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Paolo Valera
La folla

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  • 24
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I ciechi dovrebbero morire. Fanno paura. Danno a quello che dicono un senso profetico e assumono il fare degli antiveggenti. Ogni domenica che vado da Bernardino a prendere l'affitto, mi vengono i brividi. Non appena sente i miei passi tutto il suo essere diventa sensibilissimo. Protende il collo, drizza le orecchie e alza le mani come se temesse qualche sventura. L'impressione del suo viso pare quella di un uomo che vada giù a leggermi nel cuore. E quando ode la mia voce che gli dà il buon giorno, le sue larghe occhiaie con in fondo la gelatina schiacciata e lucida si atteggiano a una immobilità tragica e mi rimangono addosso, come se volesse sprofondarmi o inghiottirmi.

— Siete voi, Giuliano — mi risponde con una voce di rimprovero. — Felicita, pagagli l'affitto!

Mentre la moglie va a cercare i danari, io deploro che non ci sia una legge che sopprima tutti questi errori della vita dalla vita. Portateceli via! perché ci impietosiscono e ci disgustano. Portateceli via! perché ci ricordano l'infelicità dell'esistenza e il cuore sociale! Oh, come siete teneri! Guardate qui, in questa stanza. Preferite fargli mendicare il pane nella strada, con la mano tesa, piuttosto che dargli un asilo che non sia un reclusorio, che non lo mantenga come un pezzente, che non lo costringa a invocare la morte come un beneficio. E non spendereste di più, sapete. Perché, ricoverati o non ricoverati, la comunità non può evitare di nutrire i ciechi. Isoliamoli, dando loro tutta l'agiatezza del ricco.

Annita Tampini mi ha fatto piangere. Non ho voluto l'affitto. È la donna più pitocca del Casone. È venuta su senza un vero mestiere. Tutta la sua gioventù è stata spesa a lavare bottiglie d'estate dal birraio Darma, fuori di porta Magenta, e a cucire sacchi d'inverno, negli studii dei piccoli negozianti di seta del Broletto. Non ha mai superata la giornata di una lira e non è mai discesa fino a quella di trenta centesimi. Il marito, un sellaio, prese l'uscio dopo averla ingravidita una seconda volta. Sola, povera, con un bimbo nella culla e uno nel ventre, non si dolse e non domandò mai nulla a nessuno. Venuta la maturanza, andò, come la prima volta, a sgravarsi nella pia Casa delle partorienti di Santa Caterina alla ruota, e ne uscì portandosi via il suo fanciullo e allattandoselo essa stessa. Profuse il suo amore ora sull'uno, ora sull'altro, adorandoli tutti e due, senza mai ricordarsi del padre e mandandolo via con una frase sdegnosa il giorno in cui tentò di rientrarle nelle grazie.

— Vattene dove sei stato fino adesso!

I fanciulli curati, allattati, tirati grandi a carezze e a dolci, quando poteva comperarne, divennero i suoi idoli. Lavorava come una bestia da soma per non lasciarli patire. Di notte si vedeva illuminato il suo finestrino e si pensava alla madre buona che si era consacrata al bene dei figli come poche donne. A casa faceva le mutande che le dava un'altra vicina che lavorava per una ditta d'abiti fatti. La vicina che andava a prenderli e a riportarli si contentava d'un centesimo di guadagno. E Annita riusciva a cucirne dodici paia in due notti e a guadagnare cento e otto centesimi in dodici ore consumate al lume della lucerna. Alla mattina preparava tutto per i ragazzi che ella mandava a scuola, e poi correva alla fabbrica, raccomandando alla vicina di vedere che il suo Attilio e il suo Romeo non mancassero di qualche cosa. A sera rincasava e se li godeva a vederseli d'intorno coi loro libri di lettura ch'essa non poteva capire. L'uno e l'altro crescevano sani, bellocci, forti come torelli. Mise Attilio, il maggiore che amava sopra ogni cosa il disegno, a fare il meccanico, convinta che sarebbe divenuto uno dei primi operai, e Romeo a fare il tessitore, perché aveva una speciale predilezione per i lavori del telaio. I figli ricambiavano l'affezione materna con lo stesso affetto. Uscivano dagli stabilimenti e correvano a casa a baciare la mamma, come fanno i figli dei signori. Il giorno in cui Romeo e Annita dovettero staccarsi da Attilio, fu un giorno triste, inconsolabile. Singhiozzavano, piangevano e si disperavano con dei bacioni lacrimoni, degli abbracci stretti stretti, delle promesse infinite di non dimenticarsi, di continuare a volersi bene e di scriversi sempre, sempre!

— Addio, mamma! Addio, Romeo!

La madre, che aveva preveduto il giorno fatale della coscrizione, aveva nascosto nella calza tutto quello che i bisogni quotidiani le avevano lasciato risparmiare.

— Non patire, figlio mio — gli disse con la gola piena di pianto. — Io e Romeo te ne manderemo degli altri.

— Addio! Addio!

Non si videro più. Il ragazzo fu tra i soldati che rimasero feriti dalle poche palle papaline che volevano impedire l'entrata degli italiani in Roma. All'indomani della breccia di Porta Pia venne divorato da una febbre che gli faceva sussultare una mascella sull'altra con una violenza che annunciava la catastrofe.

I suoi di casa seppero otto giorni dopo che il povero figliuolo era morto all'ospedale.

Romeo divenne taciturno. La madre, che non poteva vivere senza la sua affezione, era obbligata a sgridarlo per farlo smettere di piangere.

— Farai morire anche me di crepacuore, e tutto sarà finito!

Ma il fratello dimagrava, scoloriva, diventava terreo. Qualche mese dopo tossiva come se i suoi polmoni fossero stati scavati dai bacilli esecrati che sfioriscono tante bellezze e portano via dal Casone tante speranze.

La mattina che lo portarono al camposanto la povera donna pareva impazzita. Non è stata più lei. Non ricuperò più la ragione. Non può più vedere un soldato. Basta un tamburo o una tromba militare per darle i tremiti o per vederla scappare per il blocco della casa come se avesse paura che venissero un'altra volta a prendere il suo Attilio.

È diventata cupa, malinconica, lavora a sbalzi, è indifferente al bene e al male e non sa più concepire che un pensiero: «Hanno ammazzato il mio figliuolo!»

E quando don Paolo la rimprovera di non andare più in chiesa, essa si asciuga gli occhi con la cocca del grembiule, e gli risponde commossa:

— Iddio deve essere molto ingiusto se può punire così terribilmente una povera madre che non aveva mai cessato di pregarlo in ginocchio!

 




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