hai affamato il popolo e io godo delle tue torture!»

Come è triste casellare il Luigione col marito della Pina e col Giovanni, veterani degli alcoolizzati!

 




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